L’ostile verità dell’erba che minaccia di soffocare il canale panamense

Così recita una diffusa leggenda: era un giorno particolarmente ventoso, quando la nave incaricata della spedizione di materiali e macchine da costruzione proveniente dal Pacifico iniziò le complicate manovre per l’imbocco delle chiuse di Miraflores, poco prima d’essere sollevata dal livello naturale delle acque per intraprendere il penultimo tratto del suo viaggio, in mezzo all’entroterra di un intero continente. Verso l’altro lato e le basi caraibiche dell’Esercito statunitense, per assolvere ai progetti d’espansione programmati da parecchi anni che avrebbero aiutato a frapporre un muro tecnologico contro i nemici del paese occidentale militarizzato per eccellenza. Ma aprendo allo stesso tempo la strada, senza che nessuno potesse prevederlo, ad un diverso ed altrettanto grave tipo d’invasione, causato da qualcosa di straordinariamente subdolo e quasi invisibile, a seconda delle condizioni di giornata. Con un soffio accompagnato da un fruscio, alcuni mucchietti di polvere sul ponte decollarono e riuscirono a raggiungere la riva tutt’altro che distante. All’interno di essi, c’era il seme originale di un peccato e il germe finale della Condanna…
La rovina di un ecosistema trae in genere i natali dall’introduzione (accidentale o volontaria) di un organismo animale non-nativo, particolarmente prolifico, adattabile e distruttivo. Riesce ad essere perciò ancor più sorprendente, il destino verso cui è andata incontro l’intera zona ad amministrazione speciale del Canale di Panama a partire dagli anni ’70, quando una “pianta aliena non-nativa” cominciò a fare la sua comparsa tra le macchie di vegetazione boschiva precedentemente esistenti. Per iniziare quindi, gradualmente, a sostituirsi ad esse, grazie a un espediente particolarmente funzionale anche nel suo ambiente originario di provenienza. La notevole presenza erbacea della Saccharum spontaneum o erba di Kans, capace di raggiungere fino ai 6 metri con il suo pennacchio dall’iconica infiorescenza bianca ricolma di semi volanti, è famosa per la propensione innata a prendere fuoco durante i mesi della siccità estiva. Per poi ricrescere, a partire dalle sue radici rizomatose, molto più rapidamente ed aggressivamente di qualsiasi altro tipo di vegetazione. Con l’effetto di arrecare il dono indesiderabile all’umanità che si ritrova faticosamente a gestirla, col machete e i diserbanti, andando incontro alla realtà coriacea di quei gambi che non solo sembrano resistere a qualsiasi cosa, ma diventano taglienti se recisi arrecando profonde e dolorose ferite. Un problema, d’altronde, certamente trascurabile rispetto a quello principale dell’intera questione: la propagazione progressiva di quest’erba imparentata con la canna da zucchero, ma a differenza di quest’ultima incommestibile causa l’alto contenuto di silice, che riduce in modo esponenziale i già limitati terreni agricoli disponibili nella regione. Tanto da aver portato il governo, già verso la fine del millennio scorso, alla creazione e attribuzione di una serie di villaggi autogestiti dagli agricoltori locali nell’area della zona, sperando che il bisogno di provvedere a loro stessi li avrebbe condotti a generare un’efficace soluzione per il problema. Eppure come nel caso dell’idra dei racconti antichi, da ogni filo d’erba tagliato sembravano spuntarne almeno due, impedendo al destino di fermare la sua ruota. E lasciando una sola, possibile contromisura: giungere infine alla reale, fin troppo a lungo trascurata origine della questione!

Un’altra pianta erbacea invasiva che ha trovato terreno fertile in prossimità del canale di Panama è la Pennisetum purpureum o erba elefante di provenienza africana, la cui natura commestibile per il bestiame è bastata a concedergli, diversamente dalla collega asiatica, un ruolo ragionevolmente funzionale per l’economia dell’intera regione.

Lo studio viene pubblicato alla fine di Novembre da Kristin Saltonstall ed altri scienziati dello Smithsonian, all’interno della rivista sulle contaminazioni ecologiche Biological Invasion. Un testo all’interno del quale viene vagliata l’ipotesi della nave, assieme a quella quasi altrettanto ripetuta dell’impiego intenzionale, da parte di amministratori locali, di una coltura di erba di Kans verso la metà del Novecento, con il fine di prevenire la graduale erosione ed il conseguente crollo di alcuni tratti dei niente meno che fondamentali argini del canale. Una casistica talmente grave, in potenza, da giustificare in linea di principio qualsiasi operazione concettualmente simile a quella degli agricoltori australiani, che famosamente contribuirono alla diffusione iniziale del catastrofico rospo delle canne per liberarsi dall’acaro dei loro raccolti. Mentre l’analisi genetica ed approfondita della vegetale condanna, come ampiamente documentato tra le pagine rilevanti, lascia più che mai in precedenza intravedere la serie di fattori contributivi, e l’effettivo punto di partenza della complicata situazione vigente. Riconducibile, a quanto sembra, a una singola coltura sperimentale o germoplasma messo assieme dal Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) nell’anno 1939, con il fine di vagliare il potenziale d’ibridazione della canna da zucchero per uso alimentare con varie tipologie di specie erbacee, locali o provenienti dai più distanti confini del globo. Benché purtroppo notoriamente, all’epoca nessuno si preoccupasse del contenimento adeguato di materiale biologico non nativo, il che unito alla propensione ad esser trasportato via dal vento dell’ingegnoso seme della pianta, avrebbe condotto irrimediabilmente al seguito di cui possiamo oggi soltanto prendere atto. Una spiegazione che risulta perfettamente coerente con la difficoltà di attecchimento da parte dei propaguli pseudo-accidentali sperimentati dagli scienziati coerentemente al loro approfondimento, ma anche prendendo in considerazione la natura diploide del genoma di una simile pianta. Capace di adattarsi ai diversi ambienti in modo graduale e dopo un adeguato periodo di acclimatamento, grazie al suo alto numero di cromosomi e la propensione a mutare attraverso multiple generazioni consecutive. Al punto che notoriamente vario riesce ad essere il suo aspetto in base alla regione d’appartenenza, da quello di fili poco più alti di un comune praticello fino ai fusti assolutamente impressionanti che oggi minacciano di sovrastare ogni territorio pianeggiante della più strategica nazione centro americana, uno dei pochi luoghi al mondo dal valore economico inestimabile, per il contributo ai commerci inter-oceanici e gli sforzi strategici della difesa statunitense.
Almeno a partire dall’anno 2000, l’eliminazione sistematica dell’erba di Kans si è trasformata in una priorità ecologica del governo panamense, con una spesa sostenuta che lo stesso studio dello Smithsonian stima attorno ai “molti milioni di dollari” notando inoltre come, nonostante tutto, la pianta indesiderabile continui a propagarsi con la stessa inarrestabile irruenza. Questo in quanto non esiste metodologia realmente efficace per contrastare una simile tipologia di situazioni, che non passi per l’impiego in qualche modo proficuo della specie che possiede tutte le caratteristiche di un intruso. Come quella impiegata, con successo misurabile, nell’America settentrionale della cosiddetta switchgrass.

Grandi silos per lo smaltimento attorno agli argini scoscesi del canale? Un sogno possibile, se non addirittura probabile, delle cruciali decadi a venire. Per salvare la Zona nello stesso modo in cui è avvenuto per i grandi ranch americani: un diabolico filo alla volta, senza mai fermarsi ne decidere di riposare. Perché colui che si ferma, si sa…

Il pànico verga (Panicum virgatum) un’altra pianta rizomatosa che raggiunge facilmente i 2,2/3 metri, traendo istantaneo beneficio dal clima secco e caldo dell’entroterra degli Stati Uniti, senza un particolare senso di rispetto nei confronti delle recinzioni agricole del Midwest. Almeno finché in epoca recente, la costituzione d’impianti per la gassificazione per l’impiego con finalità di biocarburante hanno creato il contesto idoneo ad un riciclo sistematico di quell’essere ingombrante, in maniera analoga a quanto si sta progettando di fare, almeno a partire dal 2010, con un complesso progetto del dipartimento agroindustriale dell’UTP (Università Tecnica Panamense) coerentemente alla ricerca di nuove metodologie d’impiego industriale dell’erba. Per la trasformazione in carta, pannelli per pareti, controsoffitti e così via a seguire…
Una fine forse ingloriosa, per la pianta che in India trova associazione tradizionale con il periodo della stagione autunnale associato alle molte festività tra cui quelle della dea guerriera Durga, il sacro puja del decimo giorno di luna piena del mese di Ashvin (settembre/ottobre). Ma resta un punto fermo della storia umana la maniera in cui l’effettivo successo, più o meno intenzionale, di una specie fuori dalla sua legittima cornice d’appartenenza, non sia certo una ragione da celebrare quanto piuttosto l’inizio di una continuativa dannazione logica e immanente. Da cui neppure la Madre Divina, a cavallo dell’inavvicinabile leone che cavalca in battaglia, potrebbe salvarci senza ricorrere ai suoi poteri di annichilimento maggiormente totalizzanti. E tutto il resto, come si usa dire, saranno fuoco e fiamme… Fino al concludersi di un’epoca che sembra instradata verso le ragioni della sua stessa condanna finale.

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