Cose oscure che si aggirano tra i ficus e i mopani; becchi aguzzi, zampe fuori scala, piume che nascondono una coppia di speroni acuminati. Strano uccello, che segreto custodisci? Ma è al momento in cui compare il rischio inaspettato, del nemico che riemerge dal profondo di quell’acque, orribile, bitorzoluto coccodrillo, che il mistero si dipana innanzi agli occhi dell’osservatore! Poiché si aprono soltanto un poco, le ali corte, arrotondate. E sotto ad esse ivi compaiono, in maniera surreale, un’altra coppia di nodosi arti… E quindi un’altra ancora. Mutazione? Radiazione? Traslazione dietro il velo della dimensione? Forse (chi può dirlo) in tempi assai remoti a questa parte; per il resto, mera evoluzione. Poiché tutti ormai conoscono, da queste parti, il metodo e lo stile del paterno jacana. Uccello, africano ma non solo, che al momento in cui necessita di chiamare a se i suoi piccoli e portarli via al sicuro, è solito prenderli, letteralmente, “sotto la sua ala”. Al punto che nessuno potrà neanche più pensare di trovarli, fatta eccezione per quegli arti dalle dimensioni superiori, usati dall’intera famiglia tassonomica con lo scopo di riuscire ad occupare una particolare nicchia ecologica dell’ambiente di palude. Nella scena qui mostrata in video, famoso spezzone virale del variegato Web prelevato da un documentario della PBS, stiamo in effetti osservando un esemplare maschio di Actophilornis africanus (jacana africano) mentre compie uno dei gesti maggiormente rappresentativi della sua specie. Un qualcosa di altruistico ed assai comprensibile, che potremmo facilmente ricondurre allo stile e il modus operandi degli umani. Perché gli uccelli capiscono, e sanno anche proteggere, il valore di una o più vite recentemente fuoriuscite dall’uovo. Anche se tale comprensione potrebbe anche provenire, nei singoli casi, da specifici adattamenti anatomici e istintivi. Tutto nell’esemplare di raffinato predatore che compare all’interno di una simile inquadratura, lascia del resto intendere un perfezionamento particolarmente significativo dei presupposti di caccia e sopravvivenza all’interno dello scenario in cui si svolge l’azione, costituito niente meno che dal famoso delta dell’Okavango, il bacino endoreico in cui si disperde l’omonimo fiume ai confini del deserto del Kalahari. Popolato, tra gli altri, da questo volatile guadante, abituato a cercare invertebrati tra le piante che galleggiano al di sopra della superficie grazie alla notevole capacità di distribuzione del peso garantita dalla dimensione dei piedi, che misura circa 30 cm di lunghezza e risulta facilmente riconoscibile dallo scudo azzurro situato al di sopra del becco, esteriormente simile a quello delle folaghe. Una variante certamente rappresentativa, benché comprensibilmente e ragionevolmente diversa, delle otto specie attualmente in vita presenti in diversi territori del Vecchio e Nuovo mondo, tutte egualmente capaci di effettuare la stessa manovra di tutela della prole nel momento della verità. Nonché caratterizzati da una particolare attribuzione dei compiti nel rapporto di coppia, che ne fa uno dei rari casi nel mondo animale in cui i ruoli risultano invertiti sotto ogni punto di vista, benché egualmente suddivisi. Ed è il maschio, come sopra accennato, piuttosto che la femmina, ad occuparsi del mantenere al sicuro e proteggere la prossima generazione di nuovi nati. Benché tutto inizi, come al solito, nella furia e la ferocia del combattimento tra cospecifici…
Niente lek, ovvero i caratteristici tornei tra maschi dominanti, nella storia della vita di questi uccelli, bensì un diverso tipo di competizione, condotta tra le femmine e proiettata verso la necessità di guadagnarsi uno spazio sulle isole relativamente rare all’interno di una singola palude. Spazi che una volta ottenuti, verranno trasformati da quest’ultime in nidi grandi e non particolarmente solidi, nascosti tra canne e giunchi raccolti appositamente a tal fine. Una volta raggiunta tale fase, quindi, esse inizieranno ad emettere un suono ripetuto, paragonato in alcuni paesi al miagolìo di un gatto (la vostra opinione potrebbe variare) aspettando con fiducia l’arrivo di uno o più partner d’accoppiamento, che accoglieranno e proteggeranno esattamente come se si trattasse dei tesori esclusivi del proprio harem. Segue la deposizione di un numero variabile tra le due e le quattro uova, caratterizzate da un guscio mimetico a strisce, capace di confondersi tra la vegetazione. É importante notare, giunti a questo punto, come le femmine di tutti i jacana siano in effetti sensibilmente più grandi e forti dei loro multipli consorti, possedendo inoltre il valore aggiunto di una maggiore coppia di speroni nascosti sotto le articolazioni delle ali, capace d’infliggere notevoli danni alle rivali o eventuali predatori, tra i quali figurano spesso altri pennuti dall’indole decisamente più crudele. Ed è per questo in apparenza controproducente che sia lui, piuttosto che lei, a ritrovarsi addossato l’incarico di proteggere i piccoli comunque notevolmente precoci ed indipendenti, che già pochi giorni dopo la nascita possono vantare gli ottimi strumenti guadagnati attraverso i secoli d’evoluzione: primo tra questi, l’istinto ad immobilizzarsi per non attirare l’attenzione, lasciando che il padre distragga l’eventuale nemico. Oppure secondariamente, l’abilità di gettarsi sott’acqua, lasciando fuori soltanto il becco per respirare; una tecnica, quest’ultima, usata occasionalmente anche dagli esemplari adulti. E soltanto come ultima risorsa, quando occorre allontanarsi alla massima velocità e non è più possibile tentare di distrarre l’attaccante, quella di correre sotto le ali protettive del genitore, la cui particolare conformazione ossea permette in effetti di sollevarli e mantenerli fuori dalla vista senza nessun tipo di sforzo superiore alla sua portata. Una prassi che può anche ricordare quella, egualmente attestata, di sollevare un uovo al fine di portarlo al sicuro, portata a termine dal jacana intrappolandolo tra il becco e il petto, in maniera sostanzialmente ignota a qualsiasi altro tipo di volatile, fuori o dentro la palude. Ben presto, quindi, i figli e le figlie lasciati alle amorevoli cure del genitore impareranno a procurarsi da soli il cibo, infiggendo il becco tra i bordi delle ninfee alla ricerca dei minuscoli bocconi artropodi che costituiranno la parte principale della loro dieta. Benché molti tipi di alghe e piante siano effettivamente state ritrovate all’interno dello stomaco di questi uccelli, oggi si ritiene che debba principalmente trattarsi di casi d’ingestione accidentale, svoltisi durante giornate di caccia particolarmente intensa e poi digerite soltanto a distanza di tempi estremamente eccessivi.
Straordinariamente abile nel suo particolare stile di vita, il jacana è stato anche chiamato “uccello Gesù” in funzione della sua apparente capacità di camminare sulle acque, garantita da foglie semi-sommerse e non sempre visibili di svariate tipologie di ninfee. Un’evidente esagerazione di termini non di meno giustificata, almeno in parte, dalle sue notevoli doti di sopravvivenza, che l’hanno reso piuttosto comune nei suoi molti e distanti territori di appartenenza.
Ciononostante, come tutti gli animali che dipendono da un particolare bioma, la palude, esso risulta inerentemente vulnerabile alla progressiva riduzione di quest’ultimo, implicazione difficilmente negabile dell’attuale trend ambientale ed il continuo bisogno d’espansione territoriale da parte degli umani. L’unico jacana capace di migrare risulta essere, del resto, quello dalla coda di fagiano, mentre tutte le altre specie sono volatori particolarmente poco abili che possono fare ben poco per trasferirsi nel momento in cui il loro ambiente di appartenenza naturale dovesse ritrovarsi minacciato. Ed è proprio per questo, al di sopra di qualsiasi altra considerazione, che dovremmo prendere atto della straordinaria indole paterna di un così attento genitore. Assieme alla maniera in cui, simili insostituibili creature, appaiono meritevoli del nostro rispetto. Altrimenti che differenza potrebbe mai esserci, tra noi e il coccodrillo?