L’appetitosa invasione californiana del verme pene

Tra le tenebre di una notte eterna, in un enorme edificio ai limiti dello spazio e del tempo, è possibile trovare l’enorme dedalo di stanze note come back rooms. Ripetitive quanto un modulo geometrico, e illuminate dal bagliore freddo di lampade al neon prossime allo spegnimento, dove tutto ha un tiepido color giallo crema mentre la moquette del pavimento odora leggermente di bagnato. Così verso la parte finale di questa leggenda dell’epoca digitale, secondo cui sarebbe possibile risvegliarsi in tale luogo e perdersi al suo interno per anni, persino la vita intera, al culmine del proprio romitaggio disperato potrà capitare d’imbattersi nella cucina: priva di finestre e con un tavolo posizionato al centro. In piedi dietro al tavolo, dice qualcuno, aspetta un cuoco dall’alto cappello. E innanzi ad egli, una ciotola con QUALCHE cosa dentro. Rosa, dalla forma simile a un cetriolo ricurvo ma dotato di una testa bulbosa, che si agita ed emette un richiamo psichico sulla falsariga di “Aiuto, aiutatemi, 도움말 나!” E forse sarà il suo singolo “occhio” che è in realtà la bocca da cui fuoriesce muco appiccicoso, oppur magari il modo in cui la pelle si contrae in maniera ritmica tutto attorno a un simile orifizio… Ma l’oggetto o animale in questione potrebbe anche ricordarvi da vicino una specifica parte di voi. Non avrete tuttavia il tempo necessario a interrogarvi, poiché la figura misteriosa, proprio in quel momento, appoggerà un coltello sopra tale povera creatura. E con un sol preciso gesto, scatenerà l’Inferno…
Avevo in effetti pensato d’iniziare questo articolo con la mera ed oggettiva descrizione della notizia, biologicamente e da un punto di vista prettamente naturalistico, senz’altro rilevante: presso la celebre spiaggia di Drakes, situata poco a nord di San Francisco, una mareggiata particolarmente potente si è ritirata lasciando nella sabbia un’incredibile sorpresa: probabilmente il più notevole assembramento del notevole animale noto scientificamente come Urechis caupo o anche “verme a cucchiaio” benché tutti sembrino estremamente convinti che l’unico appellativo possibile debba, necessariamente, essere quello di penis fish. E qui occorrerà specificare con urgenza come, benché la prima parte dell’appellativo risulti essere senz’altro appropriata dato l’evidente aspetto, il potere descrittivo del senso comune abbia finito per fallire in merito alla prima, visto come non ci sia assolutamente nulla, nell’essenza di questo notevole rappresentante della subclasse Echiura, in grado di ricordare direttamente i convenzionali pinnuti esseri del profondo. Eppure, eppure; quando ti capita di osservare coi tuoi occhi l’effettivo processo di preparazione di una simile pietanza gastronomica, particolarmente apprezzata in Corea, Giappone ed alcuni paesi dell’Asia Meridionale, risulta davvero difficile soprassedere sull’effetto scenografico, o se vogliamo addirittura splatter di una simile faccenda, al punto che non sembri in alcun modo fuori posto come climax di un vero e proprio incubo o film dell’orrore. Poiché tali vermi, in realtà parenti (molto) lontani del comune lombrico di terra, possiedono in effetti un’anatomia sorprendentemente complessa con l’intestino sostanzialmente più lungo immaginabile all’interno di una creatura lunga in media 40-50 cm (esistono anche Echiura più lunghi) che una volta portato, per così dire, all’esterno, esplode come un letterale palloncino circondato da un… Fluido, che immagino sia sangue misto ai liquidi biliari del verme. E non è molto facile, essendo cresciuti all’altro capo del mondo, immaginare come la diretta risultanza di un tale processo possa fungere da antefatto a un lauto pasto, benché la versione agli antipodi di questo essere cosmopolita, il lievemente più corto Urechis unicinctus, venga spesso servita cruda con il solo accompagnamento della salsa di soya e il chili piccante. Ma sebbene il detto reciti che “anche l’occhio vuole la sua parte” nessuno ha mai specificato che non potesse, effettivamente, trattarsi dell’occhio della mente…

Ecco il video di cui stavo parlando, nel corso del quale i ragazzi del canale coreano The Pirates appaiono comprensibilmente sconvolti, mentre s’impongono di preparare e consumare un paio di penis fish. Attenzione: non guardatelo se siete impressionabili. Anzi, probabilmente NESSUNO dovrebbe guardare una simile scena.

Senza inoltrarci tuttavia eccessivamente nel delirio da shock culturale gastronomico indotto da un’esperienza troppo approfondita e improvvisa di usanze così lontane, sarà adesso opportuno analizzare questo insolito episodio dal punto prettamente scientifico. Poiché gli Echiura, animali suddivisi in tre diversi ordini e appartenenti alla zona bentonica, ovvero situata in corrispondenza dei fondali marini, vengono talvolta trasportati dalla furia degli elementi presso il bagnasciuga, presso cui non gli resta altro da fare che scavare in profondità nella sabbia, ancorandosi mediante l’impiego della propria coppia di lunghe setole chitinose. Gesto a seguito del quale, essi allungheranno la propria proboscide, che non è ritraibile nei rappresentanti della famiglia Urechidae dei vermi-pene pur essendola in molte delle specie cognate, per disporre all’ingresso della propria buchetta una particolare rete di muco appiccicoso, sopra la quale possano rimanere attaccati detriti commestibili di varia natura (prevalentemente microrganismi della sfera planktonica o minuscoli insetti). Il che costituisce un notevole adattamento, nei fatti, quando si considera come altri vermi debbano invece lasciar sporgere tale fondamentale parte di se stessi, spesso contenente anche il ganglio cerebrale, al fine di ottenere lo stesso risultato ma restando vulnerabili ai predatori degli abissi. Benché almeno, nel caso in cui uno squalo o altro carnivoro gli mangi ciò che costituisce quanto di più simile possiedano a una “testa” essi potranno rigenerarla nel giro di qualche settimana: pratico, nevvero? Il che ci porta a un ulteriore importante soprannome di questi esseri (prevedibilmente anch’esso sconfitto anch’esso da quello più anatomicamente scorretto) e sto parlando di “verme locandiere”. Poiché da tempo gli scienziati hanno osservato come nella depressione a forma di U scavata e occupata da Echiura del tutto simili a quelli di Drakes Beach siano soliti introdursi e vivere felicemente le figure parassitarie di un verme scaglioso, un’ostrica (Cryptomya californica) un gambero dal cappuccio (Betaeus longidactylus) ed il pesce goby Clevelandia ios, ciascuno dei quali parte inscindibile di un preciso ecosistema dalle molte interazioni reciprocamente proficue. In questo modo, l’amichevole pseudo-lombrico penile dimostra tutta la sua benevolenza nei confronti dell’ecosistema che occupa anche dopo un’evento insolito come quello sperimentato in California, aumentandone la biodiversità e garantendo una continuazione proficua dei diversi processi biologici pre-esistenti.
E già che siamo in tema di riproduzione, sarà adesso opportuno affrontare la… Complicata faccenda. Poiché tutti gli Echiuri sono in effetti dioici, ovvero richiedono due individui, il maschio e la femmina per mettere al mondo una prossima generazione, benché il processo adottato possa risultare straordinariamente vario di specie in specie. Per quanto riguarda, dunque, gli Urechidi, i gameti vengono semplicemente rilasciati attraverso la corrente, nella speranza che questi possano raggiungere l’esemplare di tipo femminile. Ma per quanto riguarda l’altrettanto famoso verme Bonellia viridis, con esso strettamente imparentato, sussiste a seguire un processo di “scelta” cosciente del sesso, operato dagli embrioni a seconda di dove quella stessa corrente possa decidere di trasportarli. Così che se questi ultimi dovessero atterrare nel mezzo del nulla, cresceranno come femmine, mentre nel caso in cui dovessero entrare nella sfera d’influenza di una di loro, rimarranno invece d’infinitesimali dimensioni (caratteristica del sesso maschile della propria specie) per entrare quindi attraverso il condotto digerente di ella fino a un’apposita cavità del suo corpo, diventando al tempo stesso dei parassiti e fedeli consorti, pronti a fecondarla ripetutamente nel corso della propria lunga vita. Già, perché forse potrete rimanerne stupiti: nella maggior parte dei casi i vermi pene possono vivere fino a un periodo di 20-25 anni. Ancora una volta, notevole – indeed!

Oltre alle sue insolite abitudini riproduttive, il Bonellia viridis è rilevante per la tossina di cui si ricopre al fine di proteggersi dai predatori, le cui speciali qualità chimiche potrebbero essere alla base, grazie a ricerche farmaceutiche in corso, di un futuro tipo di antibiotici dalla straordinaria efficacia.

Ed è perciò triste, benché ancora una volta inevitabile, che il tutto debba ridursi alla micidiale imposizione del coltello di un esperto cuoco. O magari anche meno esperto, purché non sia troppo impressionabile a causa di difficili esperienze fatte nel corso della propria vita. Dimostrandosi pronto a servire sulla nostra tavola questa pietanza, a quanto pare piuttosto dolciastra e gommosa nella sua consistenza, ma decisamente apprezzabile quando preparata alla giusta maniera.
Perché tagliare un verme a pezzi non è mai particolarmente semplice, per chi prova un qualche tipo d’empatia, ma ancor più arduo può risultare farlo, quand’esso dovesse possedere la forma sorprendentemente riconoscibile di un pene. E davvero talvolta sussiste il rischio, svegliandosi da un brutto sogno, magari mentre ci si trovava sdraiati sulla tiepida sabbia della California, di trovarsi all’interno in un incubo ancor peggiore.

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