Un serpente solitario nella terra dei lombrichi

Nella divisione in caste operata dalla cultura sociale indiana, quella maggiormente degna di rispetto è rappresentata dai bramini, coloro che proteggono e trasmettono gli insegnamenti di ambito religioso. Come la propensione nominale, pressoché assoluta nei veri fedeli induisti, alla virtù della Ahimsa, la non-violenza verso tutti gli esseri viventi. Non è perciò insolito, in un sistema di valori che prevede la reincarnazione in altre forme di vita, che ogni animale, persino il più apparentemente insignificante, venga trattato con il massimo  rispetto ed ogni qual volta se ne presenti l’occasione, protetto dai pericoli del fato. Ed è forse proprio da una simile interconnessione di fattori, che prende il nome l’Indotyphlops braminus, il secondo più piccolo rettile della Terra (dopo il camaleonte lungo 30 mm del Madagascar) e senz’ombra di dubbio quello ad essere dotato di un aspetto maggiormente predisposto al fraintendimento. Sarebbe una visione strana e per certi versi addirittura comica: quella di un devoto del culto di Brahma o quello di Ganesh che, chinandosi nel giardino del tempio, scorge la forma lunga 5 cm di ciò che poteva essere soltanto un piccolo lombrico. Quindi con un’espressione compassionevole, allunga la sua mano allo scopo di prenderlo e spostarlo in una zona sicura all’interno di una fioriera, soltanto per vederlo scattare improvvisamente in avanti. Con una velocità impossibile, configurata in sinuoso movimento che nessuno attribuirebbe normalmente ad un anellide, forse la creatura più pacata tra tutti gli abitanti della zona fossoriale. Eppure l’animale oblungo è anche: marrone, dal diametro e colorazione uniforme, con una testa larga esattamente quanto la coda e apparentemente suddiviso in segmenti. È soltanto avvicinandosi maggiormente con lo sguardo, dopo essersi affrettati innanzi per osservare meglio i dettagli, che ci si rende conto di come i segni che suddividono il suo corpo siano in realtà la risultanza di un certo numero di squame, e nella parte frontale corrispondente alla sua indistinguibile testa, siano presenti anche un paio di piccolissimi occhi neri. Non che questa creatura si affidi in modo particolare al senso della vista. Anche considerato il suo soprannome internazionale: serpente cieco comune. Un nome che si sente in molte aree del mondo perché, dalla nativa India, questa creatura ha avuto la fortuna di diffondersi praticamente in ogni continente, raggiungendo anche aree isolate come le Hawaii, dove rappresenta l’unico serpente del suo intero ecosistema. Con un metodo forse tra i più semplici e diretti: scegliere come residenza il vaso da fiori, oppure cumuli di terra trasportata via mare a scopo per lo più agricolo o industriale.
Di sicuro, ad ogni modo, ci sono creature ben peggiori che possano varcare accidentalmente la frontiera. Laddove l’I. braminus, fortunatamente innocuo per l’uomo, non ha altri effetti che ridurre lievemente la popolazione di animali come le termiti o le formiche, la cui straordinaria proliferazione basta a porle in posizione diametralmente opposta al rischio potenziale di estinzione. Così l’animaletto giunge, ben pasciuto e pronto a fare il necessario per nutrirsi, in un ambiente totalmente nuovo e inizia pressoché immediatamente a riprodursi. Questo perché la maggior parte dei serpenti ciechi presenta una suddivisione dei sessi assai particolari. O per meglio dire, la quasi totale assenza di essa, visto che la totalità degli esemplari studiati in maniera formale fino ad oggi era femmina, per di più dotata del grande vantaggio biologico della partenogenesi, ovvero la capacità di fecondare da sole le proprie uova. E che uova! Grandi esattamente quanto lo spazio disponibile nell’apparato corrispondente, affinché il singolo figlio per stagione riproduttiva, una volta venuto al mondo, sia già abbastanza lungo da trovare fonti di cibo adeguate a fornirgli un sostentamento. Come da prassi tipica dei rettili, creature che non praticano l’allattamento. È una sorta di partita cosmica a Snake, se vogliamo, il vecchio gioco per cellulari in cui i pallini commestibili hanno tutti la stessa identica dimensione. E il serpente morirebbe ben presto di fame, se non fosse sufficientemente grande da riuscire a mangiare il primo. Questione assai importante, quando si considera che il Leptotyphlops carlae, più piccolo tra i serpenti ciechi scoperto nelle Barbados nel 2008, può facilmente raccogliere il suo corpo sopra una moneta da 50 centesimi di euro. Ma le particolarità di questi inusitati esseri, pervasivi quanto poco noti in Europa, non finiscono certamente qui…

Visto da vicino, l’I. braminus mostra chiaramente la sua appartenenza della classe dei rettili, in tutto tranne gli strani e convulsi movimenti. Lasciata momentaneamente a se stessa, infatti, la creaturina si contorce, rigira ed annoda continuamente, forse per via della sua abitudine a vivere sepolta in stretti cunicoli, dove ogni sforzo muscolare, per quanto disordinato, risulta funzionale a spostarsi in avanti.

Il serpente dei bramini, con uno spunto d’analisi che sembra tanto spesso rilevante in materia d’animali, è un altro caso di evoluzione convergente, per cui le meccaniche biologiche di una specie totalmente diversa, il lombrico, si sono dimostrate straordinariamente funzionali anche per colui che condivide lo stesso ambiente. Pur seguendo una dieta totalmente diversa: come molti dei suoi simili dalle dimensioni normali, il serpente cieco è infatti carnivoro e un vorace predatore, che cattura le proprie prede utilizzando il metodo dell’attacco improvviso. Nelle giornate particolarmente fortunate, inoltre, gli riesce di penetrare con la testa all’interno di un complesso appartenente agli insetti eusociali (per lo più formiche o termiti) dove inizia a fare strage di uova, larve e pupe del tutto indifese. Prima che i soldati della colonia possano montare una valida campagna difensiva, quindi, il piccolo spaghetto della morte torna a ritirarsi nel suo foro d’ingresso, fuggendo via veloce verso nuove malefatte.
Per tornare brevemente all’aspetto morfologico, gli occhi del serpente dei bramini sono puramente vestigiali, risultando a tutti gli effetti coperti da squame iridescenti che impediscono agli insetti di penetrarli. Sull’estremità della coda tozza, invece, è presente una piccola spina acuminata, la cui funzione resta ad oggi completamente sconosciuta, visto che in nessuna osservazione scientifica, tale arma è mai stata utilizzata con finalità di autodifesa. Mentre il serpentello tende ad attaccare, se provocato, con il proprio possente morso, che nel mondo sotterraneo gli permette facilmente di sconfiggere ogni pericolo probabile, ed anche alcuni di quelli meno probabili destinati a frapporsi sulla via dell’occulta sopravvivenza. Per farlo, la specie di origine indiana tende a spalancare la mandibola completamente snodata che agisce come una sorta di rastrello, mentre per quanto concerne i suoi parenti della famiglia dei Leptotyphlopidae o “serpenti ciechi sottili” tale mansione viene assolta principalmente dalla mascella, benché entrambe le metà della bocca siano capaci di spalancarsi assumendo un angolazione finale quasi perpendicolare. L’approccio al nutrimento, quindi, può variare: alcuni serpenti ciechi hanno infatti l’abitudine di succhiare il contenuto degli artropodi catturati lasciandoli letteralmente nello stato di gusci vuoti. Mentre il braminus, in particolare, è stato fatto oggetto di uno studio giapponese del 2015 (Takafumi Mizuno et al.) nel quale si è dimostrata la sua predisposizione a fare letteralmente a pezzi la preda, prima di iniziare tranquillamente a sgranocchiarla. Operazione durante la quale mette da parte la testa dell’insetto, per ragioni probabilmente connesse al contenuto di acidi o tossine presenti al suo interno, che potrebbero ipoteticamente danneggiare il suo minuto organismo. Il che è in netto conflitto con la prassi normale dei serpenti, che divorano le loro prede a partire dalla testa. Del resto una formica, per sua implicita natura, sarebbe assai più spaventosa se provassimo ad immaginarla alla grandezza di una lepre, o di altre prede normalmente associate allo stile di vita dei serpenti.

Osservare il serpente cieco che fagocita le larve di formica è un’esperienza stranamente suggestiva, capace di ricordare l’attività dei suoi cugini di superficie mentre fanno scempio del contenuto di un intero pollaio. Ma nessun uccello, stavolta, potrà chiamare in aiuto il proprio padrone umano…

Nel campo degli animali domestici, il serpente dei bramini resta per lo più sconosciuto. Troppo timido e riservato perché possa costituire un ospite interessante, si nasconde normalmente verso il fondo dei terrari, aspettando la razione quotidiana d’insetti ben più piccoli e meno costosi di quelli normalmente utilizzati dagli erpetofili di qualunque nazionalità. Forse anche in funzione di questo, tuttavia, esso potrebbe rappresentare un compagno di appartamento particolarmente placido e poco bisognoso di attenzioni, da salutare con la mano una volta ogni tanto, quando solleva la sua testa al di là del suolo per controllare un distante rumore, o altri strani movimenti nei suoi più immediati dintorni. Facendo saettare la lingua biforcuta, nel suo caso grigiastra e incolore, che costituisce un segno di riconoscimento tanto tipico della sua sinuosa genìa.
La prossima volta che vedete un verme di terra dinnanzi al vostro cammino, quindi, cercate di non dare nulla per scontato. E chiedetevi se qualcuno, tra i vostri vicini, ha recentemente esposto una pianta d’importazione. Chi ha detto che debba per forza essere un verme? Forse andandolo a disturbare, risveglierete il rancore sopito delle antiche divinità rettiliane. E non ci saranno abbastanza vasi da fiori in casa vostra, per contenere tutto lo sdegno di una simile creatura, capace di replicare infinitamente se stessa. La quale un giorno, per quanto ne sappiamo, potrebbe anche riuscire a dominare il pianeta Terra.

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