Il castello dal cuore di drago attraverso le nebbie caleidoscopiche della storia

Uno dei primi luoghi visitabili nel videogame Skyrim, storico RPG d’azione ambientato in una versione fantastica della Scandinavia, è la piccola città di Whiterun, costruita come una fortezza sul fianco di un’alta collina. Misto d’influenze architettoniche tra una sorta di romantica idealizzazione vichinga, case in torchis nello stile celtico e solide mura costruite dai Romani, essa è dominata da uno svettante torrione denominato Dragonsreach, dalla sua antica funzione di prigione per il pericoloso Numinex, alato lucertolone ed antico acerrimo nemico delle genti armate del Nord. Chiunque osservi con un occhio clinico la pianta stilizzata dell’insediamento, chiaramente da intendere come una comunità molto più grande in base alle logiche di scala mediate dai limiti tecnologici dell’anno 2013, noterà la dislocazione tutt’altro che concentrica delle sue multiple cinte murarie, piuttosto concatenate l’una all’altra e ben diverse da quello che potremmo definire la configurazione di un’ideale roccaforte, a meno di trovarsi posizionata in una posizione di vantaggio topografico, o comunque invalicabile in più di una significativa maniera. Così come appare, d’altra parte, l’importante castello di Spiš nell’odierna Slovacchia, una delle singole fortezze più grandi e significative di tutta l’Europa. Oltre 41.000 metri quadri d’estensione, in un sito strategico dell’omonima regione, situata nella parte centro-orientale del paese. Evolutosi a partire da un luogo non così diverso da quello nato dai creativi digitali della Bethesda, finché nel XIII secolo l’antica fortezza di terra delle popolazioni endemiche venne trasformata dai dinasti d’Ungheria in un importante punto di riferimento logistico per la gestione delle proprie truppe feudali. Che venne rapidamente fortificato durante il regno di Re Bela IV (1235-1270) per rispondere a un’esigenza se vogliamo ancor più pressante di quella draconica presentata nella sua imitazione interattiva: resistere, strenuamente, ai reiterati assalti delle truppe tatare, i membri di origine turca delle orde mongole che tanto fecero durante l’Alto Medioevo per mantenere in scacco l’intera parte orientale d’Europa. A quest’epoca risalgono le strutture situate sulla sommità dello sperone roccioso di 200 metri d’altitudine sulla pianura erbosa antistante, tra cui la torre rotonda d’avvistamento ed il palazzo triangolare, costruito in pieno stile romanico d’ispirazione italiana, benché altre caratteristiche del complesso, soprattutto nelle epoche successive, avrebbero incarnato perfettamente l’ideale gotico più tipico e rappresentativo del suo territorio d’appartenenza. Secondo le cronache coéve dunque il castello in questione, donato nel 1249 al vescovo di Spiš per la sua amministrazione, vide l’aggiunta del suo primo edificio burocratico qualificato come palazzo del governatore, riuscendo a resistere senza significativi problemi alle ondate reiterate degli invasori. Mentre assai più difficile, d’altra parte, si sarebbe rivelata la gestione delle minacce provenienti più da vicino, con un primo passaggio di mano grazie all’uso delle armi sotto il controllo di Rolando, un cavaliere che osò ribellarsi contro il suo stesso sovrano. Per essere ben presto riconquistata a nome di Elisabetta la Cumana, figlia di un importante capo tribù di tale etnia. Il XIV secolo non fu quindi in alcun modo più semplice, con la conquista da parte di Carlo I d’Angiò grazie all’aiuto di un’alleanza con i seguaci di Venceslao. E nel 1307 venne il turno dei Cechi, finché quasi un secolo dopo, finalmente, Luigi I anche detto non a caso “il Grande” riportò le antiche mura sotto l’egida d’Ungheria. Dando inizio ad un processo di rinnovamento e successivo ampliamento che avrebbe portato il castello a raggiungere la sua massima estensione, destinata perdurare in tale guisa per molteplici secoli a venire…

Oggi largamente in rovina, Spiš continua a possedere un fascino eterno che attira non pochi visitatori al volgere di un singola settimana. Anche soltanto per l’eccezionale panorama e l’esperienza di salire sulla cima della sua torre più alta, doverosamente restaurata al principio degli anni ’70.

Con l’inizio della Pax slava e un periodo di relativa tranquillità, il castello di Spiš rimase quindi per molti anni sotto il controllo diretto dei sovrani ungheresi, fino all’importante personaggio di Mattia Corvino (r. 1458-1490) che da qui orchestrò molto probabilmente la sua crociata contro l’eresia ussita e l’ex suocero Podebrady, stazionandovi il temuto esercito mercenario dei Fekete Sereg (l’Armata Nera). Raggiunto il consolidamento del suo potere, l’ormai incontrastato dominatore decise quindi di delegare il controllo dell’incontrastata fortezza ad uno dei suoi più fidati vassalli, il conte palatino Imre, capofamiglia della prestigiosa dinastia degli Szapolyai. Quello che tutt’ora costituisce il cortile inferiore della fortezza, fatto costruire dalla regina Elisabetta a partire da una rudimentale fortificazione di forma circolare, venne perciò in quest’epoca ulteriormente migliorato con l’aggiunta di due torri d’avvistamento e una vasta cappella tardo gotica. Nella parte superiore, nel frattempo, venne ingrandito il palazzo principale con l’aggiunta di una sala dei cavalieri. Fu un periodo d’indubbia magnificenza per il castello, trasformato in un luogo di prestigio oltre che dedicato a finalità prettamente ed esclusivamente militari, ulteriormente impreziosito dalla partecipazione ai lavori da parte di abili intagliatori nella pietra. Proprio tra queste mura nacque, incidentalmente, l’ultimo re ungherese prima dell’arrivo degli Asburgo, Giovanni I al secolo Janos degli Szapolyai. Finché nel 1538 costui, sconfitto sui campi di battaglia e politicamente dal sovrano del Sacro Romano Impero, Ferdinando I, non dovette accettare la condivisione dei suoi titoli, lasciando definitivamente la dimora dei suoi predecessori. E fu così che Spiš passò sotto il controllo della famiglia dei Thurzò fino al 1635, e successivamente quella degli Csàky, sotto il cui controllo venne progressivamente abbandonato a causa della sua presunta poca praticità abitativa. Fino al drammatico incendio che ne avrebbe devastato i maestosi palazzi, verificatosi nel 1780 per una ragione largamente misteriosa, in merito alla quale coesistono almeno due teorie contrastanti: primo, che si fosse trattato di un disastro auto-indotto, per non pagare le tasse aumentate in quegli anni per qualsiasi edificio fosse “dotato di un tetto”; e secondo che si fosse piuttosto trattato di un (fortuito?) incidente, dovuto alla condotta impropria di alcune guardie che stavano producendo abusivamente il proprio liquore. Le quali, inebriate da una simile sostanza, fallirono miseramente nel vitale tentativo di riuscire a controllare le fiamme.
Oggi largamente in rovina, come apprezzabile dalle numerose riprese via drone e visite in prima persona disponibili su vari canali di YouTube, l’antica fortezza continua nonostante tutto a catturare l’immaginazione dei creativi e visitatori turistici d’occasione. Grazie al complicato processo di restauro conservativo effettuato a partire dagli anni ’70, completo di riqualificazione del cortile inferiore con ristorante, servizi igienici, centro informazioni e negozio di souvenir. Significativa inoltre l’inclusione di un simile luogo in numerose opere d’ingegno cinematografiche, tra cui una pellicola particolarmente memorabile della metà degli anni ’90…

Le tipiche attrazioni dei grandi castelli medievali sono presenti anche in questo luogo, ivi incluse le ricostruzioni delle sale d’epoca e l’imprescindibile museo della tortura, a quanto pare arredato coi tremendi marchingegni almeno in parte ritrovati dagli archeologi proprio negli immediati dintorni della grande fortezza ungherese.

Chi non conserva un qualche tipo di ricordo, avendo vissuto intensamente quegli anni, di Dennis Quaid nel ruolo del Cavaliere dell’Antico Codice Bowen, mentore e guerriero al servizio di un tirannico sovrano e suo figlio, il principe della corona Einon (David Thewlis)? Che poco prima di morire per le sue ferite al culmine della drammatica battaglia che dà il via la narrazione, veniva salvato grazie alla comunione mistica con il possente Draco, protettore alato del regno dotato della voce di niente meno che Sir Sean Connery, forse l’unico attore che potesse veramente rendere giustizia ad così improbabile personaggio. Questo è stato Dragonheart del regista Rob Cohen e proprio qui venne girato, in buona parte, con parecchie scene tra le mura del castello di Spiš, ancora una volta perfetto per rappresentare l’ideale architettonico di un mondo medievaleggiante, fuori dal tempo e dalla geografia apparente. Fino all’eroico ed immancabile sacrificio che, dopo tanti anni nella finzione scenica, avrebbe posto fine all’errore compiuto in buona fede dagli eroi dell’epica vicenda.
Cuori, cannoni, torri e mattoni. Chi può dire che una simile fortezza sia mai diventata obsoleta? Luoghi che assolvevano a funzioni difensive in epoche distanti, diventano nel mondo post-moderno un’importante luogo di collegamento ininterrotto con la cultura e il modus operandi dei nostri avi. Signori ed avversari al tempo stesso, di quell’ideale inconoscibile ed inafferrabile, rappresentato dalla lingua biforcuta del più saggio ed invincibile fra i rettili volanti. L’unico, tra tutti i dinosauri della Terra, a dimostrare il proprio caratterizzante amore e imprescindibile bisogno del possesso per gli aurei tesori un tempo posseduti dall’uomo. Altrimenti chi, mai, avrebbe avuto il coraggio di portare una simile genìa oltre il baratro dell’estinzione?

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