Il giro dei turni si concluse. Ma per quanto un simile scenario fosse atteso, persino inevitabile, nessuno avrebbe mai potuto preparare Harley all’esperienza sul finire della pausa pranzo, di offrire il caffè ai colleghi di lavoro nel bar in piazza poco distante dall’ufficio dove aveva cominciato a lavorare la settimana scorsa. Non per il semplice gesto di pagare il conto, chiaramente, bensì la fondamentale tradizione secondo cui doveva essere il prescelto, di volta in volta, a trasportare il vassoio con cinque tazzine piene fino al tavolo fuori la porta, dove gli altri lo avrebbero ricompensato con una grandine di sentiti e sinceri ringraziamenti. Harry mise quindi la cravatta dentro, poco dopo aver abbottonato ogni singolo bottone della giacca. E con un gran respiro, sollevato il carico fumante, iniziò a spostarsi con un moto lineare ed uniforme. Ora un piede innanzi all’altro, mentre il fluido scuro ondeggiava pericolosamente in prossimità del bordo dei recipienti. Egli si prefigurava molto bene, persino troppo chiaramente, cosa sarebbe potuto accadere in caso di un suo errore in tale contingenza: ogni presupposto di cameratismo rovinato, una carriera stroncata sul nascere, l’annientamento umano e professionale della sua figura ancor prima di aver imparato tutti i loro cognomi. Così quando uno degli avventori in fila alla cassa si spostò improvvisamente di lato, urtandolo distrattamente, spostò agilmente il peso sulla gamba destra, nel disperato tentativo di salvare la giornata. Se si versa… Ci saranno conseguenze. Se si versa, è la fine.
Trasferendo quindi tale contingenza, come può talvolta capitare, all’ambito del tutto quotidiano di un sito di fabbricazione metallurgica dell’industria contemporanea, la faticosa esperienza di Harry può essere individuata in quella del pilota designato del cosiddetto Slag Pot Carrier, un tipo di veicolo dal peso approssimativo di appena 90-140 tonnellate. Almeno finché, nel fondamentale esercizio delle sue funzioni, non si trovi a sollevare l’imponente recipiente refrattario entro cui si trova un tipo particolarmente indigesto di caffè. Per non dire addirittura incandescente. Apocalittico eppure appetitoso, a suo modo. L’efficace risultanza del processo di raffinazione dei metalli più o meno ferrosi, in gergo definito, per l’appunto, slag. In altri termini una cosa inutile, se vogliamo attribuirgli un aggettivo, che può d’altra parte ancora assolvere ad almeno un paio di funzioni. Che includono, procedendo a ritroso nella progressione logica degli eventi, il riciclo come materiale economico per edifici e manto stradale, a seguire dell’esecuzione di un possente, catastrofico spettacolo generalmente molto amato da coloro che lo osservano a distanza di sicurezza.
Potremmo definirlo pirotecnico, in un certo senso. Se non fosse l’assoluto opposto della tecnica, consistendo essenzialmente nella semplice sversatura meccanica della pentola argillosa all’interno di un irto fossato. Che poi diventi gradualmente un pendio, percorso dalle venature laviche di un così diverso tipo di vulcano. Ed infine, il crepaccio delle umane circostanze, tanto estreme quanto inevitabili fino all’ottenimento dell’infuocata corrente…
L’effettiva costruzione ed implementazione dello Slag Pot Carrier (o Hauler) costituisce dunque un campo altamente specialistico, poiché ogni cosa nel veicolo in questione è la diretta risultanza delle specifiche necessità operative, in un contesto che definire soltanto difficile sarebbe un eufemismo di portata alquanto significativa. Meccanismo frutto del moderno ingegno tecnologico, dotato di quattro ruote come la stragrande maggioranza degli altri camion impiegati nella processazione e spostamento delle materie prime. Benché per farla molto breve, possiamo convintamente dire che le somiglianze finiscano qui, considerata la struttura a forma di U del braccio sollevatore che costituisce l’intero retro, capace di compiere l’essenziale serie di operazioni ordinatamente elencate sul manuale d’utilizzo e manutenzione fornito al seguito del macchinario in questione. Che può assumere, basando la nostra trattazione sul nutrito catalogo della compagnia dell’Illinois Kress, specializzata nel settore fin dal remoto 1965, molte forme e funzionalità differenti. A partire dai modelli di tipo convenzionale delle serie P e PES, rispettivamente dedicate ai carichi fino alle 154 e 190 tonnellate; passando per i PR e PRES, con ganci per il sostegno del crogiolo posti a distanza di sicurezza dal corpo principale del veicolo, per facilitarne l’utilizzo all’interno di fornaci elettriche ad arco ed altre situazioni metallurgiche logisticamente complesse; e fino al colossale modello PELS, lungo come due autobus e capace di sollevare un peso massimo di 227 tonnellate, avendo cura che non possa sciabordare in alcun modo fuori dallo spazio ad esso deputato nella ciotola del metallo fuso. Molto più pericolosa di qualsiasi caffè, nonché incandescente per sua assoluta ed imprescindibile definizione. Il che comporta, d’altra parte, l’assoluta attinenza a precise normative di sicurezza ed affidabilità, nonché un’attenta personalizzazione del veicolo sulla base del suo effettivo ambiente d’impiego. Ragion per cui la Kress, come molte altre compagnie del settore, mette al centro dell’offerta un’attenta perizia e adattamento di ciascun veicolo alle necessità del cliente, con particolare attenzione a lunghezza e larghezza dello stesso, per poter meglio raggiungere un punto di carico e scarico che possa dirsi a tutti gli effetti sicuro, con ingenti fondi investiti nel campo della ricerca e sviluppo anche in ambiti collaterali, come il comfort d’utilizzo e la conformazione del sedile ruotabile all’interno della cabina di guida. Fermo restando come l’utilizzo di un veicolo di tale natura debba necessariamente essere un compromesso, rispetto alla soluzione assai più pratica di un sistema di trasporto ferroviario. Anche perché lo slag, composto primariamente di silicato di calcio, idrossido alcalinizzato e piccole quantità di ferro e manganese, ha l’imprescindibile predisposizione a solidificarsi poco dopo la separazione dalla materia prima, diventando una massa solida ed indivisibile che tende ad accumularsi. Il che necessita, già nel suo iniziale smaltimento, il “colpo” di sblocco definito in gergo anglofono knocking the pot, che può richiedere l’impiego di pesanti magli o macchinari esterni (nel qual caso prende il nome di deskulling – vedi) piuttosto che venire effettuato dalla macchina stessa, mediante un’agile sbattimento del recipiente stesso contro una superfice appositamente deputata all’esterno della fonderia. Dando inizio allo sversamento del quibus metallizzato ancora soggetto al calor rosso/bianco, fino alla costituzione del fiume di fuoco sin qui meramente accennato!
Ed è qualcosa di assolutamente spettacolare, o almeno sembrerebbe esserlo stato, nel racconto di tutti coloro che avendo posseduto un’abitazione in prossimità dei grandi poli industriali dove tali mansioni erano svolte tempo addietro, senza l’odierna necessità di scavare grandi pozzi di smaltimento, poterono osservare la graduale crescita di quelle vere e proprie montagne artificiali di slag, altrimenti identificate con il termine di waste tip, dalla cui cima lunghe lingue rosse discendevano copiose, colorando e illuminando vaste zone del paesaggio sul finir delle giornate di duro lavoro. In una vita professionale certamente complessa, non propriamente salubre per coloro che dovevano affrontarla nell’incedere dei propri giorni. Eppur funzionale, facendo parte di un settore vastamente remunerativo, all’importante scopo mandare i figli al college e pagare tutte le bollette della casa di famiglia. Molto più di quanto possano auspicare molti di coloro che entrano nel mondo del lavoro oggi, trovandosi a dover navigare tra una complessa serie di compromessi contratti creati ad arte. Poiché nulla può ormai essere dato per scontato, se non che il metallo fuso scende sempre verso il basso. E non è in alcun modo possibile deviarne il corso, una volta che il crogiolo ha superato i 45 gradi d’inclinazione.