Il più pesante dei biplani, lentissimo tra i jet, che solevano chiamare Belfagor

Siamo spesso i primi ad affermare di subordinare l’estetica alla funzionalità, convinti sostenitori della logica e l’intelligenza, disdegnando mere considerazioni figlie della vanità ed i preconcetti privi di significato in ogni circostanza tecnologica o collaterale circostanza della vita. Eppure se torniamo con la mente a quell’eufemismo, famosamente utilizzato per pubblicizzare l’automobile compatta Fiat Multipla: “Per molti, ma non per tutti” torna prepotentemente nella mente l’universale concezione di un veicolo eccezionalmente utile, eppur mostruosamente privo di armonia nelle sue forme, e che proprio per questo non avrebbe avuto dei modelli successivi utili a raccogliere la propria eredità. E se tale cognizione si applica nell’universo dei veicoli stradali, ancor più essa riesce ad essere centrale per quanto concerne l’aeronautica, dove al concetto di “eclettica bellezza” non è semplicemente dato alcun permesso di esistere, come ampiamente esemplificato dalla vasta quantità di pagine specializzate online sul tema dell’Aereo più Brutto della Storia, di per se stesso un meme in grado di attirare l’attenzione delle moltitudini all’interminabile ricerca d’intrattenimento. Un’ideale classifica, nel suo complesso, ove campeggia spesso un simile modello risalente all’apice dell’URSS, figlio della propaganda ancor prima che il bisogno, e che pare giusto definire un fallimento tecnologico, nonostante si ritrovi ancora il detentore di una serie straordinaria di primati. Chi avrebbe mai pensato di trovarsi tra le mani, o anche soltanto ponderato di prima di quel fatidico 1973, l’esistenza dell’aereo agricolo più potente e avveniristico del mondo? Un vero e proprio turbojet del tipo in grado di sfruttare il ciclo di Brayton-Joule, come il tipo di velivoli che avevano saputo rivoluzionare la velocità ed i risultati ottenibili dall’uomo tra le nubi dei conflitti armati della Terra. Per poter muovere guerra, con le stesse mostruosità chimiche un tempo teorizzate dal generale italiano sostenitore del bombardamento strategico Giulio Dohet, ma verso creature assai più piccole e insidiose di noialtri: parassiti, batteri vegetali, bruchi e curculionidi affamati. I principali nemici del popolo, in altri termini, all’interno dei moderni kolkhoz e sovkhoz, collettivi comunisti dedicati alla coltivazione della terra, dal cui successo dipendevano le vite di milioni di persone in fiduciosa attesa. A un punto tale che il governo stesso, all’inizio degli anni ’70, tirando le somme sul principale apparecchio utilizzato all’epoca per la dispersione dei pesticidi a livello nazionale, l’ormai vetusto biplano Antonov An-2, non poté fare a meno di trovarlo insufficiente. Forse proprio perché troppo tradizionalista, dinnanzi all’immagine di un proletariato proiettato verso l’indomani…

L’atterraggio ed il decollo su piste sterrate erano dei momenti particolarmente delicati per un aereo dotato di motore a turboventola, massimamente incline al risucchio di detriti. Per questo venne deciso di posizionare l’impianto in alto, sopra la cabina di pilotaggio.

Il punto di svolta nell’incostante ricerca di soluzioni in materia ebbe modo di palesarsi dunque nel 1971, con il coinvolgimento nel progetto della PZL Mielec (nome di città), rinomata azienda aeronautica polacca già produttrice tecnologica di svariati utili aeroplani in uso nell’intero blocco orientale. Presso cui l’ufficio di rappresentanza sovietico, frettolosamente costituito all’interno del voivodato della Carpazia a tal fine, rese immediatamente chiaro che qualsiasi fosse stata la loro proposta del nuovo aereo agricolo, esso avrebbe dovuto utilizzare assolutamente un tipo di motore a jet, simbolo rombante di un magnifico avvenire per la collettività dei compagni coltivatori. Pretesa assolutamente… Non da poco, quando si considera come anteporre particolari soluzioni di design, all’effettivo campo di utilizzo di un particolare apparecchio, tenda a comprometterne in maniera irreparabile ogni presupposto di sviluppo graduale dell’idea di partenza. Così una volta effettuato il tentativo MOLTO preliminare nel 1972, di tagliare a metà un An-2 rimpiazzando l’intera parte sul retro con un alloggiamento per la turboventola Ivchenko-Progress AI-25 in quello che avrebbe preso il nome di Lala-1 o Latające Laboratorium 1, l’azienda polacca comprese che un approccio maggiormente radicale era già diventato imprescindibile per poter giungere a consegnare il progetto in tempo. Così che i due ingegneri a capo dell’impresa, Kazimierz Gocyła e Riamir Izmailov, non esitarono a coinvolgere ogni altro ramo dell’azienda assieme ai commissari e supervisori tecnici provenienti dall’Est, fino a un personale coinvolto che avrebbe raggiunto entro pochi mesi il gran totale di oltre 111 personalità tecniche di varia estrazione e provenienza. Il cui lavoro congiunto, entro il 1973, avrebbe dato vita a…
Descrivere il PZL M-15 risulta oggi molto semplice, proprio perché le sue caratteristiche si discostano in maniera tanto significativa da quelle inerenti di un comune aeroplano. Spinto in aria dalla sopracitata turboventola con compressore assiale a tre stadi, notevolmente alimentabile mediante l’utilizzo di semplice kerosene, esso presentava infatti l’importante problematica di un peso alquanto elevato, per un aereo che avrebbe dovuto compiere virate particolarmente strette al termine dei campi oggetto del suo passaggio a una velocità massima di 200 Km/h. Per cui fu necessario non soltanto dotarlo di un’ala bassa, per l’inclusione di un carrello d’atterraggio robusto, ma anche massimizzarne la portanza e maneggevolezza, mediante l’applicazione di una soluzione già allora lungamente giudicata retrograda nel mondo della progettazione aeronautica: l’M15 venne infatti concepito come un sesquiplano, analogamente al suo predecessore An-2, ovvero il tipo di biplano in cui le ali superiori sono significativamente più ampie di quelle sottostanti. Ma le stranezze non si esaurivano di certo a questo punto. Per poter svolgere efficientemente il proprio ruolo agricolo nonostante i vortici generati dalla turboventola collocata in posizione elevata, si dovettero infatti concepire due originali serbatoi per le sostanze chimiche, letteralmente integrati nei montanti interalari tra le superfici di volo sovrapposte, nonché dotati di un sistema di recupero dell’aria compressa al fine di gettarne il contenuto su un’aria particolarmente vasta. L’M15 poteva in un suo singolo passaggio, effettivamente, disperdere i pesticidi su un’area eccezionalmente ampia. Ma questo non sarebbe bastato a farne un successo…

Celeste, bianco, giallo: difficile non ammirare il tentativo di abbellire un simile dispositivo, di per se valido a ispirare un certo grado di soggezione. Perché null’altro di simile, ebbe mai modo librarsi sull’Eurasia, né altrove.

Dimostrato al mondo durante l’airshow di Parigi del 1976, con grande fanfara mediatica e convincenti dichiarazioni finalizzate alla vendita internazionale PZL M-15 avrebbe finito invece per restare impresso in funzione di un aspetto particolarmente prosaico: i terribile rumore prodotto durante il volo, tale da richiedere protezioni per le orecchie del pilota e dei due tecnici (opzionali) a bordo, e che gli sarebbe da quel momento valso il soprannome diabolico di Belphegor. E il demone della cupidigia e della turpitudine, di suo conto, non avrebbe potuto far altro che giudicarsi orgoglioso dei molti problemi arrecati dallo strano aereo ai suoi aspiranti utilizzatori, tra cui il costo unitario e di manutenzione molto superiore a quello delle soluzioni antecedenti, la necessità di addestramento specifico e un’autonomia significativamente ridotta, causa il consumo aumentato di carburante unito al peso a vuoto di oltre 3 tonnellate, più altre 2 di carico e sostanze chimiche nei serbatoi. Tutti fattori in grado di contribuire alla riduzione dell’iniziale ordine per svariate migliaia di esemplari ad appena 175, l’ultimo dei quali nel 1985, al termine di un periodo nel quale il velivolo non sarebbe mai riuscito a promuovere l’ingegnosità dell’Unione Sovietica all’estero, avendo essenzialmente fallito nella sua principale missione di partenza.
Perché l’estetica non è importante quanto l’effettiva funzionalità, nell’aviazione, benché spesso simili fattori tendano a coincidere così come avviene all’interno del mondo naturale degli uccelli e insetti, all’insuperabile ricerca di un magnifico fiore. Sebbene ancora oggi sia frequentemente oggetto di complesse disquisizioni filosofiche, l’arduo tentativo di comprendere quale tra i due sia la causa e quale, invece, l’effetto.

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