L’Africa spaziale di Zak Ové, nella diaspora vissuta come viaggio tra universi tangenti

Ad ogni azione corrisponde una reazione, l’imposizione di una forza sottintende un qualche tipo di resistenza. Così nella fisica, come negli studi sociali, particolarmente se applicati alle dinamiche di coesistenze conflittuali, l’unica maniera in cui può essere chiamato un mondo in cui qualcuno può acquistare altri esseri umani, disattendendo lo schema generico dei diritti umani ed il principio del libero arbitrio. E tanto a lungo tale circostanza ebbe a proseguire e rinnovarsi, che in un giorno possibile, in base a una speciale profezia, l’uomo nero del futuro potrà scegliere di organizzare una delegazione. Inviandola, tramite l’impiego di un vascello ultraveloce, fino alle regioni spaziotemporali della nostra epoca. Senza nessun tipo di missione, tranne sorvegliare l’imminente stato delle cose. Ed osservarci, per incorporare nella propria mente immobile un possibile schema di risoluzione a beneficio di una discendenza che non ha potuto ancora dedicarsi alle ragioni della cupidigia inerente. Questo l’evidente scopo dell’ultima variopinta astronave/totem dell’artista londinese, di origini trinidadiane Zak Ové denominata Mothership Connection (citando un album funk degli anni ’70 dei Parliament) e creata per il Regent’s Park lo scorso settembre, continuando l’ideale discorso della popolazione dei cosiddetti uomini invisibili, 40 figure antropomorfe originariamente esposte presso lo Sculpture Park dello Yorskshire (2018). Individui dal volto coperto, così come una maschera del carnevale di quell’isola risalta in cima al nuovo totem post-moderno, perché diaspora e schiavitù sottintendono la perdita dell’identità individuale, mentre i tratti culturali ereditati vanno incontro a un sincretismo delle circostanze che non può realmente sovrascriverne, d’altronde, il significato inerente. Questa l’idea del carnevale caraibico del Moko Jumbie, i cui princìpi estetici e talvolta i personaggi stessi sono stati utilizzati come ispirazione, nel corso della carriera di questo celebre artista, in qualità di linguaggio o parte della storia stessa, narrata tramite i molti campi della sua espressione creativa: pittura, cinematografia, scultura, ricamo. Fino all’estremo delle sue creazioni più recenti, il tipo di pali monumentali che vedremmo collocati convenzionalmente fuori dalle abitazioni dei nativi delle Americhe nord-occidentali. Se non fossero creati grazie all’uso della plastica, luci elettroniche e parti d’automobili con fregi cubici dai plurimi colori contrastanti…

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Il retrofuturismo visionario del centro conferenze creato sul confine acquatico della vecchia Kyoto

All’inizio del dicembre 1997 i rappresentanti di un larga parte dei paesi industrializzati al mondo (e non solo) fecero l’ingresso nella grande sala trapezoidale sotto un gigantesco disco illuminato, alludente all’astro del mattino, in cui le letterali dozzine di aste con bandiere nazionali creavano un contrasto interessante con le opere d’arte post-moderniste ed un ambiente che sembrava sollevato a pieno titolo da un film distopico sull’Era Spaziale. Al termine della presentazione concordata, in cui scienziati, climatologi e politicanti recitarono i propri pronunciamenti sullo stato preoccupante del clima terrestre, vennero introdotte le specifiche di un nuovo accordo sul contenimento delle emissioni inquinanti di diossido di carbonio ed altri cinque gas capaci di causare l’effetto serra. Ben presto, in mezzo a boschi, cervi e sopra le acque di un lago splendente quasi a ricordare cosa si stesse cercando di proteggere, la collettività avrebbe votato ed approvato il cosiddetto accordo di Kyoto. Fu l’inizio di qualcosa di grande ma anche, sotto molteplici punti di vista, il principio della fine. Poiché i numeri attribuivano una quantità maggiore di doveri a coloro che contribuivano in più larga parte al problema. Ed in molti di questi luoghi, tra cui soprattutto gli Stati Uniti, ci si dichiarò più volte incapaci di ratificare quella firma, iniziando ben presto a negare l’esistenza prettamente matematica del problema.
Ciò che tutti i partecipanti avrebbero ad ogni modo riportato in patria, da quel saliente incontro, sarebbe stato il punto di vista di tale struttura memorabile, costruita oltre tre decadi prima con il ruolo collaterale ricordare all’uomo il proprio ruolo e posizione nel vasto e continuativo sistema dei processi naturali dell’Universo. Questo l’obiettivo dichiarato dal creatore Sachio Otani e dello stesso movimento architettonico di cui egli era membro, la scuola di pensiero del Metabolismo giapponese collegata soprattutto all’opera di Kenzo Tange. Non cercate, tuttavia, nel Kyoto International Conference Center, il distintivo impiego modulare della capsula o la forma progettuale dell’arcologia ipertrofica per ottimizzare i processi e le dinamiche della vita contemporanea. Laddove un simile complesso, detentore di diversi record nazionali, si sarebbe dimostrato avveniristico piuttosto da un diverso angolo di osservazione dei suoi dominanti elementi. La capacità di coniugare l’antico e il moderno. L’assoluta impostazione visionaria di talune soluzioni strutturali, coadiuvate da un gusto estremamente personale e profetico da molti punti di vista degni di nota. Per come ci appaiono coerentemente al giorno d’oggi, attraverso la lente di un certo tipo di design fantastico e le scenografie dei film di fantascienza, in larga parte ispirate alla corrente molto più internazionale del Brutalismo. Di béton brut (cemento grezzo e privo di ornamenti) il Kyoto ICC effettivamente ne usa parecchio. Ma è nella grazia e simmetria delle sue forme fondamentali, che trova una sua strada parallela ed intrigante verso l’estetica sublime del wabi-sabi, pilastro filosofico della nazione…

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Sotto alberi monumentali di cemento, inaugurata la nuovissima città dei treni a Chongqing

Entusiastici cronisti occidentali, per lo più europei, percorrono l’abnorme cattedrale il cui cielo artificiale è situato a 41 metri d’altezza. Bianche le pareti e lucido il marmoreo pavimento, in grado di riflettere la luce che s’insinua dagli 8 colossali lucernari con la forma di una mandorla, disposti in parallelo sul grande tetto tubolare in acciaio. Appassionato il loro sguardo, entusiastico l’eloquio, sincero l’interesse nel rivolgere le domande di rito all’ingegnere, il tecnico, il capostazione. Rappresentanti di quella nuova Cina, dove il potente firewall che tiene attentamente suddivise le informazioni esterne da nozioni relative allo stile di vita di locale, sceglie di essere orgogliosa sulla scena internazionale in merito a determinati traguardi, particolari vette tecnologiche raggiunte nei più popolosi (e non solo) centri urbani di quel vasto paese. Luoghi come Chongqing, città di secondo livello ormai prossima al primo in base alla classificazione amministrativa del governo centrale, per la sua capacità di competere in termini di PIL con luoghi come Pechino, Shanghai, Guangzhou. Risultato conseguito, in larga parte, anche grazie al turismo fiorente nell’intera regione, attratto dalla particolare configurazione “a strati” del centro urbano in questione, così da sfruttare al massimo i recessi montagnosi del suo distintivo territorio di appartenenza. Una topografia caratteristica che tende a incoraggiare per l’intera prefettura l’utilizzo di un sistema di trasporto pubblico eccellente, inclusivo di avveniristici treni ad alta velocità, metropolitana e schiere di veicoli stradali più o meno autonomi nel proprio modo di spostarsi tra le strade gremite. Una configurazione integrata che fin dagli albori dell’epoca moderna, ha trovato i suoi tre punti di snodo principali in altrettante stazioni da decine di migliaia di passeggeri al giorno, denominate con i nomi dei punti cardinali: Nord, Ovest ed Est. Finché nel 2021 non giunse il bollettino atteso: il piano di rinnovamento di quest’ultima era stato finalmente approvato, mentre nei mesi successivi il traffico sarebbe stato gradualmente dirottato altrove. La Chongqing East Station andava incontro ad un capitolo di totale ricostruzione e dispendioso rinnovamento.
Con un investimento di poco superiore a sette miliardi di yuan, equivalenti ad un miliardo di dollari, la ben collaudata macchina delle infrastrutture della Repubblica Popolare si era ormai già messa in moto. E nessuno avrebbe potuto facilmente anticipare l’effettiva portata, fuori dal contesto, di questa sua ultima realizzazione. Con 15 piattaforme, 29 linee, 1.220.000 metri quadri d’estensione (pari a 170 campi da calcio) ed una portata massima di 16.000 passeggeri l’ora, la struttura simile a un palazzo viene definita nei materiali di presentazione ufficiali come la più vasta del suo genere nell’intera Cina occidentale. Ma è palese che niente di esistente nell’attuale mondo possa effettivamente competere, in termini d’imponenza, con simili proporzioni spropositate…

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L’intricato filo delle alghe che lega le donne all’eredità delle isole balinesi

Con il progredire dell’attuale situazione climatica e i suoi effetti sulle condizioni meteorologiche vigenti, le conseguenze ad ampio spettro subite dal pianeta continueranno a coinvolgere progressivamente una percentuale maggiore d’interessi ed attività umane, in aggiunta al danneggiamento della macchina ambientale che sostiene fauna & flora delle zone maggiormente colpite. Uno delle principali fonti di sostentamento di una buona parte delle isole Sunda in Indonesia, ma soprattutto Nusa Penida e Nusa Lembongan situate ad est di Bali, è la coltivazione tradizionale di diverse specie di alghe con particolare attenzione nei confronti della grandong o katoni. Appellativi locali riservati al “muschio di mare” della specie Kappaphycus alvarezii, un tipo di rodofita fotosintetico famoso per la sua capacità di ancorarsi saldamente alle barriere coralline, creando meta-strutture proteiche interconnesse che gli permettono di propagarsi con fulminea efficienza. Lo stesso principio impiegato con sapienza, ormai da secoli, come fondamento di un’industria praticata soprattutto dalle donne, consistente nell’applicazione del metodo del lungo filo, che non richiede l’utilizzo di semi. In cui una cima del diametro di 10-15 mm viene sospesa tra boe o galleggianti ad intervalli di 4-5 metri, per legarvi vaste quantità di talli (rametti) del muschio di mare con cadenza regolare, affinché il sole, il vento e il movimento delle onde si occupi di fare il resto. Approccio collaudato in grado di garantire, in condizioni ideali, una crescita di ciascuna pianta per percentuali di un 4-6% giornaliero ed il raggiungimento del giorno raccolto in appena un paio di settimane. Prassi priva di latenti vulnerabilità, giusto? Non proprio, visto il prolungarsi della stagione delle piogge nel corso delle ultime decadi. Con conseguente danneggiamento e necessario intervento di rimozione preventivo di una certa quantità delle fluttuanti inquiline di color verde-marrone dalla cima, portando a un danno economico ed allo stesso tempo aumento dell’energia necessaria a portare a compimento le operazioni. Una deriva che sta portando, soprattutto negli ultimi anni, alla riduzione delle aziende di famiglia attive nel settore e la conseguente invocazioni di norme commerciali più stringenti da parte del governo locale, con il potenziale di arrecare un tipo d’impulso al settore che potrebbe anche rivelarsi nocivo. Mentre una parte significativa del carattere di queste isole, così fortemente radicato nel territorio, rischia per la prima volta di scomparire…

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