Cogliendo fili verdi in mezzo al fango, per conoscere il sapore dell’oceano coreano

Astroturf è il marchio e nome per antonomasia di un tipo di erba artificiale, riconoscibile dall’irrealistico colore verde acceso, utilizzata per la prima volta negli anni ’60 al fine di ricoprire il terreno di gioco dell’Astrodome in Houston, Texas. Troppo perfetto e resistente per assomigliare a un vero vegetale, il materiale si è trasformato con il correre degli anni in una sorta di metafora, riferita a tecniche di marketing mirante alla creazione di un consenso ad ampio spettro, capace di “coprire” le possibili impressioni negative dei propri clienti. Sulla costa occidentale della Corea del Sud esiste tuttavia un luogo, o per essere maggiormente specifici un tratto di costa, in cui l’iconica tonalità di questa superficie pare estendersi per svariati chilometri in ciascuna direzione, soprattutto all’apice dell’inverno, quando ogni altro colore svanisce dalla linea dell’orizzonte. Sto parlando della baia di Garorim, famosa per le ostriche ed il granchio azzurro marinato in salsa di soia (kkochgejang – 꽃게장) ma anche per un tipo assai notevole di “verdura” in realtà frutto dell’oceano quasi come il tonno, la sogliola, la triglia. Con l’appunto rilevante di essere, di contro, assai più raro ed in effetti proveniente da una quantità limitata di località geografiche d’Oriente. Il che sorprende, da un certo punto di vista, poiché quella che i coreani chiamano gamtae (감태) parrebbe essere una semplice forma locale di ciò che la scienza chiama Ulva prolifera, alga verde di distribuzione cosmopolita più comunemente detta la lattuga di mare, sebbene nelle tipiche riprese rilevanti manchino del tutto quelle ampie foglie che dovrebbero caratterizzarla, simili al tallio delle erbe commestibili generalmente coltivate sulla terra emersa. Forse per le caratteristiche della vasta pianura fangosa in cui cresce, oppure le condizioni climatiche accoglienti dell’estremità meridionale della penisola, che porta ad un intreccio senza fine di contorti fili erbosi, assai complicati da gestire e seccare adeguatamente, in aggiunta alla loro crescita spiccatamente stagionale e la sostanziale impossibilità di coltivarli artificialmente. Una serie di fattori sufficiente a mantenere per parecchi anni la condizione per lo più sconosciuta di un simile ingrediente, benché molto apprezzato, rimasto puro appannaggio dei soli abitanti della circostante regione di Seosan, per la semplice impossibilità collaudata di trasformarlo in una vera e propria pietanza da banco. Questo, almeno, fino all’ingresso sulla scena della compagnia Badasoop, che a partire dagli anni ’80 sotto la guida del patriarca e fondatore Cheolsoo Song ha messo in opera un più efficace e funzionale filiera produttiva, capace di trasformare la forma originale di una tale pietanza in fogli impacchettati e compatti, pronti alla spedizione nei quattro angoli del paese. Ed anche al di là di questi, per la recente riscoperta del valore gastronomico della cucina coreana, grazie al successo di rinomati ristoranti e perché no, serie televisive stranamente rilevanti, sull’onda della celebre epopea cruenta, Squid Game…

Il metodo originario per l’essiccatura dell’alga verde sotto la luce solare permetteva di conservarla soltanto per qualche giorno, limitandone la diffusione nei contesti più distanti. Benché, oggettivamente, un simile processo riesca a mantenere intatta una percentuale più alta del suo sapore.

Il gamtae in generale o per essere più specifici quello che i nativi chiamano in maniera poco intuitiva gasiparae (가시파래 – alga della spina di pesce) è un ingrediente piuttosto versatile sia nella preparazione che il gusto, potendo assumere molte collocazioni gastronomiche differenti. Mangiato direttamente prima di essere seccato, in grandi insalate dal presunto effetto terapeutico, possiede a quanto pare un sapore vagamente riconducibile a quello del tartufo bianco. Aggiunto al pesce in varie configurazioni, accresce e contribuisce al ricercatissimo gusto umami, uno dei fondamenti più universali della cucina di tutto l’Estremo Oriente. Se utilizzato nella forma conservata, d’altra parte, perde molto del suo aroma pungente, trasformandosi nella base ideale per un’ampia varietà di dessert o biscotti tra i più apprezzati in Corea, che saremmo inclini a definire poco dolci secondo la metrica maggiormente diffusa ad ovest dell’Asia. Una volta posto ad asciugarsi sopra i lunghi fili della tradizione, oppure all’interno dei forni attentamente calibrati dell’industria Badasoop, il gamtae può essere quindi spianato con l’ausilio di una stuoia di bambù, in maniera analoga a quanto avviene con la più famosa alga nori (海苔) del sushi giapponese, tuttavia ben distinguibile anche esteriormente nell’aspetto del prodotto finale. Verde invece che nero, essendo altresì caratterizzato da una superficie traforata per la sua composizione in fibre intrecciate dei singoli “gambi” dell’alga, individualmente già piuttosto resistenti, ed ancor di più quando si trovano intrecciate in siffatta maniera. Al punto che, in significativi piatti come l’esempio di haute cuisine mostrato nell’esaustivo video di apertura prodotto dal canale Eater, il “foglio” può essere reso temporaneamente malleabile mediante l’utilizzo di uno sciroppo dolciastro, per poi tornare nuovamente solido una volta che gli è stata data la forma desiderata. Utile, ad esempio, a contenere un bocconcino glutinoso a base di farina bianca e makgeolli (막걸리) un vino a base di riso originario della penisola coreana. Ad ulteriore riconferma della ricerca di sapori non particolarmente intensi, funzionali a valorizzare il fondamentale gusto di ciascun singolo componente, così istintivamente riconducibile al suo notevole ambiente di provenienza. Che il gasiparae possa essere effettivamente fatto crescere, con tutto il suo comparto di caratteristiche irripetibili, resta d’altronde largamente non dimostrato, anche in assenza di studi di settore finalizzati ad escludere che possa trattarsi di una sottospecie dell’alga U. prolifera. Massimizzando e dando luogo alla ripetizione del fondamentale fraintendimento, che vede molte istituzioni coreane proporre in realtà un ingrediente totalmente diverso, l’amarognola Ecklonia cava dell’estremo meridione nazionale, con lo stesso identico nome, nonostante sia completamente diversa e caratterizzata da una colorazione marrone scuro. Un esempio certamente valido di astroturfing, se vogliamo usare la terminologia di settore.

La raccolta della gamtae a Garorim non è un processo semplice, con particolari metodologie finalizzate a ridurre la quantità di fango tirato su in ciascuna manciata. Benché i moderni macchinari, simili a lavatrici, possano semplificare molto il passaggio successivo della pulizia.

Fortemente associata alla cucina di una regione specifica, e benché sdoganata grazie all’apporto tecnologico ancora tutt’altro che democratica, vista la rarità ed il costo della sua versione industrializzata, quella che potremmo definire come l’unica vera gamtae resta ad oggi ben lontano da essere un pilastro dell’intera tradizione gastronomica di un popolo, quello coreano. Pur essendo parimenti rappresentativa di quello che potremmo definire un vertice remoto oppure l’ideale non plus ultra di quel settore, capace d’ispirare, se non propriamente rifornire, l’intero pubblico disposto a fare sacrifici per riuscire a provarlo. In un ambiente produttivo che resta l’appannaggio di un’elite settoriale, eppure stabile negli anni a venire, grazie alla competenza pratica e commerciale dimostrata dalla figlia di Song, Joo Jyun, ormai da tempo occupante la posizione di CEO dell’azienda di famiglia. Laddove un altro tipo di pericolo, a dire il vero, potrebbe minacciare l’inconfondibile baia fangosa di Garorim: la recente proposta, ed il successo ottenuto in sede teorica, della nuova centrale elettrica funzionante grazie all’energia delle maree della Korea Western Power Company. Un dispositivo che potrebbe, offrendo in cambio i suoi preziosi 520 megawatt di potenza, gravare in modo significativo sulla fauna e la flora locale. Il classico tipo di compromesso reso necessario dal cosiddetto progresso, spesso una barriera in grado di deviare il flusso ininterrotto di pregevoli e distintive tradizioni. Per non parlare dei sapori, soltanto un altro tipo di ricordi, che mantengono connessi i rapidi pensieri all’indivisa concezione delle idee.

Lascia un commento