L’enorme università medievale costruita in Africa dall’uomo più ricco nella storia dei continenti

Tra i personaggi più celebri ed al tempo stesso misteriosi nell’intera storia dell’Africa Occidentale, Mansa Kanku Musa ha visto realizzarsi, nella celebrazione ad opera della prosperità, un periodo celebrativo particolarmente esteso grazie all’invenzione delle trattazioni brevi per il popolo di Internet, concepite al fine di rendere interessante un singolo argomento storico in un paio di paragrafi o poco più. Poiché c’è molto di appassionante per la fantasia del grande pubblico nell’affermare che nel particolare contesto geopolitico di allora, costui sia stato il più abbiente di tutti i sovrani della storia pregressa e futura, e regolando le cifre in base all’inflazione dei nostri giorni, persino più abbiente di figure come Jeff Bezos, Bill Gates ed Elon Musk. Un’affermazione mai effettivamente supportata dai fatti, per la semplice ragione che verificarla, ad oltre sette secoli di distanza, esula dalle effettive possibilità degli studiosi. E per di più basata su di un singolo episodio della sua vita, largamente celebrato da diverse fonti arabe e con probabili intenzioni almeno parzialmente auto-celebrative. Ciò che d’altra parte sappiamo per certo, poiché ne abbiamo le prove tangibili, è che al ritorno dal suo pellegrinaggio presso la Mecca in base ai termini della religione in cui aveva scelto di convertirsi, buona parte delle sue finanze furono investite nel costruire grandi opere pubbliche, presso l’antica capitale del regno del Mali, Niani e i nuovi territori conquistati di Noa e Timbuctù. Per far costruire in modo particolare all’interno di quest’ultima, uno dei templi della conoscenza più notevoli mai esistiti, capace d’istruire all’apice del suo periodo d’operatività una quantità (stimata) di studenti superiori a quelli della moderna Università di New York nell’intero anno 2008. Siamo quindi ormai verso la fine del suo regno (c. 1312-1337) quando la pre-esistente moschea di Sankoré, risalente almeno al 988 grazie alla donazione accertata di una donna di lingua e cultura malinke, ricevette un’afflusso imprevisto di fondi sufficiente a trasformarla in una vera e propria madrasa, o scuola coranica, dalle proporzioni ed organizzazione del tutto prive di precedenti. Narrano gli storici coévi, dunque, di come il grande complesso capace di espandersi in 180 edifici confinanti fosse destinato ad accogliere ben presto circa un quarto dell’intera popolazione cittadina, essenzialmente composta da insegnanti e alunni suddivisi in una serie di facoltà indipendenti. Per la messa in opera di un curriculum capace di durare in media 10 anni, quindi più simile a un apprendistato secondo le logiche dell’educazione medievale, da cui si usciva formati fino al più alto dei livelli immaginabili e preparati su argomenti religiosi, legali e scientifici. Ma soprattutto, avendo memorizzato il Corano e potendo esprimersi coerentemente nella lingua Araba, un vero passaporto per l’integrazione ai vertici della società altamente sincretistica di quei giorni. Così che la fama di una tale istituzione entro breve tempo riuscì a propagarsi verso Oriente, percorrendo quegli stessi sentieri commerciali che erano stati il sentiero verso l’immortalità di un sovrano tanto amato dalla propria discendenza, quanto discusso dai contemporanei in qualità di eccessivo riformatore e scialacquatore delle risorse vaste ma non infinite del suo potente regno del Mali, precedentemente arricchitosi grazie alle importanti miniere di sale e d’oro, responsabili quest’ultime secondo una stima di circa un terzo del prezioso minerale attualmente in circolazione nel mondo. Un tesoro, probabilmente, superato solo dalla fama successiva e l’elevato prestigio dei suoi studenti…

Forse tecnologicamente meno avanzate delle istituzioni bibliotecarie negli archivi più preziosi dell’Occidente, i musei di Timbuctù hanno fatto il possibile per custodire gli antichi testi sopravvissuti ai secoli pregressi. Soltanto in tempi recenti, le sovvenzioni internazionali e l’intervento dell’UNESCO hanno almeno in parte agevolato la conservazione di quel prezioso patrimonio letterario.

La madrasa principale di Sankoré, edificata coerentemente alle due moschee di Djinguereber e Sidi Yahya che facevano anch’esse parte del suo vasto campus, diventò ben presto la maggiore biblioteca africana dai tempi di quella di Alessandria, nonché una delle maggiori al mondo, grazie all’importazione di una quantità stimata tra i 400.000 e 700.000 libri. Molti dei quali sono ancora custoditi all’interno di quelle mura, in stanze mantenute al sicuro dalle fluttuazioni termiche e l’umidità, benché altri siano andati persi a seguito di eventi particolarmente sfortunati della storia, primo tra tutti l’invasione di Timbuctù ad opera del sultano del Marocco Ahmad al-Mansur nel 1591, messa in atto per agevolare mire di tipo espansionista ma culminante, come spesso capita, in una dose non trascurabile di annientamenti e devastazione. Ciononostante in grado di sopravvivere per lo più intonso, il sistema dell’università sorge indefesso con le sue strutture per lo più aderenti alla scuola architettonica Sudano-Saheliana, consistente nell’impiego di fango compattato e strutturalmente rinforzato nei soffitti con lunghe travi in legno, che sporgendo all’esterno delle pareti avrebbero permesso, attraverso il lungo estendersi dei secoli, di appoggiarvi le impalcature necessarie ad operare le continue riparazioni, particolarmente in seguito all’annuale stagione delle piogge. Un’innovazione, quest’ultima, principalmente attribuita alla figura del poeta e (presunto) architetto andaluso Abu Ishaq al-Sahili, incontrato dal Mansa (Re) Musa nel corso del suo lungo viaggio e riportato in patria con il resto dei superstiti della sua avventurosa spedizione, che l’aveva portato per lunghi anni a percorrere 4.300 Km fino alla Hajj, secondo alcuni storici per fare ammenda con Allah a seguito della morte accidentale, o possibile assassinio della sua stessa madre. Il cui nome, Kanku, avrebbe da quel momento integrato nel proprio, secondo l’usanza malindi ma diversamente da quella islamica, fondata su una concezione spiccatamente patriarcale della famiglia. Ciò che d’altra parte possiamo dire di aver ricostruito, grazie in parte alle cronache scritte o fatte scrivere dallo stesso dominatore di quel regno, è che Musa assunse il suo ruolo di preminenza a seguito di un imprevisto, ovvero la partenza di suo cugino e predecessore Muhammad ibn Qu verso la distesa inesplorata dell’Oceano Atlantico, con la cifra impressionante ed assai probabilmente non del tutto realistica di 2.000 navi. Verso un continente, quello americano, che nell’opinione di alcuni sarebbe stato scoperto e successivamente dimenticato per l’ennesima volta, esattamente un secolo e mezzo prima del viaggio del nostro beneamato connazionale, Cristoforo Colombo. Una destinazione dalla quale Muhammad non avrebbe per sua sfortuna più fatto ritorno, permettendo a Musa di acquisire il desiderabile ruolo di sovrano dell’intero territorio appartenuto da generazioni al ramo principale della dinastia. Un passaggio di poteri largamente nebuloso, così come risultano esserlo numerosi altri momenti della vita di questo personaggio, la cui esperienza maggiormente acclarata resta per l’appunto il già citato lungo viaggio, che l’avrebbe portato a lasciare la sua dimora con al seguito 60.000 uomini, inclusi 12.000 schiavi vestiti di seta pregiata, ciascuno incaricato di trasportare 1,8 Kg in barre o polvere d’oro e dotato di una verga cerimoniale costruita dello stesso metallo. Lungamente gli storici di provenienza per lo più araba hanno parlato degli eccessi e la spettacolare generosità di tale processione, che spendendo somme incalcolabili aiutò le genti tanto fortunate da trovarsi sul suo passaggio, prima della città del Cairo dove s’intrattenne famosamente col sultano egiziano al-Nasir Muhammad, che gli fece richiesta ed ottenne un atto di sottomissione, per poi transitare successivamente verso Medina e fino alla Mecca stessa. Su soltanto nel corso del viaggio di ritorno, dunque, che esaurite le risorse finanziarie al suo seguito dovette chiedere prestiti ad alcuni mercanti, e il Musa decise d’impugnare le armi nei confronti di quei territori che erano stati un tempo vassalli dell’impero del Mali, per riprenderne il controllo e trasformarli nei nuovi centri del suo potere.

Il più notevole esempio di architettura Sudano-Saheliana è individuabile nella grande moschea di Djenné, più volte ricostruita fino all’ultima versione del 1907, successivamente a un’inondazione. Molte delle caratteristiche primarie ricompaiono anche nei più antichi edifici del complesso di Sankoré.

All’interno della madrasa di Sankoré sarebbe quindi stato possibile, da quel momento, non soltanto acquisire la migliore educazione possibile per uno studente del mondo islamico, bensì raggiungere al completamento del curriculum la qualifica più elevata di giudice, impiegato frequentemente dai sovrani di quel vasto consesso culturale al fine di elaborare di volta in volta le fatwa (conclusioni giuridiche) in merito a questioni importanti per la popolazione d’interi regni africani… E non solo. Caratteristica di distinzione, per coloro che raggiungevano le vette di una tale istituzione, era dunque rappresentata dal diritto a portare dei particolari turbanti di seta, simbolo stimato della loro professione. Concettualmente non dissimili dai copricapi quadrangolari portati dagli studenti del mondo anglosassone, lanciati con esultanza tradizionalista al raggiungimento degli obiettivi accademici prefissati. Una scena forse difficile da immaginare in un mondo tanto distante da quello odierno, nonostante l’audace suggerimento accampato in determinati circoli, che vorrebbero qui affrettare ed anticipare l’evoluzione in realtà molto graduale del concetto contemporaneo d’università. Nella stessa maniera in cui risulta impossibile dividere, a posteriori, la ricchezza di uno stato da quella personale del suo dominatore assoluto, rendendo sostanzialmente inappropriato il paragone con qualsiasi miliardario dei nostri giorni. Ma ogni popolo, come sappiamo molto bene, tiene in alta considerazione la storia pregressa dei propri eroi. Su una strada lastricata d’oro, che conduce inevitabilmente all’immortalità.

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