Di antiche tavolozze dei giganti e laghi taumaturgici nella Columbia canadese

Nessuno sa esattamente quanto possa essere antica la cerimonia curativa degli Okanagan, un rituale condotto periodicamente sotto la supervisione degli anziani, depositari del potere filosofico e spirituale della tribù. Ciò che sembra aver costituito, ad ogni modo, una costante imprescindibile nella pratica di questa circostanza originaria della regione sul confine tra lo stato americano di Washington e il Canada, centrata sulla valle omonima dai 400.000 residenti complessivi, è l’utilizzo del singolo elemento che le credenze locali hanno sempre giudicato responsabile di consentire e preservare l’esistenza umana: siwɬkʷ, l’acqua che compete agli sciamani, responsabili di preservarne la sacralità e purezza soprattutto nel procedere di un’epoca fermamente determinata a farne un’imperterrito sfruttamento. Per quanto possibile e comunque non sfruttando, per ovvie ragioni di contesto, una piccola pozza endoreica come quello di Kłlil’xᵂ (pron. Kliluk) più comunemente detta del lago maculato per il suo aspetto talvolta estremamente caratteristico e distintivo. Una depressione impermeabile vagamente reniforme della lunghezza di 0,7 Km per 0.25 di larghezza, unite a una profondità molto variabile in funzione della quantità di precipitazioni cadute annualmente. Questo per l’assenza, come implica la sopracitata qualifica idrologica, di alcun affluente o emissario, presumendo un ciclo che deriva unicamente dall’accumulo delle acque discendenti dalle colline circostanti e conseguente evaporazione, durante i mesi dell’estate priva di umidità. Periodo in cui, con precisione svizzera ed ineluttabile, il livello complessivo cala fino al punto di lasciare ben visibile una matrice di circa quattrocento pozze dalla forma circolare, ultimo residuo del precedente specchio di superficie. Elementi ben distinti tra di loro perché formano un gradiente cromatico varabile, ciascuna caratterizzata da un colore come il verde, marrone, rosso ed azzurro. Ancor più visibili grazie al fondale fangoso che li circonda con il suo colore biancastro, derivante da un affioramento di significative quantità del sale sottostante. Non c’è quindi molto da meravigliarsi se gli Okanagan, anche detti Syilx o per traslitterazione di epoca coloniale identificati come il gruppo etnico dei Salish, abbiano lungamente attribuito a questo luogo il coinvolgimento in un’ampia serie di miti e leggende, la maggior parte collegate ad una particolare circostanza. Quella di uno spirito superno, antica madre dei processi naturali, che piangendo lacrime amare per la malattia dei propri amati figli le avrebbe lasciate cadere per un anno intero nel bacino del Kliluk, ciascuna delle quali andando a formare una singola delle pozze variopinte del particolare contesto lacustre. Donando ad esse la particolare qualità di agire come cura possibile per una delle malattie della Terra, mediante il tramite di un giusto grado di rispetto spirituale e la capacità di compiervi abluzioni nel modo corretto. Una credenza con più basi logiche e comprovate evidenze, di quanto si potrebbe idealmente essere inclini ad immaginare…

Il lago maculato visto dall’alto verso la fine di luglio si presenta in tutta la sua inconfondibile magnificenza. Benché occorra ricordare come ciò derivi principalmente da una condizione per lo più variabile all’interno della comune progressione dei mesi, risultando molto meno contrastante dal punto di vista cromatico durante il periodo più freddo dell’anno

L’origine della particolare variazione cromatica di questo lago è infatti la diretta conseguenza dei depositi di una quantità estremamente varia di minerali, tra cui solfato di calcio, sodio e calcio su uno strato di epsomite sottostante. Con l’apporto occasionale di sostanze più rare quali l’argento ed il titanio. Il che lo rende affine, per certi versi, al tipo di sorgenti termali utilizzate fin dai tempi più remoti al fine di curare l’artrite ed altre afflizioni derivanti dal raggiungimento dell’età avanzata (i cosiddetti “sali di Epsom”) così come almeno apparentemente avverrebbe in date e circostanze particolari per il lago venerato dagli Okanagan. Sito che rimane d’altra parte, come reso evidente da un portale situato a ridosso della sovrastante autostrada, rigorosamente chiuso al pubblico e di proprietà privata, in base all’acquisto effettuato nell’ottobre del 2001 da un consorzio delle Prime Nazioni assistito per il 20% della cifra corrisposta di 700.000 dollari ad opera del CIRNAC – Dipartimento Crown-Indigeno degli Affari Settentrionali. Indotto spontaneamente a partecipare nel momento stesso in cui i precedenti proprietari da oltre 40 anni di questo terreno, la famiglia dell’imprenditore Ernest Smith, avevano annunciato l’intenzione di trasformarlo in un resort, condannandone a tutti gli effetti la natura intonsa e ritenuta degna di essere preservata. Triste casistica del resto non del tutto priva di precedenti, vista l’occorrenza all’epoca della grande guerra di un periodo lungo almeno 5 anni durante cui dal lago vennero estratte copiose quantità di sale alcalino al fine di produrre munizioni ed esplosivi per il conflitto. Operazione a seguito della quale, almeno in base ai resoconti degli anziani, il lago perse molta della sua vivacità ed implicito potere curativo. Assurto nuovamente agli onori delle cronache mediatiche nel 2016, il lago Kliluk è stato dunque individuato dallo studioso della Brown University, Kevin Cannon come possibile ambiente adatto alla sopravvivenza di varie tipologie di organismi estremofili, tra cui microalghe e colonie batteriche, evidentemente capaci di attraversare indenni anche gli occasionali ed estesi periodi in cui l’acqua evapora del tutto, portando questo bacino ad una condizione ambientale non dissimile da quella del cratere marziano di Columbus. Uno dei luoghi in cui è ritenuto possibile scoprire un giorno la presenza di piccole sacche d’umidità ed in conseguenza di ciò, alcuni lontani eredi degli antichi microrganismi che abitavano il Pianeta Rosso. Un’opportunità unica, a tutti gli effetti, per desumere in maniera indiretta i possibili limiti più avanzati per la vita biologica e tutto ciò che questa comporta.

La visita del lago presuppone una richiesta formale alle rilevanti associazioni del popolo degli Okanagan, proprietari esclusivi del suo terreno. Non che il singolo cancello privo di recinzione faccia molto per tenere lontano i turisti, con conseguenze particolarmente sgradite agli sciamani. Pare, infatti, che il potere magico del sito sia soggetto non soltanto all’inquinamento materiale, bensì anche l’accumulo d’influenze negative dovute a tutti che mancano di rendergli omaggio in maniera appropriata.

È interessante notare in conclusione, dal punto di vista geologico, la maniera pratica in cui le “macchie” del lago Kliluk vengono effettivamente a formarsi. In realtà unica parte visibile di un cono invertito, di per se frutto dell’affioramento attraverso uno strato di terra impermeabile del prodotto collaterale di un processo di cristallizzazione, all’origine della formazione di un sostrato minerale noto come kieserite. Esso stesso ancorato, all’estremità opposta, all’epsomite sottostante e che una volta esposto all’aria genera il colore bianco che ben conosciamo. Lo stessa metodologia impiegata dalla natura, di suo conto, per la definizione stagionale dei famosi laghi salini dei Territori Settentrionali australiani, anch’essi caratterizzati da una pluralità di variazioni cromatiche e forme particolarmente distintive.
E se di lor conto questi ultimi non furono mai impiegati con finalità rituali dalle locali popolazioni aborigene, largamente indifferenti alle loro potenzialità curative, ciò fu più che altro per l’assenza di una valida opportunità situazionale, o la sostanziale assenza d’insediamenti vicini. Poiché e veramente molto difficile restare indifferenti, di fronte all’insolita ed accattivante configurazione di un così distintivo fenomeno naturale.

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