Il confronto tra Nord e Sud, Est ed Ovest è un meccanismo d’analisi che le contrapposte culture perseguono da tempo, nel tentativo di evidenziare quali siano i punti forti del proprio metodo per vedere il mondo rispetto a quello di altri… Così nel mondo, come all’interno di un singolo contesto cittadino, ovvero la longilinea città di Chicago che si assiepa sulle sponde del lago Michigan, suddivisa tra i diversi sides (lati) che vedono il meridione occupato dai quartieri popolari dalla più lunga storia, mentre la parte contrapposta dell’agglomerato urbano risulta recente, ricca e architettonicamente moderna. E poi c’è il nesso centrale della questione, denominato in maniera ragionevolmente arbitraria come West Side, oltre cui il bisogno di coniugare nuovo e moderno sembra palesarsi, in modo particolare proprio all’interno di quest’edificio: il celebre museo Lizzadro dell’Arte Lapidaria, che almeno nell’accezione anglofona del termine non ha (soltanto) uno scopo di tipo funebre, bensì in maniera etimologicamente più corretta include tutte le sculture create con la pietra, preferibilmente di una provenienza rara e preziosa. Un luogo in cui tra vecchi e nuovi reperti, protetti da infrangibili teche di vetro, ha da lungo tempo costituito un elemento preferito dai visitatori il modellino del castello omonimo di questo luogo ed il suo fondatore, che all’inizio del XX secolo emigrò dall’Italia riuscendo a costruire un impero. Joseph Lizzadro, calzolaio per professione, poi impiegato della compagnia Meade Electric e attraverso anni di dedizione azionista, quindi direttore generale nel 1929. Destinato a cavalcare, nei 10 anni successivi, l’onda della modernizzazione della segnaletica stradale, guadagnando ingenti somme dalla sua collaborazione con gli enti pubblici, mentre coltivava a tempo perso la sua passione generazionale per il collezionismo d’arte e l’intaglio delle pietre preziose, che l’avrebbe portato, attraverso gli anni, a decidere di creare un luogo per l’ammirazione pubblica dei suoi molti averi. La storia del fiabesco piccolo edificio, costruito interamente in oro e arroccato sopra mistici macigni di ametista, azzurrite, vanadio, malachite ed azzurite, le sue finestre ornate da circa un centinaio di diamanti, risulta tuttavia diversa e indubbiamente drammatica per la famiglia che l’ha sempre posseduto: esso fu commissionato, infatti, all’eccezionale artista inglese William Tolliday nel 1984, a seguito della morte in un incidente a soli 15 anni di James “Chris” Lizzadro, nipote del fondatore e figlio dell’attuale curatore del museo, che si dice avesse una passione particolare per le storie senza tempo di eroi e cavalieri. Capace di affascinare tutti con la notevole attenzione ai dettagli dimostrata dal suo creatore, il castello sembrerebbe tuttavia aver trovato a partire dal novembre scorso un degno rivale nel cosiddetto Altare della Pagoda Verde di Giada, riproduzione di un tutt’altro tipo di edificio dalla chiara storia e derivazione orientale, conseguenza di un più lungo e certamente non meno storicamente significativo tipo di odissea. La cui presenza alta circa un metro e mezzo, nel centro esatto dell’area espositiva del museo, non può che riflettere la descritta posizione ideale di quel sobborgo di Oak Brook in cui trova posto attualmente il museo, dopo essere stato spostato dalla precedente sede al fine di disporre di spazi più capienti per i suoi tesori. Portando a coronamento un viaggio di tipo circolare, che dalla remota terra della sua creazione l’avrebbe infine riportata, a quasi un secolo di distanza, nella città in cui aveva incontrato la sua prima esposizione occidentale…
La storia della Pagoda di Giada è anch’essa, per certi versi, il racconto di un capitalista appassionato d’arte che aveva deciso, nel corso della sua vita, di raccogliere e dimostrare tutta la bellezza potenziale del materiale naturale in grado di attraversare i secoli per eccellenza, qualunque fosse la sua specifica provenienza. Ed è particolarmente semplice, nel caso dell’opera fortemente voluta da Chang Wenti a partire dal 1922 e frutto del lavoro di 150 abili artigiani della sua natia Cina per un periodo di circa 10 anni, rintracciare il vero e proprio macigno di giadeite (varietà più preziosa di tale minerale, contrapposto alla più comune nefrite) dal peso di oltre 8 tonnellate trovato in Myanmar, quindi diviso in cinque pezzi di cui tre vennero acquistati da Chang. Il quale, prima di dare forma al suo sogno, aveva viaggiato in lungo e in largo per la nazione al fine di acquisire un’idea della pagoda ideale, l’edificio capace in linea teorica d’incorporare tutte le qualità estetiche e i presupposti della filosofia e religione cinese, con un’occhio particolare nei confronti de “Gli eroi che vengono commemorati per aver perseguito i valori della pace e la virtù senza tempo.” Affermazione del committente nonché progettista stesso, che lui scelse di far riflettere nei suoi disegni alla forma vagamente riconoscibile della Pagoda dei Mille Anni del Palazzo d’Estate di Pechino, situata sule rive del cosiddetto lago della longevità, tuttavia connotata da numerosi elementi presi in prestito dai più famosi edifici simili dell’intero territorio cinese. Vera e propria quintessenza del suo luogo d’origine, quindi, la pagoda venne spedita nel 1933 proprio qui a Chicago, per essere esposta durante l’importante Fiera del Secolo, evento tecnologico, culturale e divulgativo per centennale della città, ove riscosse un successo particolarmente memorabile, accompagnato dalla vendita di oggi preziose cartoline commemorative. Nel 1939, successivamente, la preziosa pagoda trovò un altro luogo d’ammirazione pubblica presso l’evento dell’Esposizione Golden Gate International di San Francisco, al fine di raccogliere fondi per gli orfani della seconda guerra sino-giapponese. Quindi restò custodita per diversi anni presso l’abitazione dei Chang, che nel frattempo si erano trasferiti in pianta stabile a Los Angeles dove nel 1961, colui che l’aveva creata passò a miglior vita. Il che avrebbe dato inizio a una vera e propria odissea spesso anche di natura legale da parte dei famigliari superstiti, che dopo aver concesso in prestito le sue collezioni, incluso l’Altare Verde al museo di Oakland, le videro prima relegate nel sotterraneo senza che nessuno potesse ammirarle come desiderato dall’originale proprietario, quindi furono quasi tassati dal governo in assenza di una formale donazione per poi vedere la grande pagoda spostata nel 2019, dopo un lungo processo di selezione, presso il museo Lizzadro dove si trova tutt’ora.
Castello, pagoda: due oggetti, dunque, la cui storia non potrebbe essere più diversa, con il primo rimasto sempre nello stesso luogo e simbolo della rinascita dopo un lutto di notevole portata, mentre il secondo, punto d’orgoglio e simbolo di una cultura, trasportato in giro per gli Stati Uniti come una foglia al vento, prima di posarsi nell’unico luogo che si sarebbe dimostrato capace di apprezzarlo, ed esporlo, nella maniera in cui aveva sempre meritato. Accezioni di metodi e finalità altrettanto diverse, visto come l’oggetto occidentale sia frutto di tecniche orafe e di lavorazione della pietra base su tecnologia moderna, mentre la lavorazione della giada cinese, secondo il preciso significato mantenuto attraverso i secoli, è la chiara risultanza di approcci alla molatura e il taglio di tipo particolarmente antico. Resta indubbio, tuttavia, il primato del modellino asiatico, maggiore scultura di giadeite che si trovi al di fuori dei confini cinesi, perfettamente in grado di rivaleggiare per dimensioni con le più notevoli meraviglie delle dinastie Tang e Song.
Perfetti riassunti della storia prototipica del self-made man ed il cosiddetto sogno americano, la vicenda delle famiglie Lizzadro e Chang parlano anche di un’epoca molto diversa dalla nostra, in cui una vasta fortuna personale non poteva prescindere, almeno in parte, dall’investimento nella pratica del tutto fine a se stessa della bellezza e l’arte, non soltanto intesa come status sumbol bensì un vero e proprio lascito nei confronti dell’umanità immanente.
Frutto di un gusto estetico e valori della composizione che per motivi diversi sembrano esulare dalla percezione classica europea, il castello & la pagoda non possono per questo mancare di affascinarci e trasportare le nostre fantasie, qualora sufficientemente fervide, oltre quelle piccole porte e finestre, a conoscere direttamente i lillipuziani abitanti di un’ordine di grandezza tutt’altro che insignificante. Poiché valore materiale e simbolico, talvolta, riescono a sovrapporsi. E non tutte le fortune guadagnate nella crudele arena degli affari risultano sempre fini a se stesse, o soltanto valide ad accrescere la propria sicurezza economica attraverso l’alterno traffico delle Ere.