Lo strano aspetto di una margherita nel sogno urbanistico del modernismo moldavo

Collocata strategicamente tra il parco cittadino di Valea Trandafirilor e l’Ospedale Repubblicano, lungo la via Ion Casian-Suruceanu (archeologo) di Chisinau, la torre Romanita costituisce uno dei punti di riferimento maggiormente riconoscibili della capitale moldava, benché ammantata di un fascino direttamente connesso ad una delle epoche più politicamente e socialmente complesse nella storia di quel paese. Un aspetto pienamente desumibile dalla stessa forma e funzione dell’edificio alto 77 metri, concepito nel 1978 e portato a termine soltanto 8 anni dopo, all’apice del periodo di dominazione sovietica iniziato al concludersi del secondo conflitto mondiale. Dietro la facciata e quella forma cilindrica dotata di una sua eclettica grazia ed imponenza, coi balconi sovrapposti a ricordare i petali del fiore di camomilla da cui prese il nome, sussisteva infatti quello che potremmo definire una sorta di effettivo alveare umano, con 16 piani residenziali suddivisi in 165 appartamenti, ciascuno originariamente non più grande di 6 metri quadri suddivisi in due stanze, pensate per l’abitazione di altrettante persone. Direttive certamente ingenerose in termini di spazio, ma supremamente decretate dalle linee guida del partito al comando, fermamente convinto ancora in quell’epoca della stretta relazione tra ideologia ed organizzazione civile. In modo tale da costituire il punto di partenza, soprattutto in città come queste parzialmente rase al suolo dai bombardamenti della guerra, di una rivisitazione del loro stesso piano urbanistico, fino all’implementazione di quella che avrebbe potuto definirsi per certi versi la perfetta città socialista. Come perseguito dal celebre Alexey Victorovich Shchusev, architetto autore d’innumerevoli chiese, monasteri e monumenti come il ponderoso mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa, nel momento in cui venne chiamato tra il 1947 e il ’49 al fine di elaborare un piano per la ricostruzione di Chisinau. E fino all’opera del suo collega successivo Oleg Vronsky, che oltre un ventennio dopo si occupò di elaborare assieme all’ingegnere A. Marian un qualcosa che potesse connotare, ed in qualche modo agevolare tale significativa visione delle cose. Ben più che un semplice complesso d’appartamenti, quando si considera il coinvolgimento diretto del Ministero delle Costruzioni dell’Unione Sovietica, il cui direttore aveva ricevuto istruzioni di far costruire secondo un aneddoto l’esempio insolitamente verticale del tipico sanatorio di riferimento in base alla tradizione del Blocco Orientale. Ovvero un luogo dove mandare in vacanza i propri sottoposti, per rinfrancarsi e riposarsi a spese dello stato, soggiornando in posizione sopraelevata in un luogo dalla storia lunga e affascinante come la principale città della regione di Bessarabia. Se non che la realtà delle esigenze abitative ed urbanistiche di Chisinau, nel corso della costruzione, avrebbe cambiato radicalmente l’utilizzo futuro del palazzo, trasformandolo in qualcosa di più ordinario e proprio per questo, ancor più drammaticamente affascinante…

Con la sua disposizione verticale e sovrapposta, la torre ricorda in realtà strutture vegetali più complesse del semplice fiore della camomilla/margherita, avvicinandosi per certi versi all’infiorescenza che si trova all’origine dell’ananas tropicale. O persino il frutto stesso in dimensioni giganti, trasferito in questa terra gelida da quello che può essere soltanto uno strano scherzo del destino.

Alcuni ricordano perciò i disegni originali della torre, in cui l’edificio oggi noto come Romanita avrebbe dovuto giovarsi di strutture interne come un cinema, una palestra, un grande salone da pranzo e una libreria. Per non parlare dello spettacolare ristorante rotante situato in corrispondenza del “bulbo” in cima all’imponente fiore, sebbene la realtà oggettiva dei fatti ci permetta di notare come tale livello tecnologico fosse del tutto inaccessibile alla Moldavia di quei giorni. E anche dopo… Così che fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, in piena osservanza ai severi codici edilizi di tale impero, la Margherita restò classificata unicamente come dormitorio per la classe lavorativa locale, gestito da una società amministrata indirettamente dal governo locale. Entità la quale, come molte altre simili, venne a seguito di quel momento storico immediatamente privatizzata, per poi affrettarsi a vendere dietro il pagamento di cifre spesso simboliche gli appartamenti ai loro stessi occupanti. Il che fu, paradossalmente, l’inizio del declino per la torre di Chisinau, con gli inquilini comprensibilmente insoddisfatti dei limitati spazi a disposizione che iniziarono a vendersi vicendevolmente ed unire gli appartamenti, oltre a far chiudere e rendere abitabili i balconi tramite l’aggiunta di strutture permanenti antiestetiche e spesso tutt’altro che stabili, capaci di appesantire e mettere in pericolo la stabilità dell’edificio. Entro un periodo di cinque-sei anni, quindi, i negozi presenti al piano terra che includevano barbiere, calzolaio e alimentari chiusero bottega, in forza della crisi economica vissuta dall’intero paese durante il corso dell’epoca post-sovietica, aumentando il senso di degrado ed abbandono dell’edificio. Nell’attesa implicita di quel processo di gentrificazione che non avrebbe mai potuto verificarsi in tale ambiente sociale, la torre iniziò quindi a dimostrare la mancanza dei necessari interventi di manutenzione, fino all’aspetto tutt’altro che ideale sfoggiato nell’era odierna. Ciononostante solida nel suo comparto strutturale, grazie all’impiego di materiali ed un progetto valido all’epoca della sua edificazione, viene stimato che l’interessante condominio possa mantenersi abitabile fino alla fine di questo secolo e potenzialmente anche oltre, in assenza di particolari ragioni economiche per procedere alla sua demolizione. Un silente monito, e importante ricordo, di quell’epoca d’imposizioni da parte di un sistema politico straniero, così come osservabile in innumerevoli altri luoghi della città: vedi le celebri Porte di Chisinau, gli edifici a forma di scala ascendente a lato della strada principale del quartiere Botanica, costruiti all’inizio degli anni ’80 non lontano dall’Aeroporto Internazionale. O l’arena musicale e teatrale del Circo di Stato in via Renasterii, simile a un’avveniristico stadio al chiuso del nostro domani, caratterizzato dall’impostazione zig-zagante dei propri pilastri di sostegno posti a vista sul corpo circolare. Luoghi potenzialmente magnifici ed altrettanto egualmente in condizioni attuali di degrado per lo meno estetico, in un paese la cui situazione appare ormai da tempo in bilico sul ciglio dell’indigenza. Ma forse anche abbandonati dallo stato, in parte perché totalmente indissolubili di un tempo d’ingiustizie ed implacabili disuguaglianze sulla base di criteri imposti dall’alto. Come in molti altri, dolorosi luoghi…

A poca distanza dalla torre Romanita, il parco Valea Trandafirilor è un ricettacolo di vecchi monumenti sovietici e opere sculturee socialiste, capaci di resistere imperterrite alla furia degli elementi. Ed anche quella dei loro concittadini moldavi, che in molti altri luoghi simili hanno lasciato prevalere le ragioni distruttive del vandalismo.

Per quanto concerne la vicenda pregressa dell’intera Bessarabia, dunque, sarebbe difficile d’altronde non intravedere costantemente l’ombra soverchiante della cultura ed il dominio russo, fin da quando a seguito della guerra con la Turchia terminata nel 1812, lo stato vassallo dell’Impero Ottomano venne trasferito all’egemonia zarista, che ne fece un governatorato. Soltanto a seguito della rivoluzione bolscevica del 1917, il nuovo stato costituito della Repubblica di Moldavia poté quindi dichiararsi indipendente, scegliendo di rientrare nella sfera d’influenza e protezione della confinante Romania, con una serie di accordi fin da subito messi in discussione dalla potenza d’Oriente, che nel 1940 riprese il controllo della regione con il beneplacito della Germania nazista, in quello che sarebbe passato alla storia come il patto Molotov–Ribbentrop. Ma il peggio, come si dice, doveva ancora venire e con il cambiamento dei rapporti di potenza e l’andamento del catastrofico conflitto, iniziato con la “semplice” invasione della Polonia, l’intera struttura socio-politica Moldavia sarebbe diventata un campo di battaglia fino ad essere ridotta in cenere, ponendo in essere le basi di una possibile rinascita futura. I cui risultati sono, ad oggi, diversamente interpretabili dagli occhi di noi tutti ma le cui conseguenze ancora tardano oggettivamente ad estinguersi, nell’intera zona sempre più incandescente dell’Europa Orientale.
Che una torre, ad oggi, possa offrire valide finestre utili all’acquisizione sostanziale di una situazione politica così complessa, non dovrebbe compromettere i meriti artistici e tecnologici della sua costruzione. Se soltanto l’uomo fosse una creatura pienamente razionale, così come previsto dall’adozione di particolari sistemi ideologici che non ebbero mai modo di vedere realizzato quel potenziale. D’altra parte, c’è una valida ragione per cui i formicai vengono costruiti sotto terra. Là dove la luce del sole non può giungere, lasciando che processi automatici ed istintivi, dotati di un’implicita saggezza animale, guidino il corso prevedibile e perfettamente ripetibile della Storia.

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