Due linee parallele che convergono occasionalmente, generando nuclei d’opportunità finalizzati a migliorare l’efficienza nel risolvere le problematiche latenti: da una parte la creazione, dall’altra, la trasformazione. D’altra parte non è sempre semplice, a seconda delle circostanze, distinguere tra questi aspetti in apparenza contrapposti verso l’obiettivo imprescindibilmente necessario del progresso collettivo umano. Come in una metamorfosi delle comuni aspettative, funzionali alla rivoluzione quotidiana dei progetti realizzabili attraverso pratiche, tangibili risorse del nostro stanco pianeta. Così per lunghi secoli, avendo posto sopra un piedistallo l’ossatura inosservabile della Caverna Plutoniana, attribuendo a quei metalli e minerali un ruolo strettamente collegato all’immanenza delle nostre opere, parrebbe strano ritornare all’utilizzo di un qualcosa che gli antichi preferivano impiegare per la costruzione delle proprie case, imbarcazioni, armi e attrezzi per l’agricoltura. Benché sussista almeno un caso in cui il rivolgersi di nuovo al “mero” legno, sostanza residuale della florida vegetazione dipartita, possa non costituire un passo indietro bensì, quanto meno, avanti o di lato: quando non è più semplice wood, ma super–wood. Qualcosa di così migliore per quanto concerne resistenza, affidabilità, logistica, che potrebbe provenire dal pianeta Krypton. Lasciandoci sperare che non possa possedere comparabili accezioni negative nei confronti di un benevolente semidio castoro.
Questa ben più che una semplice remota aspirazione, visto l’imminente lancio commerciale entro la prima metà del 2026 di un prodotto frutto dell’attenta sperimentazione e perfezionamento della startup statunitense Inventwood (etimologicamente qui s’inizia a intravedere un tema) nata come in tanti casi simili da un gruppo di persone coinvolte in un rivoluzionario studio scientifico dalle forti implicazioni imprenditoriali. Intese come la capacità di agevolare una proficua metamorfosi, dalla figura di scienziato a quella d’imprenditore, laddove simili campi d’interesse non necessitano certo di essere mutualmente esclusivi. E d’altra parte non sarebbe utile di certo scollegare l’avanzamento della collettività indivisa dalla distribuzione tecnologica di un materiale totalmente rinnovato che attende di essere standardizzato al di là di poche norme ereditate da campi adiacenti. Con tutti i rischi e le sfide, sia dal punto ingegneristico che legislativo, che potrebbero tenderne ben presto a derivarne. Qui si sta parlando, in fin dei conti, di lasciarsi indietro in molti campi ciò che ha sostenuto tanto a lungo le nostre costruzioni più imponenti e durature: l’acciaio stesso! Che altro…
È forse la questione maggiormente stupefacente, tutto considerato, il fatto che l’origine pratica di un simile livello di ambizione sia spiegata chiaramente e in modo approfondito in uno scritto pubblicato nel 2018 sulla rivista Nature, intitolato Processing bulk natural wood into a high-performance structural material (paywalled) ed avente tra i suoi molti autori operativi nei laboratori dell’Università del Maryland proprio quel Liangbing Hu, oggi protagonista dei video promozionali della Inventwood in qualità di direttore tecnico, portavoce e CEO dell’azienda. Offrendoci una prospettiva interessante per capire, almeno in linea di principio, ciò di cui stiamo esattamente parlando. Giacché il superwood, pur trovandosi all’interno di un ambito di materiali biologici ultimamente oggetto di una rivoluzione silenziosa a più livelli dell’edilizia contemporanea, costituisce un qualcosa di completamente diverso dal mass wood, l’attualmente popolare gruppo di soluzioni ad ombrello, consistente nella congiunzione di massicce quantità di assi e lamine standardizzate mediante l’uso di colle, perni metallici o altro, fino all’ottenimento di un qualcosa di potenzialmente strutturale nelle costruzioni dalla ponderosità evidente. Operando di suo conto sul piano propriamente chimico, così da inficiare la nostra stessa percezione ereditaria di cosa sia, effettivamente, un tronco. Tutto ha inizio dunque in un laboratorio concettualmente non dissimile da una cucina, dove il materiale di partenza viene rigorosamente bollito all’interno di una precisa soluzione acquosa contenente idrossido di sodio e solfito di sodio. Due sostanze che parrebbero capaci d’inficiare il legame cellulare residuale delle piante, trasformando il legno in questione in una massa relativamente malleabile ben più di quanto possa farlo qualsivoglia approccio basato unicamente sull’umidità o temperatura. Dal che si passa al secondo fondamentale passaggio, consistente nella pressatura a caldo, effettuata attorno ai 100 gradi Celsius. Un principio operativo che riesce a ridurre lo spessore di ciascun pezzo trattato di fino all’80% ottenendo in questo modo un legno dalla densità molecolare esponenzialmente aumentata. Ma nel quale, soprattutto, le fibre inerenti tendono ad allinearsi automaticamente e intrecciarsi in modo tale da mitigare qualsivoglia difetto interno, fino all’ottenimento di un livello di prestazioni facilmente prevedibile in maniera quasi del tutto indipendente dalla qualità e natura del legno di partenza. Tanto che, già nello studio originale, i redattori dedicavano un paragrafo esauriente all’adattabilità del processo a qualsiasi varietà di partenza, enfatizzando in questo modo l’efficienza ed usabilità su scala industriale. In maniera paragonabile a quanto fatto attualmente dall’azienda di Hu, ponendo in questo caso l’accento sull’aspetto naturale ereditato, variabile in base al desiderio del cliente o l’obiettivo perseguito dal committente.
Proprio questa disponibilità dei principi realizzativi, sebbene non in modo tanto approfondito da poter replicare esattamente il prodotto venduto dalla Inventwood, ha permesso nel frattempo ad alcuni individui intraprendenti di effettuare esperimenti in materia. Personaggi come lo YouTuber NileRed, che partendo dalla definizione alternativa utilizzata su Internet di “legno antiproiettile” (altra caratteristica presa in prestito dal mondo dei supereroi) ha tentato di replicare in alcune tavolette-bersaglio di sua concezione le caratteristiche determinanti del nuovo materiale. Ottenendo, sia pur tramite un processo per sua stessa ammissione imperfetto, dei risultati indubbiamente notevoli per quanto concerne la capacità balistica dichiarata in modo collaterale dal gruppo dei ricercatori universitari. Il che lascia ben sperare anche per i dati statistici raccolti sul tema delle doti ignifughe ed anti-tarlo, anti-fungine possedute dal Superwood. Nel mentre resta misteriosa, come alcuni hanno fatto notare su Internet, la questione assolutamente fondamentale della resistenza agli stress ripetuti altrimenti detto limite di fatica, un parametro fondamentale in edilizia che risulta in larga parte responsabile per il diffuso utilizzo dell’acciaio in tale settore produttivo. Angolazione, quest’ultima, non propriamente irraggiungibile quando si considera la già ultimata realizzazione di almeno due edifici particolarmente alti mediante la tecnica meno avveniristica del già citato mass wood: il grattacielo norvegese di 85 metri, Mjøstårnet e quello in Wisconsin di 87, Ascent MKE. Chi può davvero prevedere, arrivati a simili traguardi, quante centinaia di metri potrebbero essere raggiunti verso il regno delle nubi e tramite l’impiego di un qualcosa che riesce a rivaleggiare con l’acciaio risultando nel contempo 5 o 6 volte più leggero… La cui impronta carbonica, allo stato attuale dei fatti, risulta certamente difficile da determinare. Ma che se non altro porterebbe nuovamente all’attenzione del grande pubblico, la necessità di preservare e continuare a custodire ancora per moltissime generazioni le foreste superstiti, che in qualche modo abbiamo ereditato dai nostri ambiziosi predecessori.