Zampe di cavalletta per l’aereo che domina il bush

Con un rumore quasi elicotteristico, la strana belva sembra ripiegarsi su se stessa. Le ali ampie mentre arretra, la coda tenuta ben dritta, il muso che freme anticipando l’attimo glorioso del decollo. Draco, il grande coccodrillo, l’essere di fuoco che ha il colore di un tramonto in fiamme! Colui che preme con forza contro il duro suolo sterrato, quindi nel momento in cui riceve una sorta di segnale… Dal suo padrone? Da una sorta d’invisibile stregone? Effettua un rapido sobbalzo: ed ora inizia a muoversi, ruggendo. E qui qualcuno potrebbe pensare che con il suo peso di circa 1,3 tonnellate, equivalente a quello di un’automobile di dimensioni medie, il mostro abbia necessità di un’appropriata rincorsa per staccarsi dal suolo. Ebbene quell’ipotetica persona, magari in piedi tra il pubblico della competizione tra i maggiori volatili dell’ecosistema della High Sierra californiana, farebbe assai presto a rimangiarsi la propria idea. Così d’un tratto tutti, sulla pista improvvisata (ammesso che si possa giungere a definire tale) di quel fatidico 2018 si ritrovano a guardare in alto. È l’attimo preciso questo, in cui un paio d’ali rigide si ammantano di gloria. E agli occhi e nelle orecchie di chi possiede il giusto interesse, s’intraprende il ripido percorso di colui che tenta di riscrivere la storia.
Lasciate che vi presenti Mike Patey, sincero aviatore dei nostri tempi, capo di un’azienda di servizi e fratello gemello del suo socio in una piccola squadra di 11 figli (oggi a sua volta padre di 4) che ci tiene ripetere quanto ami dedicare del tempo alla sua famiglia. Ogni singola volta, possibilmente, in cui si ricordi d’atterrare nel vialetto della sua non necessariamente metaforica casa. Qualcosa che può capitare molto più spesso di quanto si possa credere, in funzione delle specifiche caratteristiche dell’ultima creazione uscita di quell’hangar fattivo e fecondo, che è il principale sito d’investimento voluttuario delle sue non trascurabili finanze. Diciamolo di nuovo, gridiamolo persino: il velivolo dal nome estremamente suggestivo di DRACO. Che non è più soltanto quello che sembra, ovvero una versione pesantemente modificata del vecchio apparecchio STOL (Per Decollo ed Atterraggio Brevi) di fabbricazione polacca PZL-104 Wilga, ma un vero e proprio dispositivo dalle straordinarie doti, con un peso dimezzato ed il mostruoso motore Pratt & Whitney Canada PT6 da 680 cavalli, più del doppio in termini di potenza dell’originale impianto radiale previsto in questa tipologia d’aereo. Qualcosa capace di scaraventarlo a pieno titolo fuori dagli anni ’60 della propria remota origine, dritto verso un intero secolo di trionfi, durante le competizioni nazionali e internazionali per cui in origine era stato, idealmente, costruito…

Nel celebre debutto agonistico del suo nuovo bush plane nella specialità drag racing, Patey sbaragliò il Carbon Cub pesantemente modificato del suo competitor Toby Ashley a bordo del nuovo mostro, volando dritto verso il trionfo nell’appassionante finale di gara.

Così probabilmente già saprete che cosa, idealmente, rappresenti il bush: terra incognita e inesplorata, fino ai tempi recenti, del tutto priva di strade, infrastrutture o un qualsivoglia tipo di presenza umana. Il bush è la tundra dell’Alaska, è la taiga siberiana, la savana sudafricana e persino il deserto del Sahara (benché almeno lì e nonostante la traduzione letteraria del termine, di “cespugli” non ve ne sia traccia alcuna). Uno dei tenti luoghi insomma, in cui lo spostamento longitudinale umano lungo la curvatura del pianeta Terra risulta inerentemente avverso agli umani, se non formalmente impossibile, mediante l’impiego di mezzi convenzionali. E con ciò intendo, in parole povere, veicoli dotati di ruote e soltanto quelle. Una questione che sottintende, affinché ogni personalità coinvolta abbia ragionevoli chance di sopravvivenza, l’impiego risolutivo di un dispositivo capace di staccarsi dal suolo. D’altronde per ovvie ragioni, il velivolo impiegato per fare fronte a una simile necessità non può avere le consuete limitazioni della sua classe, né le complicate esigenze di manutenzione di un vettore dotato di ala rotante. Avete mai visto un aeroporto, o eliporto, sperduto proprio nel mezzo del bush? Ed è così che trascorso il primo trentennio a partire dal quell’epocale primo volo del 1903, gli implementi dedicati a un simile ambiente d’impiego presero ad assumere delle caratteristiche attentamente determinate: un carrello alto e resistente, con grossi pneumatici o un paio di pratici galleggianti (ammesso che siano validi allo specifico luogo d’impiego); ali alte per facilitare le operazioni di carico e scarico; configurazione a tre punti d’appoggio a terra con due avanti e uno dietro, per limitare le vulnerabilità strutturali; e sopratutto, un rapporto di peso/potenza abbastanza vantaggioso perché il decollo possa avvenire, in caso di necessità, nello spazio relativamente insignificante di qualche metro. Una capacità inerentemente già posseduta dal primo
PZL-104 Wilga adeguatamente potenziato per il mercato americano, che Mike Patey aveva acquistato per sfizio ed usato con gran divertimento, prima di venderlo con rammarico qualche decina d’anni fa. Nonché dall’ultimo in assoluto uscito da quella fabbrica polacca, da lui riacquistato in seguito. Almeno prima del guasto che ne avrebbe rovinato completamente il motore costringendolo a trasformarsi nel Dr. Frankestein, per vederlo volare ancora.
E così ritornò dalla voragine dell’oscura caverna, questo rinnovato e formidabile DRACO, nel descrivere numericamente il quale dovremmo aggiungere a quanto indicato finora un’accelerazione in grado di raggiungere gli 80 Km/h durante i primi 1.000 piedi di ascesa, per poi proseguire fino ai 28.000 e una velocità massima di 370 Km/h, grazie alla dotazione di un impianto per l’ossigeno da impiegare al di sopra degli strati superiori dell’azzurro cielo. Oltre a una velocità di stallo di appena 59 Km/h grazie alle ali ingrandite rispetto al modello di base, abbastanza bassa da permettergli in fase di decelerazione di fermarsi quasi letteralmente in aria, poco prima di poggiare le ruote a terra e cessare istantaneamente ogni accenno di movimento. Ciò grazie alla dote, piuttosto rara, d’invertire istantaneamente il passo dell’elica, innestando essenzialmente l’equivalente in aviazione di una potente retromarcia equivalente ai 300 cavalli motore. In forza della quale Patey non ha resistito (e chi mai avrebbe potuto farlo?) a fornire il proprio velivolo di una telecamera per vedere dietro, da usare durante improbabili parcheggi autogestiti all’interno dell’hangar di giornata, dinnanzi allo sguardo incredulo del personale di terra.

È del novembre del 2018 questa scena degna di un film di James Bond, in cui Patey collaborando con i due utilizzatori di tuta alare Marshall Miller e Scott Palmer si è impegnato nel mettere in scena alcune vertiginose evoluzioni. Durante le quali, senz’ombra di dubbio, le eccellenti capacità di manovrabilità del velivolo sono state messe a dura prova.

Nell’epoca della tecnologia dilagante in ogni potenziale campo dello scibile umano, sarebbe fin troppo facile relegare gli aerei con motore ad elica, per quanto potenti, a un mondo ormai trascorso e dimenticato, dinnanzi alla potenza eminente delle infinite tipologie dotate di ugelli a reazione. Ma la questione è che se il mondo della fisica risponde a specifiche norme, idealmente continuative nei confronti di noi, gli animali più o meno pennuti (ad es: scoiattolo volante) e ogni altro corpo mobile nella soluzione di atomi gassosi che ogni cosa circonda, ci sarà sempre spazio per quel qualcosa che taglia sistematicamente il vuoto, trasformandolo nel sentiero ideale dei nostri più elevati e nebulosi traguardi situazionali.
Competizioni come quella della High Sierra, ed imprese comparabili alla creazione del rosso mostro di Patey, diventano dunque l’occasione di ampliare quei limiti che neppure sapevamo di avere. Aspirando, come l’orgoglioso Icaro, alla sfida del distante quanto inconsapevole astro solare. Ma con la ragionevolezza, dal canto nostro, del suo coscienzioso padre Dedalo. Ciò garantiscono, quanto meno, i lunghi anni trascorsi nel perseguire il sicuro tragitto della scienza.

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