Il vantaggio che può derivare dall’appartenenza alla categoria dei paesi in via di sviluppo, rispetto ai centri storici dell’avanguardia tecnologica e scientifica nel panorama globale, è l’automatico superamento dei sistemi e metodologie pregresse, in grado di condurre a nuove vette d’eccellenza nell’applicazione della tecnologia. Nel caso unico dell’India poi, conquista coloniale in grado di acquisire lo status di potenza a partire dall’inizio dell’epoca moderna, questo potenziale sembrerebbe aver posto le basi di un processo in grado di mostrare la via da percorrere a molti di coloro che verranno dopo. Una di queste, l’installazione e sfruttamento delle rinnovabili, come reazione necessaria al fabbisogno energetico di un paese di 1,4 miliardi di persone alimentato principalmente a carbone, dove l’inquinamento urbano ha ormai raggiunto un livello critico per quanto concerne la salute delle persone. Ed è proprio per l’assenza di una sostanziale industria energetica basata sul nucleare, ad oggi corrispondente al solo 3,7 dell’elettricità complessivamente prodotto nel paese, che alcuni dei più vasti parchi di alimentazione alternativi al mondo sono stati costruiti nel Subcontinente attraverso gli ultimi anni. Fino al record assoluto del Gujarat Hybrid Renewable Energy Park, anche detto Parco Solare di Khavda, la cui vastità pari all’isola di Singapore o cinque volte la città di Parigi (72.600 ettari) da ricoprire totalmente in pannelli solari e pale eoliche parrebbe quasi concepita per riuscire a mettere alla prova l’immaginazione umana. Un progetto iniziato nel 2020, alla presenza del Primo Ministro Narendra Modi, che ne è da sempre uno dei principali propositori e sostenitori, con il raggiungimento del pieno potenziale di 30 GW previsto entro gli anni 2026-27. Un terzo più, tanto per essere chiari, della Diga delle Tre Gole in Cina, famosa per aver ridotto di 60 miliardesimi di secondi la rotazione del pianeta del Terra. Ciò grazie all’individuazione di un luogo ideale ai margini del Grande Deserto settentrionale di Thar, in una vasta pianura salina definita nei documenti esplicativi come “terra desolata” vista l’assenza di fauna endemica o qualsivoglia prospettiva coltivabile per la produzione di cibo. Semplificazione sostanziale dal punto di vista ecologico, comunque coadiuvata dalla sussistenza di ulteriori vantaggi: l’intensità e prevedibilità della luce diurna, data la vicinanza all’equatore, in aggiunta ai forti venti provenienti da Occidente per le masse d’aria fredda proveniente dal Mar Arabico…
Prospettive dunque ottime in termini di resa che hanno goduto del massimo supporto ad ogni livello delle istituzioni almeno fino all’inizio di quest’anno, quando un articolo pubblicato sul sito del giornale inglese The Guardian, che trattava in modo critico la vicinanza del parco solare al confine con il Pakistan, ha indirettamente suscitato un’accesa protesta parlamentare dei partiti d’opposizione al governo Modi, tuttavia inconcludente nel proporre vie risolutive a seguito dell’investimento già intercorso allo stato dei fatti attuali, pari alla maggiore parte dei 18 miliardi di dollari previsti per il piano complessivo. Il tutto riprendendo la più volte discussa questione dell’azienda appaltatrice coinvolta, l’influente multinazionale Adani Group, fondata e diretta dall’amico personale di vecchia data del Presidente, Gautam Adani. Personaggio di un imprenditore del capitalismo ai più elevati e spregiudicati livelli, famosamente accusato nel gennaio del 2023 dal gruppo americano della Hindenburg Research di essere stato coinvolto più o meno direttamente in frodi di manipolazione del mercato azionario e alterazione del bilancio aziendale. Mere ipotesi rimaste tali, dal punto di vista delle autorità indiane, sebbene utilizzate politicamente in modo reiterate da coloro che hanno lungamente sostenuto l’esistenza di un rapporto di clientelismo tra il capo di stato ed uno dei principali investitori nel suo stato d’origine, il Gujarat. Ciò detto, resta indubbia la capacità organizzativa e logistica della leadership coinvolta nell’impresa, il cui piano principale prevedeva la costruzione di un impianto senza precedenti situato a 25 Km dal “vicino” villaggio di Khavda di qualche migliaio di abitanti ma oltre 80 dalla più sostanziale cittadina di Bhuj, in un luogo inerentemente privo di fonti di approvvigionamento idrico o altre risorse valide al sostentamento della forza lavoro. Il che avrebbe visto i circa 8.000 lavoratori coinvolti inizialmente dedicarsi in prima battuta alla costruzione di uno spazio vitale ove alloggiare assieme ai propri colleghi fino al completamento dell’intero contratto di partecipazione al cantiere. Ulteriori ombre, d’altro canto, sono state menzionate nuovamente a settembre in un secondo articolo del Guardian, per quanto concerne il reclutamento dei suddetti soprattutto dall’estero e mediante la risorsa dei flussi migratori, con alcuni migranti che hanno dichiarato in seguito ai giornalisti di aver dovuto sopportare turni e condizioni irragionevoli, vedendosi più volte decurtata la paga promessa originariamente. Riportando bruscamente i riflettori della copertura mediatica sul problema del caporalato, dolorosa conseguenza dell’attuale metodologia globalizzata della distribuzione dei carichi di lavoro. Il che minaccia in qualche modo la percezione effettiva del sito, mirato a risolvere un problema effettivamente sussistente e che potrebbe riuscire a farlo con misurabile quanto significativa efficienza.
Notevole a altrettanto originale, soprattutto su una scala simile, risulta in effetti la combinazione tra solare ed eolico implementata nel parco di Khavda, con tecnologie specifiche mirate a compensare l’occasionale assenza di vento o sole con la fonte laboriosamente contrapposta, tramite l’impiego d’infrastruttura elettrica connessa agli stessi accumulatori. Un array di batterie previsto in futuro, per essere precisi, capace d’immagazzinare fino a 14 GWh (gigawatt-ora) per l’erogazione di energia continuativa anche nei periodi di calma atmosferica e cielo nuvoloso, per una portata anch’essa superiore di molte decine di volte a qualsivoglia approccio tecnico paragonabile intrapreso fino all’epoca corrente.
Che le soluzioni implementate nel Gujarat, come già negli altri grandi parchi eolici e solari costruiti in India, possano effettivamente aprire la strada a nuovi processi utilizzabili nella produzione elettrica su scala nazionale è oggi ancora difficile da definire. Troppe le incognite sussistenti, con centrali nucleari ancora in costruzione nel mondo e l’ambita, sempre possibile visione della fusione atomica come fonte pulita del nostro domani. La cosa certa è tuttavia che gli ampi spazi necessari all’uso delle rinnovabili su larga scala in questo mondo esistono, e continueranno a rimanere disponibili nonostante il progressivo aumento della popolazione mondiale. Non tutte le regioni del pianeta sono abitabili. E tra queste, alcune potranno trovarsi ad ospitare impianti simili nel corso delle generazioni a venire. Sarà in larga parte il successo ottenuto o meno dal nucleo vivido della collettività latente, corrispondente da un punto di vista meramente matematico a Cina ed India, a mostrarci l’eventualità percorribilità di tale strada. O in alternativa, le decisioni autonome dei nuovi detentori del potere pratico e politico in Occidente, insuperabili oligarchi della nuova generazione. Proprietari di razzi spaziali, social network ed aziende di vendita al dettaglio per corrispondenza…


