Così è stato riforgiato l’edificio dove nacque il commercio contemporaneo

L’impietoso trascorrere degli anni può erodere persino le montagne. Figuriamoci d’altronde i ponti, le strade, i palazzi edificati dalle mere civilizzazioni del nostro mondo. Eppure ciò che non ci aspetteremmo normalmente, è che il simbolo stesso di un ambiente cittadino, il luogo che più d’ogni altro aveva il compito di restargli associato nella memoria dei viaggiatori, possa essere lasciato totalmente a se stesso, fino al punto di veder crollare il soffitto frantumando i pregevoli rivestimenti del pavimento, destinati ad essere coperti dal guano dei tipici pennuti urbani. Piccioni che conoscono, laddove ad altri può mancare, l’istintivo senso di essere in presenza di qualcosa di Grande, la residenza un tempo principale del carattere ed il senso dell’intera città di Anversa. “Benvenuti nella Borsa (o Handelsbeurs)” avremmo dunque potuto esclamare in un qualsiasi momento degli ultimi 20 anni. Ma difficilmente sareste rimasti particolarmente colpiti, dallo stato del suo vasto ambiente. Per come l’amministrazione cittadina, tra la sostanziale indifferenza del pubblico, l’aveva lasciata scivolare lentamente verso uno stato di squallore e deperimento. Là, dove dal XVI secolo volta i mercanti medievali avevano scoperto la convenienza di un luogo costruito appositamente per condurre gli affari. E proprio là, dove nel corso delle generazioni si erano susseguiti validi artigiani e decoratori, per offrire un’immagine pregevole della raffinatezza di una delle principali città d’Olanda. Nonché la prima ad aver razionalizzato, come in molti si sarebbero affrettati ad imitarla, la convenzione istituita nella vicina Bruges, secondo cui gli affari dovessero essere condotti in un territorio neutrale, comune e privato al tempo stesso. Che ivi era stato individuato, per convenzione, nella taverna cittadina di Van der Beurze. Come fare dunque per creare un luogo degno d’ospitare i commercianti provenienti da tutta Europa, incluse le repubbliche marinare di Genova e Venezia con le loro pregevoli merci del distante Oriente… L’idea venne a qualcuno con il potere di realizzarla nell’anno 1515, quando lungo il corso del fiume Scheldt venne costruito un edificio con quattro portici che circondavano una piazza centrale, ed una torre campanaria utilizzata per segnalare l’apertura dei commerci. Era questa la Vecchia Borsa (Oeude Beurs) destinata ad essere giudicata eccessivamente angusta nell’anno 1531, quando per volere del Sacro Romano Imperatore Carlo V ed al cospetto del magistrato cittadino ne venne costruita una versione più grande nella parte sud-est del centro cittadino, presso un terreno acquistato dalla famiglia Immerseele. Progettato dall’architetto Domien de Waghemakere, il nuovo edificio imitava la struttura generale di quello precedente, con una significativa rivisitazione dei colonnati costruiti questa volta in stile Neo-Gotico, ed archi trilobati ornati con numerose repliche dello stemma cittadino. Questo fu l’inizio, in un certo senso, dell’epoca d’oro di Anversa. Che non sarebbe stata priva, d’altra parte, della propria dose d’imprescindibili incidenti…

La seconda ricostruzione della Borsa, ormai priva delle torri che occupavano semplicemente troppo spazio nella nuova collocazione, dovette dunque essere intrapresa nel 1585, dopo che un improvviso incendio ne aveva avviluppato, nei termini riportati dall’architetto Paul Luydinckx “I quattro angoli nel tempo necessario a recitare tre Miserere”. Il che non causò alcuna battuta d’arresto, d’altronde, per i commerci dell’Europa centrale, visto come l’idea degli abitanti di Anversa fosse stata ormai copiata in molte altre città d’Olanda e non solo. In modo particolare è noto come Sir Thomas Gresham, il celebre banchiere inglese, avesse riportato a Londra le impressioni di un suo viaggio e gli affari condotti nello sfortunato palazzo, per provvedere conseguentemente a riproporlo per la capitale inglese nel 1565, ottenendo il beneplacito della regina Elisabetta I e l’istituzione di quella che sarebbe diventata in seguito la Royal Exchange. Una tendenza dei due popoli a seguire le rispettive linee guida che avrebbe visto, alcuni secolo dopo, un reciproco scambio d’influenze. Come esemplificato dall’importane contributo offerto dal deputato, industriale e scrittore belga Charles Henri Marcellis (1798-1864) autore tra le altre cose del poema epico “I Tedeschi” che nel 1853 ottenne il permesso di mettere mano al vecchio edificio, da tempo declassato a scuola di disegno e parzialmente abbandonato. Occasione nella quale, traendo ispirazione dal grande edificio di vetro vittoriano del Crystal Palace londinese, fece installare un tetto di vetro sopra il piazzale centrale della Handelsbeurs, permettendo finalmente di utilizzarla senza timore delle intemperie o il freddo invernale dei Paesi Bassi. Miglioramento paragonato senza falsa modestia dal suo stesso costruttore alla “cupola di San Pietro o del Pantheon” destinato tuttavia a non durare particolarmente a lungo, visto il secondo incendio del 1858 che ne avrebbe causato l’inevitabile crollo sulla piazza centrale, fortunatamente in un momento in cui nessuno si trovava lì a pagarne le conseguenze. Ma poiché ogni disastro rappresenta spesso anche un’opportunità, fu allora decretato che un nuovo concorso cittadino fosse istituito per la raccolta e comparazione dei progetti possibili di ripristino, tra cui due emersero come gli assoluti favoriti, il primo dello stesso Marcellis, ed il secondo dell’architetto di Anversa Joseph Henri Martin Schadde (1818-1894). Si trattava di approcci ragionevolmente simili, con stile tradizionalmente Neo-Gotico ed un generoso impiego di metallo nella struttura e rifiniture, completate con pregevoli ornamenti naturalistici che sembravano quasi anticipare il Liberty e l’Art Nouveau. Tuttavia il consiglio, preoccupato dalla diminuzione dello spazio pedonabile per le attività dei visitatori, esito nel prendere una decisione fino al 1861, quando finalmente venne attribuito l’incarico a Schadde, con un costo del progetto stimato attorno a 1,7 milioni di franchi. La Nuova Borsa, infine, venne aperta soltanto nel 1872.

Furono di nuovo, anni di fervente attività a successo nella conduzione dei commerci, che nel frattempo erano giunti a costituire una questione considerevolmente più complessa, data l’introduzione intercorsa dei certificati e del mercato azionario. Così la sede d’interscambio d’Anversa si arricchì in quegli anni di uffici stabili per i diversi partner commerciali al primo piano ed un vero e proprio albergo incorporato, nel vicino palazzo del Den Grooten Robijn, oggi soprannominato la Casa degli Zaffiri, poiché qualcuno affermava che ogni gemma d’Europa passasse, prima o poi, tra quelle mura. La stessa integrazione della Borsa nel sostrato urbano del suo intero quartiere era ormai del tutto imprescindibile, facendo parte e confondendosi in mezzo al reticolo delle strade cittadine, piuttosto che emergerne come un’antica basilica o cattedrale. Finché nel 1997, dopo la sua lunga attività, le istituzioni decisero d’integrarne le funzioni amministrative nel Palazzo della Borsa a Bruxelles, il che portò ad un rinnovato e questa volta duraturo stato di abbandono. Con il risultato che abbiamo descritto in apertura: totale, rapida ed almeno apparentemente, irrisolvibile rovina. Almeno finché nel 2013 al governo fiammingo non venne in mente un’idea potenzialmente risolutiva: perché non coinvolgere, assieme allo stanziamento di fondi, la rinomata catena di hotel Marriot per sponsorizzare una titanica impresa di restauro? Essa avrebbe potuto avere in leasing la gestione della Casa degli Zaffiri, potendo in aggiunta utilizzare il piazzale della Borsa per i propri eventi serali e la costruzione di un notevole ristorante. Mentre durante il giorno, e nei weekend, Anversa avrebbe riguadagnato uno dei suoi ambienti maggiormente caratteristici, per mostre, conferenze o presentazioni letterarie. Una fortunata convergenza destinata a realizzarsi entro l’anno 2020, con l’inaugurazione rimandata fino maggio del 2022 causa i duri anni del Covid. Nonché i ritardi dovuti ai numerosi, importanti reperti archeologici trovati durante gli scavi, alcuni dei quali antecedenti addirittura al 1515.
Poiché non importa quanto i tempi possano mutare, la terra sotto i nostri piedi non dimentica e lo stesso vale per gli spazi individuati in essa per possibili benefici a vantaggio della posterità. Ragione ulteriore, se mai ce ne fosse l’effettiva necessità, di tutelare i beni che abbiamo ricevuto e renderli, per quanto possibile, eternamente attuali.

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