La più grande e la più piccola dimora nella galassia d’isole tra Stati Uniti e l’Ontario

Con il drenaggio del Mare di Champlain, una vasta massa d’acqua salmastra situata nell’odierna zona centrale del Canada, un lungo e profondo fiume venne scavato dalla forza dell’erosione per 3.058 chilometri, fino all’intero stato americano del Michigan e quello di New York. Circa 12.000 anni dopo, a seguito della guerra dei sette anni combattuta tra francesi ed inglesi (1756-1763) venne ritenuto equo disegnare un’importante linea di demarcazione in corrispondenza di questo corso d’acqua, nel frattempo ri-battezzato con il nome di St. Lawrence (rispetto alla pletora di complicate sillabe impiegate dalle diverse tribù dei nativi). Il che avrebbe portato, in un caso estremamente raro nella storia delle cartine geografiche, alla suddivisione più o meno equa di un’intero arcipelago d’isole. Quelle che emergevano, a intervalli ineguali, lungo il flusso delle acque defluite dalla regione dei Grandi Laghi, tramite il collegamento diretto ai margini dell’Ontario. Talmente tante, e così diversificate per ampiezza, usabilità e condizioni, da aver portato al nome di Thousand Isles (Mille Isole) assieme alla necessità di un codice ben preciso. Secondo cui determinate caratteristiche dovrebbero condizionare l’elevazione di una terra emersa a qualcosa di più di un semplice “scoglio” o “pietra”: la capacità di restare al di sopra del livello delle acque per l’intero anno ed una solidità sufficiente a supportare un minimo di due alberi. Obiettivi largamente superati dalla più grande di tutte, l’isola di Wellesley, con un resort metodista, l’hotel omonimo, tre campi da golf, un porticciolo, due parchi ed una celebre gelateria. Benché nel quadro generale offerto dal panorama locale, non sia sempre o necessariamente tale promontorio a rimanere maggiormente impresso, una prerogativa maggiormente attribuibile ad uno qualsiasi dei numerosi castelli, magioni e ad avite dimore costruite sopra spazi simili lungo l’estendersi del grande flusso fluviale. Già, perché caratteristica di questo luogo necessariamente in bilico tra due nazioni, fu all’inizio del secolo scorso quella di aver costituito un rifugio per i ricchi industriali ed uomini d’affari delle metropoli limitrofe, che qui costruirono facendo sfogo della loro spropositata ricchezza. Personaggi come George Boldt, all’epoca general manager della catena d’accoglienza Waltdorf Astoria, che dopo aver trascorso sette estati memorabili nella casa di famiglia sull’isola di Hart, pensò d’investire cifre copiose nel suo significativo ampliamento, fino alla creazione di un qualcosa di assolutamente spettacolare. 15 milioni di dollari, per essere più precisi, trasformati nei 6 piani del castello destinato a ricevere in eredità il suo nome, benché fosse stato concepito originariamente come un pegno dell’amore del suo committente per la moglie, Louise Kehrer Boldt. Che morì improvvisamente e inaspettatamente quattro anni dopo l’inizio dei lavori, nel 1904, portando il devoto consorte ad abbandonare il luogo della loro serena convivenza futura, già finemente ornato con numerose sculture di cuori ed altre romantiche decorazioni. Lasciandolo in balia per 73 anni d’intemperie, vandali ed incurie, finché nel 1977 l’autorità locale del Thousand Isles Bridge non l’acquistò dai suoi eredi per la cifra simbolica di un dollaro, iniziando le laboriose opere di restauro. Che ne avrebbero fatto, inevitabilmente, una delle principali attrazioni turistiche della regione, oltre ad un sito preferito da innumerevoli coppie per le foto dei loro matrimoni…

Fu proprio la moglie di George Boldt, in base alle cronache del tempo, ad inventare la salsa misteriosa che oggi viene definita “delle Mille Isole” destinata a diffondersi nel mondo attraverso gli hotel della catena Astoria. Probabilmente apprezzata anche da persone “comuni” come i Sizeland, che avranno frequentato gli stessi luoghi di ritrovo sulle isole più grandi, come quella di Wellesley.

Altri luoghi, ed altri tempi, avrebbero tuttavia condotto a vie del tutto alternative per l’acquisizione di una celebrità imperitura. Vedi il caso della più recente casa di Hub o della famiglia Sizeland, eretta attorno agli anni ’50 del Novecento in un luogo che sarebbe stato definito in seguito la Just Enough Room Island (Isola con Appena Abbastanza Spazio) pur sfidando in modo alquanto letterale il giù citato schema della classificazione locale. A causa del possesso di un singolo albero, ai margini di una surreale spiaggia in miniatura, per un’estensione totale di 310 metri quadri occupati in larga parte dall’attraente e moderna casa in stile Cape Cod. Per un piccolo edificio da un piano più la mansarda, con tanto di abbaino stereotipico e finestre con infissi bianchi, capace di attirare l’attenzione di letterali migliaia di fotografi l’anno, per non parlare degli esploratori “urbani” portati qui dalla storia secondo cui la residenza sarebbe ormai disabitata da generazioni. Il che appare d’altra parte poco realistico, visto il suo stato di conservazione niente meno che ottimale. Di questa costruzione posta in opera, o almeno così si narra, per volere famiglia dalle risorse finanziarie relativamente contenute dei Sizeland, che non “voleva attirare l’attenzione” pur finendo per ottenere perversamente un risultato diametralmente all’opposto. Storia comune a molti dei costruttori di questi recessi ameni, fin dall’inizio della Gilded Age statunitense, che seguendo l’esempio dei grandi acquistarono questo o quel terreno dai rispettivi stati di appartenenza, incidentalmente costituito da una massa emersa circondata su ogni lato dalle acque dell’antico corso del St. Lawrence. Fino al primo exploit del tutto fuori dalle proporzioni ragionevoli, quello del castello di Rest, posto in opera da niente meno che Solon Spencer Beman, l’imprenditore ferroviario passato tristemente alla storia per la dura repressione che avrebbe sanzionato di uno sciopero nel 1894, che avrebbe portato alla morte di 34 persone. Una base operativa cupa per l’acquisizione della sua fortuna dunque, rispetto agli altri possessori delle più alte mura delle Mille Isole, tra cui figurò per lungo tempo anche Frederick Gilbert Bourne, presidente della compagnia per macchine da cucire Singer, che nel 1908 avrebbe visto completato il suo imponente edificio da 28 camere da letto, costruito secondo rispettando a pieno i crismi di una vera e propria fortificazione medievale. Il che, successivamente al mantenimento ed ampliamento della proprietà ad opera di sua figlia Marjorie (Mrs. Alexander D. Thayer) ne avrebbe fatto la sede ideale per una scuola cattolica ed in seguito l’organizzazione caritatevole evangelica del Dr. Harold Martin, che vi tenne messa ogni domenica evitando in questo modo di dover pagare le tasse. Per trent’anni e fino ad un lungo periodo d’abbandono dall’inizio degli anni ’90 che continua ancora oggi, nel corso del quale è passato di mano tra diversi speculatori e sviluppatori di proprietà edilizie interessati a farne un’attrazione simile a quella del castello di Boldt. Senza ottenere, a quanto è possibile apprezzare, alcun altro effetto pratico che un cambio di nome in Dark Island, presumibilmente per l’oscura quantità frondosa del suo milieu. Oltre all’inevitabile presenza presumibile, in siffatti luoghi, di spettrali presenze che ululano tra il tramonto e l’alba.

Il castello di Singer, originariamente chiamato in modo assai più semplice “le Torri” fu fornito adeguatamente dall’architetto Ernest Flagg di una considerevole quantità di passaggi segreti ed un vero e proprio sotterraneo, dall’impiego incerto. Il che non avrebbe fatto altro negli anni, che accrescere il suo senso latente di mistero.

Nello scenario dei commerci odierni, dunque, il fiume di St. Lawrence è importante soprattutto per un singolo aspetto: la sua capacità di costituire il principale tratto di collegamento tra l’Oceano Atlantico e l’entroterra nordamericano, tanto da aver creato de facto lo standard navale del Seawaymax, corrispondente a 226 metri di lunghezza per 24 di larghezza e 7,9 di pescaggio degli scafi interessati ad attraversarlo, attraverso un sistema di chiuse, dighe e profondi canali. La cui dislocazione è d’altra parte responsabile del ferreo controllo sull’altezza delle acque, fondamento stesso per la persistenza di dimore apparentemente precarie come quella di Just Enough Room. Tutt’altra cosa rispetto a ciò che sembrano, ovvero la realizzazione pratica dell’ambizione di un visionario, bensì l’effettivo investimento nella costruzione di un edificio durevole, all’interno di un contesto paesaggistico perfettamente compatibile e rodato. Dove è possibile sognare la Provenza, mentre ci si addentra tra i castelli a bordo di una superpetroliera dei tempi odierni. E in quale altro luogo, altrimenti, sarebbe mai possibile riuscire a farlo?

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