Penetrando nel pertugio sotto il suolo carsico di Santa Cruz

Cruciale nella comprensione della mentalità umana è il prendere atto che saremmo disposti a far tutto, pur di entrare a far parte di un club esclusivo. Quello di coloro che “hanno fatto” oppure conosciuto la “cosa”, entrando a pieno titolo nel gruppo della gente priva di timori, augusti ed encomiabili dominatori, delle ancestrali paure della nostra discendenza. Acrofobia. Aracnofobia. Claustrofobia…. Idee che corrispondono ad imprese, sulla base del contesto in qualche modo memorabili, proprio perché in molti si rifiuterebbero anche soltanto di prenderle in considerazione. E del resto, non è sempre facile trovare il modo di riuscire ad intraprenderle, inteso proprio come aver accesso ad un ambiente, naturale o meno, che richieda di riuscire a dimostrare i risultati conseguiti. Dinnanzi al mondo e la natura, per mettere a tacere i detrattori e chiunque osi dubitare della verità. Luoghi come la caverna del Buco del Diavolo o più semplicemente IXL, dal nome del primo club speleologico che ne stilò una mappa nel 1950-51, situata a poca distanza dall’Università della California presso la città californiana di Santa Cruz. Un luogo pratico ed un luogo problematico, allo stesso tempo, proprio perché tanti giovani, attraverso gli anni, non hanno saputo resistere al richiamo sdrucciolevole delle sue pareti fatte di calcare ed argilla, verso il nucleo e il nocciolo della questione situato a circa 30 metri di profondità. Che non sarebbero poi così tanti, se non fosse per l’orribile tragitto che separa il fondo dall’angusta coda di una simile avventura, intesa come fuoriuscita a riveder le stelle tramite lo spazio non più grande di una caditoia nel manto stradale cittadino. Creata, quest’ultima, con uno scopo ben preciso come si desume dal qui presente video di Brandon Gross, escursionista, avventuriero, speleologo, solennemente intento a far da seguito alla sua collega oltre la soglia di un simile luogo, la cui strettezza operativa, nella realtà dei fatti, risulta essere paragonabile o persino superiore a quella di un ingresso tanto scoraggiante, trasformato con intelligenza in vero e proprio filtro di chiunque sia anche soltanto un poco sovrappeso, per cui l’esperienza non potrà che restare un sogno (o incubo?) delle profondità non-viste della Terra. A meno di accontentarsi, come saremmo certamente inclini a far noi spettatori della grande Rete, del resoconto di seconda mano offerto dalle valide testimonianze digitali, di un qualcosa che prima di oggi solo in pochi, e coraggiosi, avrebbero potuto dire di aver conosciuto direttamente o meno. Una caduta controllata, tramite braccia gambe o corde valide allo scopo, attraverso quella serie di strette voragini ed oltre l’ambiente popolato da un’intero ecosistema silenzioso d’invertebrati senza nome, che condurranno, con certezza inesplicabile, fino agli obiettivi arbitrariamente designati, e goliardicamente battezzati, del “cassetto della biancheria di Satana” e “La sala delle facce”, forse proprio quest’ultima effettiva testimonianza di che tipo di persone, e con quale intento, siano pronte ad affrontare un così complicato viaggio…

In un secondo video effettuato una decina di giorni dopo Brandon Gross, accompagnato da alcuni amici speleologi, ha raggiunto questa volta il fondo più remoto della caverna, fino all’unica attrazione che questa contenga per i giovani più coraggiosi o incoscienti di Santa Cruz.

Il tipo di ambiente di cui stiamo parlando, è importante prenderne atto, non è ad ogni modo alla portata dei principianti, nonostante quello che sembrano pensare molti dei suoi visitatori vestiti di semplici jeans e maglietta, quando non addirittura i calzoni corti, e dotati di torce a mano il cui spegnimento potrebbe dar l’inizio ad un drammatico tentativo di salvataggio. L’esplorazione completa della caverna, intesa come raggiungimento delle più profonde camere disegnate nella mappa risalente alla metà degli anni ’80, tende in genere a richiedere tra le tre e le sei ore, rendendo quindi fondamentale la comunicazione preventiva nei confronti di coloro che potrebbero, nel caso in cui qualcosa vada per il verso sbagliato, mettere in moto la macchina dei soccorsi. Educativo, nello scoraggiare gli aspiranti impreparati, potrebbe quindi risultare il lavoro di annotazione realizzato dall’alpinista Binky the Wonder Dog e pubblicato sul suo blog in cui i diversi tratti della caverna vengono valutati secondo lo Yosemite Decimal System, graduatoria su tre livelli (facile, medio e difficile) normalmente utilizzata per passeggiate in montagna o scalate dai praticanti statunitensi di simili attività. Da cui si evince come, già pochi metri dopo l’ingresso e come possiamo vedere chiaramente anche nel video di apertura, i visitatori dovranno affrontare il difficile ManTrap Chute, uno spazio tanto angusto da sembrare, come esclamato con stizza da Brandon Gross: “Non più largo di un (il mio) piede!” Per poi accedere, successivamente a questo punto, alla cosiddetta sala delle feste, l’ultimo punto in cui sarà possibile alzarsi in piedi, subito seguita dal cavatappi, lungo passaggio strisciante di difficoltà 2 (e terrore 9.000) fino alla lunga caduta del pozzo, 12 metri verticali che costituiscono, inerentemente, il punto più pericoloso della caverna. Dove purtroppo, è usanza dei visitatori lasciare a disposizione le proprie corde, spesso assicurate in modo inefficiente o di tipo inadeguato a sostenere il peso di una persona, mettendo inconsapevolmente in pericolo il gruppo successivo di esploratori. Ma una volta raggiunto il fondo e superata l’umida “stanza della pozza” tutto ciò che resta è compiere la propria scelta al bivio successivo, tra le due succitate destinazioni finali, tra cui la più interessante resta certamente quella caratterizzata da pareti in argilla plasmate attraverso gli anni dagli esploratori della caverna, in un certo numero di sculture strane, spaventose o irrimediabilmente volgari, al cospetto delle quali è stato lasciato anche un blocco da firmare, per aggiungere il proprio nome a quello dei precedenti membri di questa comunità informale. Il tutto come dicevamo nella ricerca di quest’atmosfera problematica di voglia di provare e mettersi in discussione, per un luogo che in effetti, presenta non pochi pericoli latenti. A partire da quello, sempre presente in speleologia, di subire un infortunio nelle profondità della Terra e rimanere quindi bloccati la sotto, senza nessun tipo di speranza salvo l’intervento da parte di terzi, oppure l’eventualità specifica di un’improvviso rovescio atmosferico che inondi la caverna, particolarmente possibile nel caso del Buco dell’Inferno data la preoccupante vicinanza a un torrente. Per non parlare di eventualità più sfortunate ed improbabili nei confronti delle quali nessuno, mai e poi mai, potrebbe sperare di riuscire a salvarsi…

Coraggio, sicurezza in se stessi, la certezza di poter superare qualsivoglia ostacolo, non possono talvolta fare nulla dinnanzi alle avverse crudeltà del fato. Come ogni pregresso istinto ereditario, qualche volta il timore innato degli spazi angusti può essere considerato un guardiano contro il sopraggiungere di una fine crudele.

Nessuna narrazione relativa a una caverna come questa, dalla storia accattivante e i toponimi ispirati a ingannevoli attrazioni da luna park, può dirsi completa senza un accenno alla tragica vicenda di John Edward Jones, che perì il 24 novembre del 2009 dopo essersi avventurato, assieme al fratello, presso la località dello Utah Lake nota come Nutty Putty Cave. Ulteriore riferimento alla notevole quantità di argilla contenuta nelle sue pareti ma anche responsabile del falso senso di sicurezza per un luogo che sarebbe risultato, di lì a poco, ben più pericoloso del californiano Hell Hole. Spazi variabilmente angusti, luoghi che possiedono un profondo ed inspiegabile fascino per chicchessia. Ma ve ne sono, purtroppo, dalla forma idonea a intrappolare, senza nessuna possibile speranza, un corpo umano, privando la malcapitata vittima di una qualsiasi speranza di tornare indietro. Così Jones, inoltrandosi da solo in un luogo “più difficile ed interessante” della Nutty Putty, finì per scivolare lentamente ma inesorabilmente a testa in giù in un pertugio largo esattamente quanto le sue spalle, per poi restare, all’espandersi dei suoi polmoni, ancor più orribilmente incastrato. Ed a nulla valsero i tentativi immediati del fratello, per non parlare delle 137 persone accorse sulla scena dopo l’allarme di quest’ultimo con corde e carrucole attrezzate per tirarlo fuori letteralmente a forza, prima che al trascorrere di 28 ore il padre di famiglia morisse soffocato, tra l’impotente disperazione dei presenti.
L’uomo, d’altra parte, è fatto per molte cose. Che di certo non includono volare, tuffarsi, nuotare, arrampicarsi sopra le montagne e scendere al di sotto di esse, per scolpire volti e peni in luoghi ove la luce del sole non potrà mai riuscire a penetrare. Oltre il mondo della coscienza ed entro quello inconoscibile di voci e mistici sussurri, latori di preziose congratulazioni. Inclusa quello di esserci, averlo fatto, essere una parte di un qualcosa di potenzialmente inutile o letale. Ma che in un certo senso, ha fin da un tempo immemore atteso di ricevere la nostra partecipazione segreta.

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