La maestosa bellezza ed il celato terrore delle cascate Murchison d’Uganda

Mentre venivano trasportati dalla placida corrente nella primavera del 1861, navigando oltre la regione di Gondokoro alla ricerca della fonte del Nilo Bianco, la coppia di esploratori Samuel e Florence Baker si trovò improvvisamente a udire un suono minaccioso. Come una mandria di bufali che provenendo da lontano, si avvicinava a una velocità crescente, infondendo nel terreno un senso di tremore ed instabilità che risultava percepibile persino dallo scafo di quel natante. Fermamente intenzionati a ritornare sani e salvi nella natìa Inghilterra, per poter narrare innanzi alla Regina l’enorme portata delle loro scoperte, i due scrutarono preoccupati l’orizzonte. E fu così che per un tempo sorprendentemente lungo, mancarono di notare il rischio serpeggiante che iniziava a palesarsi nel fiume stesso. Acque progressivamente più agitate, sovrapposte da uno strato d’increspature in un continuo stato di mutamento. Mentre gli argini iniziavano, in maniera progressiva, ad innalzarsi. Possibile che poco più avanti fosse situata una sezione di rapide, di cui nessuno degli abitanti indigeni, forse in mancanza delle giuste domande, si era preoccupato di metterli in guardia? Lui guardò a quel punto all’indirizzo l’amata consorte, esperta cavallerizza, cacciatrice, conoscitrice delle lingue Turca ed Arabo che si era totalmente rifiutata d’aspettarlo pazientemente in patria. Per cogliere all’interno dei suoi occhi la stessa improvvisa, acutissima realizzazione: “Ca…Cascate! All’erta!” Da un momento all’altro, senza soluzione di continuità, era giunto il momento d’impugnare i remi. E maneggiandoli con impeto tutt’altro che Vittoriano, pregare intensamente all’indirizzo di uno Spirito superiore.
I coniugi Baker ovviamente, accorgendosi per tempo del pericolo, sarebbero riusciti a scampare il disastro di quelle che essi stessi avrebbero in seguito battezzato cascate Murchison, in onore del presidente della Società Geologica di Londra. Un fato tutt’altro che scontato per coloro che si trovano a raggiungere tutt’ora, per imprudenza o un’eccessiva dose di coraggio, la particolare sezione fluviale del più lungo e celebre tra i fiumi della cosiddetta Africa Nera, dove i toponimi sembrano tendere immancabilmente ad allinearsi con gli appellativi della famiglia reale inglese (Lago Victoria, fiume Albert etc…) fatta eccezione per questo, altrettanto ripetuto in un’alta quantità di contesti geografici differenti: il Calderone del Diavolo. E mai un’associazione avrebbe mai potuto essere più corretta, vista la strettoia della gola ampia meno di 7 metri, in cui l’intero flusso di uno dei principali affluenti del corso d’acqua più lungo della Terra s’insinua prima di effettuare un salto di “appena” 43 metri, reso riflettente alla luce solare alla sommità da alcune intrusioni mineralogiche di scisti pelitici. Trasformandosi nell’evidente dimostrazione pratica e sfolgorante della nozione scientifica denominata principio di Bernoulli, per cui all’aumentare della pressione di un fluido non può fare a meno di subire un incremento anche la sua velocità complessiva. Il che consentiva allora come adesso, essenzialmente, al tale caratteristica del paesaggio di lasciar passare una quantità stimata di 300 metri cubi d’acqua al secondo fino all’ampio bacino sottostante. Sotto lo sguardo, stranamente disinteressato, d’ippopotami e coccodrilli.

Difficile immaginare un passatempo più estremo che andare a navigare in prossimità delle cascate Murchison con il proprio kayak, il pericolo che devi andarti a cercare. Fortuna che il video in questione ci offre un commento tecnico approfondito… Sia mai dovessimo trovarci, un giorno, in questa stessa identica situazione!

Che l’Uganda sia un paese problematico, per le alterne svolte per nulla incruente della sua vicenda storica pregressa, è un dato largamente acquisito dalla percezione pubblica di queste terre. Ciò che nessuno tende tuttavia a trascurare al giorno d’oggi, tuttavia, è lo splendore inusitato della sua natura, forse uno degli ultimi baluardi di biodiversità e territori incontaminati rimasti intonsi all’interno di questo selvaggio e spietato mondo contemporaneo. Incluso incidentalmente lo stesso Roderick Murchison onorato dagli scopritori della cascata, individuo notoriamente superbo e intransigente, che amava farsi chiamare Re del Siluriano, in onore dell’Era da lui scoperta e approfondita, considerando l’intero territorio africano come “assai poco interessante”. Un’opinione professionale piuttosto che motivata da ragioni di supremazia razziale (o almeno questo è ciò che dovremmo sperare) la cui soggettività avrebbe paradossalmente finito per essere smentita proprio in questo luogo, da alcuni degli uomini più influenti del XX secolo.
A partire dal presidente americano Theodore Roosevelt che qui giunse nel 1909, alla testa di quello che sarebbe passato alla storia come “il più grandioso safari mai effettuato” finendo per restare colpito dall’aspetto roboante e spropositato di un così notevole ambiente fluviale. Per non parlare del celebre discorso effettuato soltanto due anni prima da Winston Churchill, che descrisse l’intera zona delle cascate come una versione “su scala illimitata” dell’Orto Botanico di Kew. Meno fortunato nel suo coinvolgimento in questa storia lo scrittore Hernest Hemingway, che nel 1954 finì per schiantarsi in prossimità delle cascate col suo piccolo aeroplano, mentre si trovava in volo assieme alla moglie nell’area recentemente denominata come parco naturale dalle autorità coloniali inglesi. Entrambi sopravvissero, fortunatamente, senza riportare gravi conseguenze di nessun tipo. Al sopraggiungere del 1971, quindi, inizia il periodo forse più cupo dell’intera storia ugandese, con la salita al potere del dittatore militare Idi Amin, il quale tra innumerevoli violazioni dei diritti umani e dissidenti puniti con la morte trova anche il tempo di far ribattezzare le cascate di Murchison in Kabalega, dal nome del sovrano di Bunyoro in una pregressa epoca di prosperità risalente all’inizio del XIX secolo, a cui voleva che fosse ricondotta la sua figura. Un immediato tentativo di ripristinare l’appellativo precedente venne fatto poco dopo la sua caduta nel 1979, sebbene ancora oggi sembrino sopravvivere entrambi gli appellativi in parallelo.
Nell’epoca contemporanea, diventate più famose grazie all’espandersi della comunicazione digitale, le cascate e l’intera zona circostante sono diventate un’importante attrazione turistica, non soltanto per la notevole biodiversità locale. Inclusiva di ben 4 dei cosiddetti Big 5 (Leone, leopardo, elefante, rinoceronte – manca il bufalo nero) più una delle ultime popolazioni rimaste della giraffa di Rothschild, ammontante al conteggio attuale a poco più di tre dozzine d’esemplari. Comunque facilmente individuabili nel corso dei safari, direi per ovvie ragioni. L’acquisizione di una moderna coscienza ambientalista ha quindi permesso alle autorità d’instaurare non soltanto un ferreo regime di protezione nei confronti degli animali locali, non ultimo il povero pangolino tanto amato dalla medicina cinese, ma anche il reiterato rifiuto di progetti per lo sfruttamento delle sorprendentemente significative risorse petrolifere e carbonifere della regione. Un tesoro scoperto nel 2006 al di sotto della porzione ugandese dell’Albertin Rift, pari a una quantità stimata di 2,5 miliardi di barili l’anno. Ma il cui sfruttamento, quanto è stato determinato, avrebbe un costo eccessivamente significativo in termini di conservazione del patrimonio naturale terrestre.

Alcuni turisti alle prese con un degli abitanti sotto il pelo delle acque del Nilo Bianco. Un amichevole coccodrillo: cosa c’è di meglio, per fare pratica nello stabilizzare il gommone, mentre si vibrano colpi di remi all’indirizzo delle sue scaglie?

Difficile determinare quale sia dunque, allo stato attuale, il futuro più probabile delle cascate di Murchison. Il cui stato di privilegiata località turistica, particolarmente nell’instabilità del clima internazionale di questi giorni, appare ogni giorno più minacciato di qualsiasi singolo animale africano. Fino alla questione non meno controversa dello strategico EACOP, alias “Oleodotto del lago Albert e dell’Africa Orientale” che ormai da anni viene presentato come inestimabile valore aggiunto per l’economia nazionale, nonostante le numerose proteste degli ambientalisti di una buona parte del mondo civilizzato. Per un guadagno realizzabile soltanto a fronte di una produzione collaterale di emissioni inquinanti pari a 30 volte l’attuale cifra annua di tutta l’Uganda. Prezzi dolorosi ma fin troppo spesso giudicati accettabili, sulla strada invitante del Progresso. Mentre tutto ciò che occorre è un mero cambio di governo, piuttosto che direzione non sempre lecita dei fondi a supporto del progetto, perché la situazione precipiti più rapidamente delle acque del Nilo Bianco. Suscitando un grande senso di nostalgia, nei confronti del notorio senso di disinteresse di Mr. Murchison nei confronti dell’Africa centro-meridionale. Poiché nulla può essere soggetto all’entropia velocizzata dall’uomo, finché riesce a rimanere nascosto. Ma non è (purtroppo?) possibile fermare il grande fiume della Scoperta!

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