Le lunghe implicazioni oniriche dell’ultra-uovo

Polli paracadutisti che conquistano le spiagge della Normandia; piccioni provenienti dal futuro; cicogne trasformate, per il tocco di una magica bacchetta, negli elfi alati di un diverso tipo di Babbo Natale. Esprimi dunque un desiderio, quest’oggi, mentre lasci finalmente la cucina: “Vorrei. Che il mondo fosse fatto nella specifica misura del bisogno… Che ogni cosa ed animale, che siano frutto di un Disegno oppure il corso dell’Evoluzione, perseguissero l’unico scopo di semplificare il senso ed il significato della mia esistenza.” Così battono le dita sull’invisibile tastiera del destino ed Internet, manifestazione materiale dell’umano anelito immanente, giunge in vostro aiuto per il tramite del vaticino che ha il nome di Google, l’onnisciente. Un lungo…Uovo. E in fondo… Perché no? Disposti gli ingredienti di una tipica insalata o di un panino, come i pezzi di una strategia scacchistica Vs. Kasparov dei tempi migliori, tutti abbiamo già sperimentato quell’acuta sensazione d’inadeguatezza. Alla difficoltosa presa di coscienza che “Il perfetto cibo pre-confezionato dai pennuti” non è poi così perfetto, e neanche concepito come cibo, all’origine del suo progetto funzionale. Come sarebbe mai possibile spiegare, altrimenti, la maniera in cui la capsula biologica per eccellenza, una volta resa solida grazie alla trasformazione alchemica del fuoco manovrato dall’umano desiderio (“uovo sodo”, hai presente) può essere divisa solamente in fette trasversali ove la divisione tra la chiara e il saporito albume pare essere, per l’ingiustizia perenne, palesemente ineguale!
È il paradosso fondamentale della civilizzazione industriale, quest’ultimo, per cui produrre confezioni progressivamente più complesse aumenta l’inquinamento e la produzione collaterale di scarti, ma riduce in modo esponenziale l’inerente spreco dei non meno preziosi ingredienti. Pensate a tal proposito, a tutti i ristoranti, le paninerie, le linee aeree, gli stabilimenti gastronomici, che in condizioni di tipo normale devono gettare via, in media, il 33% di ciascun uovo! (“Cameriere, dov’è il rosso nella mia porzione? Inaccettabile! Inappropriato!) A meno, s’intende, di far ricorso allo strumento futuribile della tecnologia. Perché intendiamoci, il lungo uovo nell’epoca moderna c’è probabilmente sempre stato. Ma semplicemente nessuno amava parlarne, per l’immediato senso di rammarico e di raccapriccio che una simile creazione “contro natura” sembra suscitare nella mente degli spettatori-per-caso, subito pronti ad inneggiare ai meravigliosi meriti del cibo prodotto in modo AUTONOMO dalla natura, conversando tra un porzione di corn flakes, una fetta di salame e l’irrinunciabile scatoletta di tonno, sorta splendida tra i flutti dell’oceano senza fine. Così che ad oggi, grazie a uno specifico segmento televisivo, tale mistica pietanza ha guadagnato la particolare provenienza geografica della terra di Danimarca, dove una fabbrica con significativi gradi d’automatismo veniva mostrata produrne una quantità smodata, per un mercato chiaramente dedito alla persecuzione della massima praticità culinaria. Sto parlando del servizio riservato dal programma tedesco per bambini Die Sendung mit der Maus (“La trasmissione con il topo”) a questa delicata faccenda, che comincia tra gli astrusi macchinari e raggiunge il suo culmine su una spiaggia delle Isole Salomone. Il cui commento più immediato, nonché valido a comprendere il fondamentale nesso della questione, appare pienamente riassumibile nella domanda: “Che tipo di pollo serve, esattamente, per produrre un lungo uovo?”

Tra tutti i tentativi casalinghi dimostrati su YouTube, forse il meglio riuscito compare nel canale in lingua russa di Golodnyy Muzhchina (“l’uomo affamato”) che inizia sempre a cucinare tenendo in braccio il suo fidato sous chef felino. Il quale, a quanto pare, trascorre le ore diurne dentro un cesto di vimini per il bucato…

E qui, apriti cielo (digitale) con migliaia di proposte memetiche tra gallinacei estrusi, grazie a una sana dose di Photoshop, strani uccelli esotici e creature mitologiche sfuggite misteriosamente a un qualche polveroso bestiario risalente all’Alto Medioevo. Quando la risposta poteva facilmente configurarsi nella semplice espressione in tre parti “Qualsiasi tipo (di) pollo” a patto che una volta prelevato dal suo alloggiamento nella fattoria dei nostri giorni, venga inserito nella valida filiera produttiva sin qui accennata, senza entrare propriamente nelle descrizioni tecniche del caso. Il che richiede, nei fatti, soltanto poche righe, vista la sorprendente semplicità concettuale del lungo uovo. Che vede il suo primo inevitabile passaggio, in Danimarca come altrove, nella separazione del tuorlo dall’albume, così che il secondo possa essere disposto nell’apposito ed autonomo recipiente, con forma tubolare ed un cilindro al centro, destinato per l’appunto a farlo solidificare preservando lo spazio vuoto al suo interno. Segue nel secondo capitolo, immagino l’abbiate già capito, il versamento del più saporito ed agognato “rosso” in tale cavità, per poi procedere a seconda e finale cottura verso l’ottenimento di un tutt’uno che possa definirsi, a tutti gli effetti, perfettamente “sodo”.
Non è magnifico? Non è commovente? Non è forse quasi magico, nella maniera in cui un’ingente spesa di risorse elettriche, tecnologiche, industriali, siano effettivamente spese per ri-creare un qualcosa che già fuoriusciva, quasi identico, dal corpus tiepido della gallina? Un’implicazione funzionale, quest’ultima, che ha visto l’opinione pubblica particolarmente pronta a collocare geograficamente l’intera questione nel succitato contesto nord-europeo, con tanto di approfondita ricerca da parte di ignoti, che ha collocato l’epica creazione del primo lungo uovo negli anni ’70 presso gli stabilimenti della Dansk Andels-Ægeksport, compagnia per la distribuzione su larga scala di uova prodotte nelle cooperative agricole locali. Grazie all’arcano strumento, oggi irreperibile in forma visuale, definito macchina SANOVO 6-32, in qualche modo abile a infondere la stessa serie di gesti che compaiono nello spezzone della Tv tedesca. Basta tuttavia tentare un’approfondimento della faccenda, per approdare fino al brevetto statunitense del 1956, di proprietà della Cornell Research Foundation affiliata ad uno dei più prestigiosi istituti d’istruzione di quel paese, in cui una strada simile veniva percorsa in via teorica fino alle più estreme conseguenze. Benché in quel caso, purtroppo, nessuno sembrerebbe essere stato in grado di effettuare la stessa Incredibile (ri-) Scoperta. E questo nonostante le numerose altre meraviglie scaturite dai laboratori della grande università, tra cui le “uova senza guscio” contenute in pratici cartoni apribili, teoricamente utili a favorire la distribuzione di pezzi danneggiati ed invendibili nella loro forma inerente.
La verità dei fatti è dopo tutto, sotto gli occhi di chi ha voglia di notarla: l’uovo lungo c’è sempre stato e campeggia ad oggi in buona parte dei supermercati della Terra, magari nascosto in un angolo remoto, affinché la quantità minore di persone possa scandalizzarsi di fronte al suo aspetto stranamente visto considerato diabolico ed innaturale. L’uovo lungo, nel 75% dei casi, è quello che vi servono al ristorante e nel corso dei vostri voli senza scalo, benché nessuno sia pronto ad ammetterlo, nemmeno con se stesso. Lo stesso Die Sendung mit der Maus, verso la fine della trattazione, mostrava d’altra parte la sua origine remota…

Tra i più bizzarri ed oggi incomprensibili esperimenti commerciali sul cibo degli anni ’70, va citata la strana fad (“moda”) dell’uovo sodo cubico, ricavato grazie all’apposita pressa-gadget. Oggetto dimostratosi capace di guadagnarsi, imprevedibilmente, un significativo quanto transitorio segmento di mercato.

Perché non c’è niente di inerentemente ultra-tecnologico, se ci pensate, nella produzione di tale artificioso orpello gastronomico, che necessita soltanto di un tubo, un’anima per quest’ultimo e la soluzione in grado di sfruttarlo in un processo di cottura. Così che viene citato ed anche mostrato, brevemente, il processo in uso in un contesto di tipo tribale geograficamente definito unicamente come originario “Delle Isole Salomone”. Il che potrebbe permetterci di ritrovarlo utilizzato in modo storico, seguendo il logico sentiero, magari presso la terra emersa dell’isola di Savo, dove i nativi sono registrati aver principalmente ricavato il proprio necessario apporto proteico, attraverso i secoli, proprio delle uova del povero uccello megapodio fosco (Megapodius freycinet) una sorta di polletto nero dai piedi enormi, abituato a seppellire i propri gusci sotto-terra perché venissero covati autonomamente dal calore geotermico dei vulcani, oppure quello prodotto dalla fermentazione della materia vegetale, da lui raccolta esplicitamente a tal fine.
Poco prima che uomini e donne affamate, scavando senza nessun tipo di pietà, lo privassero del suo diritto a propagare il suo richiamo nella prossima generazione. E non è forse, tutto ciò, altrettanto crudele? Non è un sacrificio sommo di ogni residuo ed inalienabile senso umano d’empatia? Scalino oltre il quale sarebbe un chiaro ed evidente gesto d’ipocrisia, gridare allo scandalo dinnanzi all’essenza puramente tecnologica del lungo uovo. Che sacrifica qualche grado di riscaldamento terrestre, ma al tempo stesso onora il sacrificio dei poveri polli, massimizzando la resa di quanto prodotto quotidianamente all’ora del mattino. Perché dove non c’è spreco, c’è speranza…

Rinomata resta la faccenda per cui, se in America tutto sembra essere più grande, analogamente le cose in Giappone tendono a diventare maggiormente kawaii (cari-ine!) Ecco dunque un pratico stampino per la creazione di uova-non-così-lunghe, ma caratterizzate da forme geometriche che alludono a soggetti di vario tipo. Strano modo di divertirsi!

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