La pregna ruggine del mega-transatlantico fossilizzato nel porto di Philadelphia

Da Roma Sud a Timbuktu, dal fiume Po al Nilo, il più celebre negozio di arredamento al mondo ha sempre lo stesso aspetto esteriore: un cuboide bluastro, la scritta gialla con il termine svedese, il primo piano sopraelevato per permettere il parcheggio dei visitatori. Osservando dalla strada urbana di scorrimento l’Ikea portuale di Philadelphia, in Pennsylvania, è tuttavia possibile notare qualcosa di molto particolare. Si tratta di due torri, dell’altezza di 20 metri, la colorazione che un tempo doveva essere di un intenso rosso con strisce bianche e blu allusive alla bandiera e prossime alla sommità. Da uno sguardo approfondito, attento ed informato, sarà quindi possibile notare come non si tratti d’insegne, cartelli o segnali d’altro tipo, né apparati industriali facenti parte di un qualche tipo d’impianto di produzione. A meno che si decida di considerare il trasporto massivo di cose e persone, come una forma d’industria rappresentativa dell’epoca moderna. Ma occorre un rapido cambio di prospettiva, spostandosi in prossimità del mare, per scorgere la nave che si trova al di sotto. Dietro l’edificio color cobalto, tra le acque del punto d’approdo, campeggia di fatto un importante pezzo di storia tecnologica degli Stati Uniti. SS United States, il transatlantico che porta il nome del suo stesso paese, in condizioni che oggettivamente potrebbero essere migliori. Certo, è quello che succede, quando un grande dispositivo semovente smette di servire lo scopo per cui era stato allestito e dopo lunghi e disperati tentativi di riabilitarlo, seguiti da un parziale smantellamento, finisce per trascorrere mezzo secolo in uno stato di assoluta immobilità e parziale abbandono. Un destino particolarmente crudele in questo caso, qualora si scelga d’approfondire la vicenda pregressa ed il significato un tempo posseduto da questo imponente scafo. 45.000 tonnellate, 302 metri di lunghezza, 240.000 cavalli di potenza per una velocità massima (teorica) di 43 nodi, pari a 80 Km/h. Per il mostro sacro premiato con il prestigioso Blue Bollard, dopo aver battuto nel suo viaggio d’inaugurazione nel 1952 il record segnato dalla RMS Queen Mary, il più veloce bastimento per i passeggeri ad aver solcato in precedenza il tragitto oceanico d’Occidente, con soli tre giorni e 10 ore per andare da New York alla Cornovaglia. Risparmiando ulteriori dieci completi giri della lancetta dei minuti. In un ambiente pratico ed al tempo stesso lussuoso, dov’era possibile mangiare ai tavoli, sgranchirsi le gambe, praticare sport… Qualcosa di difficilmente immaginabile, nella nostra epoca dei voli rapidissimi e low cost. Ma anche questo era un segno della sua epoca e un qualcosa su cui il governo stesso, non senza un piano estremamente preciso, aveva scelto d’investire competenze e capitali ingenti. Così come fatto dallo stesso rivale inglese e l’altra nave Queen Elizabeth, rapidamente trasformati in trasporti per le truppe al principio della seconda guerra mondiale e che sarebbero diventati una risorsa di primaria importanza, nello sforzo bellico congiunto contro le competenze logistiche del Terzo Reich. Così che l’Ammiragliato della Marina, potendo contare sull’eccesso di fondi motivato dal concretizzarsi del rivale sovietico, assegnò alla USL (United States Lines) il compito di costruire un vascello più potente, massiccio e rapido di qualsiasi altro nella sua classe. Mansione per la quale vennero scelti i cantieri di Newport News in Virginia e coinvolto il celebre progettista navale William Francis Gibbs, già responsabile assieme a suo fratello di alcuni degli esempi più notevoli della prima metà del secolo, particolarmente celebri per la sicurezza e l’affidabilità dimostrate anche in caso d’incidente. Ma quello che sarebbe passato alla storia come il loro capolavoro possedeva i meriti, e l’apparenza, di poter costituire ben più di una mera iterazione dei pregressi modelli…

Le visite a bordo della SS United States possono essere prenotate con largo anticipo, sebbene siano piuttosto dispendiose nel tentativo di continuare a finanziarne i diritti portuali. Ma le condizioni del massiccio scafo di metallo continuano, nonostante tutto, a degradare.

Costruita tra il 1950 e l’anno successivo all’interno di un bacino di carenaggio, dietro alte mura e porte chiuse affinché i nemici del paese non potessero acquisire nozioni eccessivamente dettagliate sulla forma dello scafo e del sistema di propulsione, la SS America incorporava in effetti una notevole quantità di tecnologie e soluzioni sperimentali finalizzate a massimizzarne le prestazioni. Tali da renderla a tutti gli effetti, un pugnale capace di solcare i mari, la lancia capace di trafiggere le onde degli oceani terrestri. Il bolide in questione, con uno scafo composto da 183.000 pezzi e prudentemente suddiviso in numerosi compartimenti stagni, era inoltre dotato della quantità opportuna di scialuppe per poter salvare ogni singola donna ed uomo a bordo, evitando di commettere l’errore dei suoi insigni predecessori. E questo non era l’unico accorgimento dedicato alla sicurezza: con interni relativamente sobri e semplici, sulla nave era quasi del tutto assente il legno, mentre addirittura i pianoforti in mogano erano stati messi alla prova per le loro qualità ignifughe, allontanando sensibilmente il potenziale rischio d’incendi. Un’ulteriore attrattiva per i viaggiatori, che almeno nei primi anni affollarono queste auguste sale galleggianti, seguendo l’esempio di numerose personalità celebri tra cui gli eredi al trono d’Inghilterra, Salvador Dalì, Walt Dysney, Marylin Monroe ed attori di Hollywood come Judy Garland e Cary Grant. Tutti egualmente colpiti dalla qualità del viaggio e pronti a ripetere l’esperienza, ogni qual volta se ne fosse presentata l’opportunità. Ma era soltanto la metà degli anni ’60, meno di dieci dal suo varo, che aneddoticamente viene riportato il momento in cui la SS United States aveva cessato di ricavare un profitto dalle proprie operazioni. Con la principale motivazione addotta dell’aumento di voli rapidi per alte quantità di passeggeri ed il progressivo miglioramento dei trasporti aeronautici intercontinentali. Nel 1969, di ritorno per l’ennesima volta a New York, il transatlantico venne dunque inviato ai cantieri di Newport News che l’avevano costruito per effettuare le consuete opere di manutenzione. Ma senza nessun tipo di preavviso, fu mandato l’ordine di rimuoverlo dal servizio attivo. Iniziò, a questo punto, una dispendiosa e letterale Odissea. Spostato inizialmente lungo il James River fino a Norfolk, venne ufficialmente restituito al suo principale azionista, l’Amministrazione Marittima degli Stati Uniti. Pur avendo ricevuto nel 1973 un’offerta da parte della Norwegian Lines che voleva farne una nave da crociera, il governo decise quindi di mantenerne il possesso, affinché le tecnologie classificate utilizzate per costruirla non diventassero troppo presto di dominio pubblico. Nel 1977 venne stabilito un piano per trasformarla in un hotel e casinò galleggiante da posizionare nel porto di Atlantic City con la sanzione dell’Ammiragliato, ma il progetto finì per naufragare nel giro di un anno. Mentre quello successivo, finalmente, lo scafo venne messo in vendita al miglior offerente. Ad aggiudicarselo fu l’uomo d’affari di Seattle Richard H. Hadley, che voleva utilizzarlo per un’innovativa tipologia di crociere con multiproprietà dei passeggeri, destinata anch’essa a scontrarsi con limitazioni normative ed organizzative tali da impedirne l’effettiva implementazione. Così la nave restò a Newport News per ulteriori 15 anni, durante i quali vennero tolti i mobili ed ogni altro oggetto di valore all’interno, finché non venne acquistata nuovamente nel 1992 dal magnate turco Julide Sadıkoğlu, che la fece spostare fino ai cantieri navali di Sebastopoli, in Ucraina. Dove con l’intento potenziale di rimetterla in condizioni d’utilizzo, fece rimuovere la copiosa quantità di amianto utilizzato per le paratie interne, lasciando essenzialmente un guscio vuoto d’acciaio ed alluminio, la cui solidità complessiva restava ad ogni modo più che sufficiente per un riallestimento futuro. Come risulta ancora oggi, almeno in linea di principio, sebbene come potrete immaginare il transatlantico sarebbe stato venduto di nuovo nel 1997 al miliardario Edward Cantor, quindi finalmente nel 2003 alla Norwegian Cruise Line, che già aveva espresso il proprio interesse trent’anni prima ed era ancora intenzionata a farne una nave da crociera per girare la Ovest e raggiungere l’arcipelago delle Hawaii. Ma anche a questo ennesimo sogno, purtroppo, sarebbe mancato il carburante portando all’abbandono sostanziale della nave nel porto di Philadelphia.

Gloriosa ai tempi d’oro, indesiderabile e scomoda nel proseguire delle generazioni occorse. È il destino di qualcosa costruito con finalità specifiche, nel momento stesso in cui le condizioni tendono a modificarsi. Il che diverge, di suo conto, dal valore di un qualcosa creato unicamente per la sua bellezza. Non che siano in molti, oggi, a ricordare l’importanza di tale approccio!

Una situazione destinata ad avere vita breve se non fosse intervenuto, nel 2009, un singolare colpo di scena: l’ingresso nella vicenda di un fondo costituito tra gli altri dal filantropo H. F. Lenfest, per la tutela e conservazione di un così importante pezzo di storia nazionale. Che aveva scelto come portavoce niente meno che Susan Gibbs, la pronipote dello stesso progettista della nave tanti anni prima, coadiuvata dal famoso anchorman della CBS Walter Cronkite, che aveva viaggiato sulla SS United States con i propri genitori negli anni dell’adolescenza. Per invertire la tendenza di questo “crimine dell’incuria” e trasformare l’imbarcazione dismessa in qualcosa di utile, come un museo, uno spazio per gli eventi… Qualsiasi cosa! Prospettiva tutt’altro che semplice quando si prende atto dello stato rovinato del pur solido metallo dello scafo, la quasi totale assenza di struttura interna, i pericolanti piani superiori e la presenza persistente di sostanze chimiche all’interno, potenzialmente nocive per la salute e l’ambiente. Aggiungente a questo l’ultima notizia trapelata il mese scorso di come l’istituto di tutela sia attualmente in arretrato coi pagamenti alle autorità portuali per circa 160.000 dollari di diritti di approdo, e comprenderete come le prospettive future del battello siano tutt’altro che assicurate. Ma in definitiva, cosa potrà succedere adesso? Semplicemente smantellare un manufatto di queste dimensioni è un obiettivo tutt’altro che a buon mercato. Ed anche affondarla a largo delle coste comporta costi notevoli per metterla in sicurezza e rimuovere qualsiasi elemento possa danneggiare l’ambiente. La SS United States è diventata, a tutti gli effetti, una pietra nobile dell’infamia, le spoglie inamovibili di Polifemo. Che parla di un’epoca di gloria ma ci ricorda anche i gravi problemi, che derivano dal perseguire obiettivi complessi con tutte le risorse disponibili per la moderna società industrializzata. Fondamentalmente non biodegradabile, in alcuna misura filosofica connessa al cuore della propria stessa incancellabile invadenza.

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