La misconosciuta tenerezza dell’orsetto cuscus, strano-possum dell’arcipelago indonesiano

L’eccezionale varietà di specie animali note non viene in genere considerata sufficiente a prescindere dal fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, sia possibile individuare un certo tipo di affinità tra gli esseri umani e gli altri mammiferi, soprattutto se graziosi e soffici, di questa Terra. Delle creature di siffatta natura, in effetti, conosciamo spesso la storia biologica per filo e per segno, il loro stato di conservazione, cosa mangiano e le particolari strategie di sopravvivenza che derivano dai millenni d’evoluzione trascorsi fino a questo fatale momento. Il che si applica, indipendentemente dalla località di appartenenza geografica, ai bambini come agli adulti, ed invero molto spesso soprattutto ai primi, con una passione che spesso stupisce e affascina chi ormai ha dovuto dedicarsi ad aspetti più pragmatici dell’esistenza. Sono pronto a scommettere, tuttavia, come una percentuale sorprendentemente bassa tra le contrapposte ondate generazionali disallineate da questo specifico territorio di provenienza, di fronte alle riprese di un rappresentante peloso del genere di marsupiale Ailurops, famiglia indonesiana Phalangeridae, potrebbero restare inizialmente e dolorosamente perplessi. Qualcosa di simile… Esiste? Una versione assolutamente tangibile della creatura fantascientifica nota agli amanti di Star Wars col nome di Ewok, meno la lancia e quello strano cappello, ma dotata in cambio di un’espressione saggia che parrebbe conoscere i segreti stessi dell’Universo? Possente e al tempo stesso imprevedibile, è la Forza, anche fuori dall’Australia. E incline a dare fondo all’indole creativa della natura, nonostante il negativo influsso delle schiere di armigeri al servizio dell’Impero del male.
Quello che il più comunemente detto cuscus orsino rappresenta, nella declinazione delle sue due specie distinte tra cui la più comune è per l’appunto l’Ailurops ursinus, costituisce il tipo di creatura cui viene attribuita nell’ambito della conservazione naturale la qualifica di “specie Cenerentola” per via della maniera in cui letteralmente nessuno, nonostante il suo aspetto grazioso e accattivante, sembrerebbe essersi appassionato alla sua vicenda. Con non poche conseguenze negative nei territori dell’Indonesia occidentale da cui proviene, soprattutto a causa della caccia tradizionale della sua genìa, finalizzata alla preparazione di un’ampia varietà di pietanze tipiche durante per la prassi indigena del tola-tola, una festa consistente nella consumazione di copiose quantità di alcol assieme a carne procurata direttamente dal cuore della giungla, condita con spezie dall’alto grado di piccantezza. Una questione lungamente considerata dagli enti statali, e scoraggiata con la nomina di tutti gli Ailurops a condizione di creature protette, benché l’impossibilità di controllare i più sperduti villaggi responsabili di un simile comportamento si sia rivelata a più riprese poco percorribile, con risultati facilmente immaginabili. Dal che iniziative come quella dell’ente ecologico Progres Sulawesi, finalizzate a sensibilizzare direttamente la popolazione delle isole circostanti l’eponima vasta terra emersa, nella speranza che alle antiche pratiche possa riuscire a sostituirsi un’apprezzabile attenzione per la natura. Approccio particolarmente importante in tale zona, proprio per la presenza della varietà più prossima all’estinzione degli orsetti in questione, quell’Ailurops melanotis (“dalle orecchie nere”) di cui molti scienziati ancora oggi, nonostante la sua prima classificazione all’inizio del secolo scorso, ancora faticano a riconoscere l’esistenza…

La presenza di “possum” australiani fuori da quel continente può essere giustificata dall’esistenza della cosiddetta linea di Wallace, un punto di separazione entro il quale l’oceano non fu mai troppo profondo, e dove eoni a questa parte il suolo si estendeva ininterrotto tra i due continenti asiatico e d’Oceania. Permettendo, in questo modo, alla creature di migrare.

Ciò che non dovrebbe affatto stupirvi a questo punto, dato il discorso fatto in apertura, è la sostanziale mancanza d’informazioni scientifiche sul comportamento e le prerogative ecologiche dei cuscus orsini, comunque almeno in parte desumibile dalla loro appartenenza a una più vasta famiglia. Quella dei cosiddetti “(o)possum australiani” in realtà del tutto distinti tassonomicamente dai quasi omonimi didelfidi del nuovo mondo, dal muso a punta e la coda topesca, in quanto creature arboricole evolutosi in maniera del tutto distinta attraverso incalcolabili millenni di storia pregressa. Accantonato tale fraintendimento dovuto alla prima impressione dei coloni occidentali, ciò che simili Phalangeridae rappresentano è un tipo di animale allineato ad una nicchia alimentare straordinariamente specifica, particolarmente nel caso dei loro esponenti più massicci della parte occidentale dell’Indonesia. Nonostante una lunghezza di fino a 65 cm per 10 Kg di peso, e la predisposizione della loro dentatura ad un tipo d’alimentazione onnivora inclusiva di uova, rettili e piccoli mammiferi, essi sono soliti nutrirsi quasi esclusivamente di foglie e teneri virgulti sulla sommità degli alberi, con una palese preferenza per la Cananga odorata, un tipo di annonacea che potreste conoscere con il nome impiegato nell’ambito cosmetico e in profumeria di ylang-ylang. Il che non può affatto prescindere, come nel caso del koala e del panda gigante, da un’apporto calorico poco proporzionato alle necessità di sopravvivenza di una così agile creatura, con conseguenti lunghi periodi di riposo nel corso della giornata al fine di riuscire a digerire la coriacea scorza della pianta. L’orsetto cuscus all’interno del suo ambiente di provenienza è tuttavia per nulla goffo o letargico, possedendo una capacità di muoversi tra gli alberi come una scimmia grazie alle zampe dotate di artigli semi-opponibili e la coda prensile capace di attorcigliarsi attorno ai rami. Potendo godere della tipica mancanza di pressione predatoria delle specie isolane, tuttavia, questa creatura con abitudini notturne risulta ragionevolmente priva di strumenti d’autodifesa, fatta eccezione per l’inclinazione ad emettere un forte odore muschiato ogni qualvolta dovesse sentirsi oggetto di un’incombente e inevitabile minaccia. Non che ciò avrebbe potuto in alcun modo prevenire la frequente cattura ad opera degli umani, non soltanto per le sopra-descritte pratiche alimentari, comunque almeno in parte giustificate dalla mancanza di fonti di cibo alternative, ma per l’ancor più sinistra prassi del commercio per la vendita a privati, ulteriormente facilitata dalla mancanza di una classificazione per questa bistrattato animale nell’indice delle specie a rischio del CITES, la convenzione internazionale delle specie a rischio d’estinzione. E va pur detto che di certo fa una certa impressione leggere, tra i commenti ai video di YouTube che la riguardano, l’offerta non specifica di vendita diretta di esemplari a potenziali utenti interessati, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Stabilendo in modo particolarmente chiaro la problematica linea diretta tra la comunicazione relativa all’esistenza di determinate creature, e il loro stato di costante pericolo a causa della cupidigia e la mancanza di considerazione della gente. Benché d’altra parte sarebbe del tutto irragionevole far passare tutto ciò sotto silenzio, facilitando il pubblico generalista nel continuare a trascurare questi animali, che più di molti altri avrebbero un’immediata necessità di protezione ed assistenza.

L’Ailurops melanotis o Cuscus dell’arcipelago di Talaud viene considerato endemico della sola isola di Salibabu ed alcune terre emerse limitrofe nella fitta giungla indonesiana. Uno stato paragonabile a quello di questa creatura dall’aspetto e colorazione simili, comunque appartenente alla genìa dei cuscus, individuata da una troupe televisiva in terra di Papua Nuova Guinea.

Per quanto concerne d’altra parte le pratiche riproduttive di entrambi i cuscus orsini, come dicevamo, la scienza possiede ben poche informazioni. Sappiamo ad esempio che una femmina può partorire fino a due volte l’anno (Lee, 2000) ma non le modalità con cui s’incontra ed organizza assieme all’esponente dell’altro sesso. Trattandosi di un marsupiale, il piccolo ha inizialmente la dimensione approssimativa di un fagiolo e vivrà attaccato al corpo della madre per diversi mesi, per poi raggiungere una parziale indipendenza ed infine allontanarsi dopo aver raggiunto gli 8 di età. Un processo tanto misterioso che l’unico evento riproduttivo registrato in cattività, quello del 2016 avvenuto presso lo zoo di Breslava, è riuscito a sorprendere gli stessi custodi che non avevano minimamente sospettato lo stato di gravidanza nella madre, finché non videro il marsupio muoversi, ed una piccola coda spuntare dalla sommità della sua apertura.
Eventi che riescono a riaccendere la luce della speranza, sebbene il numero di esemplari allo stato brado di questi trascurati animali sia ormai in caduta libera da diverse decadi, un processo alimentato almeno in parte dal diffondersi dei metodi agricoli contemporanei e la conseguente riduzione del suo ambiente naturale di provenienza. E non c’è Avatar, né Jedi o elfo e mago di Hogwarts che possieda utili formule per arrestare questa corsa rapida verso l’annientamento. Che può esser contrastato, chiaramente, dal solo impegno sincero di un’intera popolazione. E l’insegnamento del valore imprescindibile di alcune delle più strane e magnifiche tra tutte le creature di questa regione del mondo.

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