Due linee parallele che convergono occasionalmente, generando nuclei d’opportunità finalizzati a migliorare l’efficienza nel risolvere le problematiche latenti: da una parte la creazione, dall’altra, la trasformazione. D’altra parte non è sempre semplice, a seconda delle circostanze, distinguere tra questi aspetti in apparenza contrapposti verso l’obiettivo imprescindibilmente necessario del progresso collettivo umano. Come in una metamorfosi delle comuni aspettative, funzionali alla rivoluzione quotidiana dei progetti realizzabili attraverso pratiche, tangibili risorse del nostro stanco pianeta. Così per lunghi secoli, avendo posto sopra un piedistallo l’ossatura inosservabile della Caverna Plutoniana, attribuendo a quei metalli e minerali un ruolo strettamente collegato all’immanenza delle nostre opere, parrebbe strano ritornare all’utilizzo di un qualcosa che gli antichi preferivano impiegare per la costruzione delle proprie case, imbarcazioni, armi e attrezzi per l’agricoltura. Benché sussista almeno un caso in cui il rivolgersi di nuovo al “mero” legno, sostanza residuale della florida vegetazione dipartita, possa non costituire un passo indietro bensì, quanto meno, avanti o di lato: quando non è più semplice wood, ma super–wood. Qualcosa di così migliore per quanto concerne resistenza, affidabilità, logistica, che potrebbe provenire dal pianeta Krypton. Lasciandoci sperare che non possa possedere comparabili accezioni negative nei confronti di un benevolente semidio castoro.
Questa ben più che una semplice remota aspirazione, visto l’imminente lancio commerciale entro la prima metà del 2026 di un prodotto frutto dell’attenta sperimentazione e perfezionamento della startup statunitense Inventwood (etimologicamente qui s’inizia a intravedere un tema) nata come in tanti casi simili da un gruppo di persone coinvolte in un rivoluzionario studio scientifico dalle forti implicazioni imprenditoriali. Intese come la capacità di agevolare una proficua metamorfosi, dalla figura di scienziato a quella d’imprenditore, laddove simili campi d’interesse non necessitano certo di essere mutualmente esclusivi. E d’altra parte non sarebbe utile di certo scollegare l’avanzamento della collettività indivisa dalla distribuzione tecnologica di un materiale totalmente rinnovato che attende di essere standardizzato al di là di poche norme ereditate da campi adiacenti. Con tutti i rischi e le sfide, sia dal punto ingegneristico che legislativo, che potrebbero tenderne ben presto a derivarne. Qui si sta parlando, in fin dei conti, di lasciarsi indietro in molti campi ciò che ha sostenuto tanto a lungo le nostre costruzioni più imponenti e durature: l’acciaio stesso! Che altro…
trasformazioni
Un ladro di rottami non conosce riposo. E il riciclar gli è dolce in questo mare di macerie animate…
Nel quarto secolo ad Atene, dopo essere emigrato per ragioni legali dal suo luogo di nascita nel Ponto, visse un uomo che credeva fermamente nelle proprie convinzioni. Ed a tal punto era sicuro del supremo cinismo nel contesto dell’Universo tangibile, da rifiutare ogni imposizione o costrutto sociale, vivendo in una botte e consumando avanzi di cibo per assicurarsi la sopravvivenza. Il suo nome era Diogene, ma tutti quanti lo chiamavano il Cane. Interi volumi potrebbero essere riempiti delle citazioni di costui, spesso risposte date a personaggi celebri che tentavano di mettere in cattiva luce il suo stile di vita. In un celebre esempio, dopo aver ricevuto come dono beffardo da Alessandro Magno delle ossa da rosicchiare, il filosofo rispose famosamente: “Degno di un cane il cibo, ma non degno di un re il regalo”.
Fondamentalmente trasformato nell’immaginario popolare in una sorta d’ibrido inter-specie a metà tra bipede ed i nostri migliori amici, il personaggio di Diogene rivive in uno scaldabagno grazie all’opera dell’argentino Guillermo Galetti. L’artista noto su Internet come Ladron de Chatarra (Ladro di Spazzatura) non tanto per i propri metodi di applicazione, quanto in funzione della sua capacità di sovvertire un destino di entropia elaborando nuove cose o personaggi dove altri vedrebbero soltanto ragioni di abbandono. Ecco allora quel cilindrico “individuo”, che fatto muovere grazie all’impiego di una barra orizzontale, si piega innanzi mentre il volto assume nuove configurazioni. Come la testa di un Transformer, diviene oblungo e pare pronto ad annusare il cerchio dei dintorni erbosi. Dove c’era l’uomo, adesso tutto è cane. Distanti abbai risuonano nella distratta mente degli osservatori…
È un tipo di arte post-moderna, senza dubbio, poiché dedicata con intento radicale a catturare l’attenzione di chiunque, senza suscitare necessariamente pratici pensieri sulla vita, l’esistenza o lo stato politico dell’uomo. Forse per questo l’operato di Ladron, che egli ha dichiarato qualche volta avere dei “significati nascosti”, risulta tanto popolare su Internet, dove ha trovato la collocazione ideale in lunghi e articolati montaggi di materiale, tratto dai suoi canali social e talvolta accompagnato da vari brani di musica Rock & Pop. Forse il più grande dei colmi, per questo insegnante di Buenos Aires con sede operativa a Villa La Angostura che fermamente dubita della tecnologia, come un moderno Diogene, e va predicando sopra ogni altra cosa l’importanza per i giovani di ritornare a saper impiegare la creatività manuale. Tanto che egli narra, nelle poche interviste e materiali di supporto che accompagnano le proprie opere, di essere stato convinto unicamente dalla moglie, con l’aiuto del periodo d’inedia dovuto al Covid, a pubblicare online le immagini ed i video dei propri lavori. La cui varietà è tanto straordinaria, quanto confusa risulta esserne la cronologia o un’effettiva dichiarazione d’intenti…
La futuribile trasformazione amorosa del volatile più pesante al mondo
Dov’è la testa? Dov’è la coda? Mentre agilmente si aggira sobbalzando, il petto ribaltato a dimostrare la vaporosa approssimazione di una nube marrone, l’essere agita le molte punte tigrate che caratterizzano la propria forma irreale. Due generate dagli ornamenti araldici attorno al suo collo. Altrettanti a quelle che parrebbero proprio essere, contrariamente all’intuito, un paio di ali in posizione ricurva. Ed una curva verso il suolo che ad uno sguardo più accurato rappresenterebbe niente meno che il timone dei suoi metodi ed approcci al decollo. In chiara contrapposizione ad una biglia sfavillante tra il piumaggio. È forse un occhio, quello? Che scruta con intento stolido la forma indistinta di Qualcuna tra l’erba? Oh, silenzio benedetto, che anticipa e favorisce la meditazione sulla Natura…
Negli uccelli dal nome breve non è insolito che le due o tre sillabe impiegate vogliano, in qualche maniera, approssimare il verso che questi producono per dare affermazione al proprio essere o l’imprescindibile ambizione d’accoppiamento. Detto ciò bastano pochi secondi, ascoltando il gutturale e ripetuto grugnito dell’otarda maggiore, quasi minaccioso nel suo tenore, per comprendere come questo non sia certo il elemento di fascino maggiore. Potendo di suo conto relegare una simile qualifica all’aspetto visuale (e rituale?) del suo speciale metodo di affascinare l’effettiva controparte con cui auspica costruire un nido e la famiglia. Un’approccio che potremmo accomunare a quello utilizzato assai probabilmente sul pianeta Cybertron, dalla stessa razza di robot senzienti cui appartengono Optimus Prime, Bumblebee e Starscream: Transformers di nome e di fatto, in una maniera che istintivamente non saremmo inclini ad associare ad esseri fatti di carne e sangue, sulla base dei processi evolutivi tipici del nostro recesso galattico privo di occasioni comparative. “Oh, Otis tarda che possiede il mistico segreto della metamorfosi!” avrebbe potuto scrivere Plinio il Vecchio menzionandola nella sua Storia Naturale (77 d.C.) se non fosse rimasto piuttosto colpito dal modo in cui gli abitanti della Spagna rifiutassero consumarne le carni, a causa dell’odore nauseabondo del suo midollo (!) E d’altra parte non è particolarmente probabile che ne avesse visto una con i propri occhi, considerata l’effettiva diffusione all’epoca di un simile pennuto principalmente nelle steppe asiatiche, le pianure cinesi e determinati recessi della penisola iberica. Questo perché l’impressionante creatura, proporzionatamente e concettualmente non dissimile da un tacchino del Nuovo Mondo, ha diversamente da quest’ultimo sempre vantato una spiccata preferenza per le pianure aperte ed assolate. Che nel mondo antico, prima delle trasformazioni agricole del paesaggio europeo, erano ancora subordinate a vaste distese ininterrotte d’ombrose foreste. E l’otarda non aveva, ancora, l’occasione di risplendere cangiante nell’inanimato participio della Creazione;
Un atteso riconoscimento al lago che occupava l’intera metà orientale d’Europa
L’estrema antichità della Terra era fondamentalmente un’epoca di assoluto dualismo. Quando le placche continentali risultavano ancora unite in una singola entità e qualsiasi mappa fosse stata tracciata della superficie di questo pianeta avrebbe mostrato l’evidente contrapposizione tra il singolo altopiano e l’antistante pianura; l’entroterra, una lunga e frastagliata linea costiera; la foresta popolata di creature, la steppa desolata prossima alla desertificazione. E soprattutto, UN oceano, UN lago. Soluzione molto pratica all’incombente giustapposizione topografica, di cosa contrapporre ad una massa d’acqua che avvolgeva totalmente i globo destinato ad ospitare un giorno le multiformi civilizzazioni umane: questo era il vasto Tethys e il suo “minuscolo” gemello, Parathetys (o Paratetide, o Sarmatico) non molto meno salmastro e popolato di creature ad oggi oggetto di molteplici ipotesi contrastanti. Così definito per la prima volta nel 1924 dal geografo Vladimir Laskarev, che ne aveva teorizzato l’esistenza dall’osservazione di taluni strati di sedimenti risalenti all’epoca del Neogene (23,03 – 2,58 milioni di anni fa) in grado di sfidare la percezione per lo più unitaria degli ambienti appartenenti ad un talmente vasto trascorso della massa eurasiatica presa in esame. Il che non significava, d’altra parte, che qualcuno si sarebbe affrettato ad aggiornare le mappe pubblicate sui libri scientifici e di scuola, per almeno un altro mezzo secolo a venire. Poiché la presa di coscienza che un lago ci fosse non sottintendeva informazioni specifiche sulla sua forma e dimensioni, tanto che teorie molto diverse ebbero a succedersi per tutto il corso del secolo successivo. E fino al 2021 quando, finalmente, una ricerca approfondita avrebbe posto un significativo sugello a questa interminabile diatriba. Per l’iniziativa e i metodi impiegati da Dan Valentin Palcu, del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Utrecht, che per primo ebbe l’idea di applicare la moderna disciplina della magnetostratigrafia allo studio degli strati geologici rintracciati nella zona della penisola russa di Taman, che si avvicina nella parte settentrionale del Mar Nero alla propaggine orientale della Crimea. Così da rintracciare, attraverso una datazione conseguente dalla periodica inversione della polarità terrestre, l’intera storia pregressa del vasto territorio che incorporava, o per meglio dire conteneva, l’attuale bacino idrico di un tale asset strategico al centro d’innumerevoli conflitti fino all’era contemporanea. Unendola in quei tempi remoti con il Mar Caspio in quella che era una singola distesa in grado di estendersi fino alle Alpi da una parte, ed il mare di Aral dell’Asia Centrale dall’altra. Non è perciò alquanto stupefacente, ed al tempo stesso innegabilmente ingiusto, che il mega-lago Paratetide non sia mai effettivamente comparso, fino all’edizione attuale, negli augusti e celebrati elenchi del Guinness dei Primati?



