Gli occhi di soppiatto nella sabbia del simpatico serpente scavatore

Ho attraversato il deserto su un cavallo senza nome. È stato bello dimenticare la pioggia. Tra le Dune, nessuno può farti del male… A patto di produrre una quantità limitata di vibrazioni. Come dicevano i mercanti di spezie nei loro lunghi viaggi solitari: “Non produrre suoni troppo forti e muoviti sempre in maniera discontinua. Se non vuoi richiamare su di te l’ira del grande dio sopito Shai-Hulud.” Colui che siamo soliti chiamare più semplicemente il verme delle sabbie, senza scomodare l’appellativo fantascientifico di popoli distanti su pianeti dove l’acqua tende ad essere frequentemente un sogno proibito. Il che porta ad una ragionevole quantità di miraggi e irragionevoli deliri, che devono per forza includere la percezione falsata delle proporzioni animali. Come spiegare, altrimenti, la percezione di qualche timida propaggine scagliosa tra le sabbie come il dorso di un’entità dalle proporzioni spropositate, capace di fagocitare facilmente un autobus gremito di turisti che puntano il dito. A patto che non siano stati già “serviti” dalla spregiudicata ospitalità della frontiera. D’altra parte ogni elucubrazione in merito a simili problematiche risulta essere, inerentemente, una questione di prospettiva. Così come quella alta pochi centimetri da terra, del punto di vista di un roditore o compatta lucertola questo è come Tremors, il divoratore di ogni cosa che si aggira nel suo dominio. Con gli occhi di una sogliola posizionati, molto convenientemente, sopra la sommità di una testa caratterizzata della forma approssimativa di una vanga.
Un’espressione senza dubbio curiosa, quella dell’Eryx jayakari, benché derivi essenzialmente dalla particolare morfologia di cui ha provveduto a fornirlo l’evoluzione. Piuttosto che il poco probabile desiderio d’esprimere un sentimento, sebbene siamo in questo caso ben lontani dall’ineluttabile mancanza d’occhi e lineamenti del più famoso, imponente, fortunatamente fantastico essere longilineo che condivide il suo stesso ambiente di provenienza. Ferma restando una condivisione inaspettata delle stesse priorità ecologiche e modalità di sopravvivenza, visto come entrambi strisciano, scavano e trascorrono le proprie giornate sotto il velo impenetrabile dei granuli di silicati prodotti da millenni di pioggia e vento. Finché la secchezza ha reso inclemente questo clima, al punto da favorire gli esseri che hanno imparato a nascondersi dalla spietata luce solare. Appartenente alla famiglia sorprendentemente diversificata dei boa delle sabbie composta da 13 specie più le relative varianti, di cui rappresenta un esponente di dimensioni notevolmente contenute raramente superiori ai 38 cm, quello che viene spesso definito come “erice dell’Arabia” fu scoperto probabilmente da un nativo di nome Jayakar, benché la prima classificazione scientifica risalga solo al 1888, ad opera del naturalista belga George Albert Boulenger. Di certo rimasto, a suo tempo, non meno colpito di noi all’incontro con una creatura che sembrava scrutarlo di sottecchi, mantenendo gelosamente sottoterra la preziosa cassapanca dei suoi segreti…

Dotati di pattern mimetici estremamente variabili anche all’interno della singola specie, i boa delle sabbie sono prevedibilmente dei veri maestri del mimetismo. Non che questo basti a mantenerli sufficientemente lontani dall’ambizione del possesso che caratterizza la nostra specie.

Il boa delle sabbie, inteso come intera categoria di queste creature, rappresenta quindi oggi una familiare conoscenza del contesto internettiano, particolarmente per la maniera in cui tende ad essere protagonista di curiosi video realizzati con la collaborazione degli esemplari in cattività. Particolarmente se appartenenti alla specie africana E. colubrinus e quella dell’Asia Meridionale E. conicus dagli occhi collocati in posizione maggiormente convenzionale, molto diffuse nel commercio internazionale a causa della loro capacità di proliferazione e relativa tolleranza degli ambienti artificiali, inclusa la convivenza con un padrone umano spesso incline a maneggiarli ed osservarli da vicino più volte alla settimana. Questo perché piccole creature come i possessori di queste scaglie, abituati a fare tutto il possibile per passare inosservati allo sguardo degli uccelli rapaci o le grandi lucertole predatrici del deserto, saranno tra i compagni più silenziosi ed invisibili di un qualsivoglia appartamento. Risultando visibili, sopra il sostrato da includere necessariamente nel loro terrario, quando viene per loro l’ora di mangiare l’immancabile topo surgelato (o vivo). Almeno finché telecamera alla mano, come nel caso del celebre ambasciatore digitale Waffles proveniente dal Kenya, non viene il momento di essere posizionato nella sua vaschetta di sabbia a forma di tartaruga, una fedele riproduzione in scala della proposta per bambini da cortile della Little Tikes. Senz’altro meno piacevole risulta essere, del resto, la convivenza in circostanze antropogeniche nel caso del più grande (fino a 90 cm) Eryx johnii proveniente dall’India, anche noto come serpente senza inizio né fine per la somiglianza della sua coda alla parte della testa, inerentemente priva come nel caso degli altri boa delle sabbie di alcun tipo di restringimento in corrispondenza del collo; per una specie purtroppo fatta oggetto di commercio non sempre etico, in funzione della credenza che possa portare ai suoi proprietari prosperità o buona sorte, soprattutto dopo essere stato stipato in una valigia e spedito oltre il cielo delle circostanze. Un destino, d’altra parte, sempre migliore di quello toccato nel mondo antico all’E. jaculus del Nordafrica, la Grecia ed il Caucaso (ve ne sono, raramente, anche in Sicilia) così chiamato per il raccontato impiego come “giavellotto” nel corso delle battaglie in alto mare, all’inizio delle quali veniva gettato per creare il panico e il disordine oltre il parapetto della nave nemica. Pur senza arrecare alcun tipo di danno diretto, vista la totale mancanza di alcun tipo di veleno.
Meno stratificato risulta essere, di contro, il tipo di condivisione dei momenti tra noi umani e il nostro scrutatore dagli occhi vicini l’erice di Jayakar, poco diffuso in cattività, soprattutto in forza di un processo riproduttivo di tipologia diversa. Che prevede per la femmina, piuttosto che il parto di 10-20 esemplari già formati e parzialmente autosufficienti, la deposizione di 7 uova al massimo, da accudire con metodologie particolari e di provata efficienza. Un rapporto col processo riproduttivo che prevede popolazioni non altrettanto concentrate in natura, all’interno di situazioni dove le fonti di cibo sono scarse almeno quanto le proprie tecniche di caccia devono risultare efficienti. Vedi la maniera in cui il piccolo boa giace in agguato, i soli occhi emersi sopra il livello del suolo, rigorosamente protetti dall’abrasione sabbiosa grazie alla presenza delle scaglie trasparenti chiamate in gergo “occhiali” o brille, non meno resistenti di quelle ancor più piccole che ricoprono completamente il suo corpo. E non è certo improbabile immaginare, per simili creature, una tecnica di caccia simile a quella impiegata da ben più orribili abitanti degli abissi oscuri sotto il sole che batte intenso in prossimità dell’Equatore…

Il boa delle sabbie indiano, che qui possiamo vedere intrappolato accidentalmente in un capanno, è famoso per il suo corpo tozzo e la “doppia testa”, caratteristica talvolta accentuata dai coloro che ne fanno un commercio abusivo, i quali arrivano ad infliggere sulla sua coda delle suggestive cicatrici.

L’amore per i serpenti risulta essere un sentimento particolare, tanto radicato in determinate categorie di persone quanto incomprensibile per chi considera “domestici” soltanto il gatto, il pappagallo ed il cane. Che d’altronde avrebbero difficoltà a regalare la stessa iconica categoria di soddisfazioni: la gioia di veder emergere il proprio beniamino dall’estiva brumazione; la trepidante sensazione di tenere con le pinze il glabro roditore della cena, recentemente tirato fuori dal frigo; l’impatto tattile di quello che potremmo definire come un vero piccolo gioiello, attraente e prezioso, prodotto dalla fabbrica tutt’ora operativa della natura. Anche se di questi tempi, spalanca le sue porte soprattutto per zanzare, scarafaggi ed altri esseri capaci di sopravvivere all’inquinamento ed ipotetiche guerre nucleari. Finché i risvolti storici più volte paventati non portino a chiusura l’epoca di ogni essere vertebrato che abbia anche le zampe. Permettendo di riemergere, chiedendo atroce soddisfazione, all’anima lungamente sopita dell’oblungo dio colossale, Shai-Hulud.

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