Giappone in rovina: alberghi abbandonati a un paio d’ore dalla capitale

Tagliando rabbiosamente l’aria di campagna col suo terribile ronzio, il drone sorvola le acque tranquille di un particolare tratto del fiume Kinugawa, dove soltanto ai funzionari di governo, i samurai di un certo livello e i monaci del grande tempio shintoista dedicato a Tokugawa, condottiero che completò l’unificazione di quel paese, veniva permesso di compiere le proprie abluzioni. Per la presenza di una sorgente termale sulle pendici di una collina situata a un paio di chilometri e scoperta soltanto nel 1691, le cui acque potevano costituire una preziosa panacea di tutte quelle afflizioni che, nell’epoca antecedente alla modernità, venivano pazientemente tollerate dalla gente comune. Mentre oggi, tutti possono acquisire quel livello di servizi e svago, a patto di disporre di una quantità adeguata di denaro da investire nell’economia di quello che riuscì a diventare, verso la metà degli anni ’70, un vero e proprio resort ad alta percorrenza, paragonabile a un villaggio dalle medie dimensioni. Mentre l’obiettivo della telecamera si avvicina un po’ alla volta, tuttavia, s’inizia a scorgere un qualcosa d’inaspettato: le finestre degli alti palazzi, un tempo ornate da piante, con tavoli per fare colazione o gente intenta a rilassarsi mentre osserva il panorama, appaiono quest’oggi vuote come le orbite di un teschio abbandonato. Neanche un’automobile figura all’ombra delle loro mura, come se d’un tratto, ogni persona avesse lasciato questo luogo all’arrivo di un qualche tipo di catastrofe terrificante, come un terremoto, uno tsunami o perché no l’attacco dei demoni ( oni – 鬼) arrabbiati (okoru – 怒る) da cui prese il nome questo luogo ragionevolmente ameno. Dopo tutto, siamo in Giappone giusto? Eppure, la triste fine della parte derelitta dell’onsen (温泉 – stazione termale) ancora celebre di Kinugawa ( 鬼怒川 ) non ha origini di tipo naturale o mistico, costituendo piuttosto l’effetto collaterale di una serie di casualità di tipo finanziario ed economico, largamente frutto delle manipolazioni umane.
Secondo quanto riportato in vari blog del settore urbex, disciplina di esplorazione abusiva per cui il Giappone del dopo-bolla immobiliare offre un ampio ventaglio d’opportunità, il dramma di questo luogo ebbe inizio al volgere del 1990, quando la banca locale della vicina cittadina di Ashikaga, principale finanziatrice delle aziende che si erano occupate di sviluppare il lato turistico della regione, va incontro a un improvviso fallimento. La ragione fu la stessa della più recente crisi economica globale del 2007-2008: acquisizione di una quantità eccessiva di crediti soggetti a cartolarizzazione, ovvero passati per più volte di mano svalutandosi più e più volte, fino all’evaporazione di un qualsivoglia valore residuo. Prive di una base solida per mantenere salde le proprie finanze, in una situazione ulteriormente appesantita dal calo dell’interesse pubblico nei confronti delle cosiddette okuzashiki (奥座敷 – [case con] la stanza per guardare il giardino) ove ritirarsi dal tram-tram della vita cittadina, le aziende che avevano in gestione il resort caddero l’una dopo l’altra, portando i propri interessi operativi altrove. Ma il loro scheletro, come possiamo ben vedere grazie all’occhio intento a scrutarlo dal cielo, restò lì.

La dimensione di alcuni dei palazzi abbandonati dell’onsen di Kinugawa sfida letteralmente l’immaginazione, ricordando le ambientazioni del day after particolarmente care a un certo tipo di letteratura catastrofista dei nostri giorni. Eppure a pochi chilometri di distanza, altri edifici identici continuano indisturbati a incarnare il ruolo di attrazioni di grido.

Un luogo terribile ed affascinante, a suo modo, tra i più celebri citati dal professore emerito dell’Università di Tokyo Shigeru Itou all’interno del libro intitolato “Ugly Japan” (il brutto Giappone) per la maniera in cui un’intento collettivo di sfruttamento fino ai massimi termini vide la concessione di permessi a costruire anche a ridosso del fiume, bloccando la vista sullo stesso da parte dei più vecchi cottage che si trovavano sulle pendici della collina. Una situazione da lui evidenziata, sebbene in termini diversi, anche per il vecchio e caratteristico ponte sul fiume Sumida della zona Nihonbashi a Tokyo, quasi completamente coperto e messo in ombra da un viadotto di epoca contemporanea, simbolo della trasformazione del quartiere in polo finanziario della città. Ed è tutto questo, un aspetto della cultura giapponese così nettamente in opposizione con la visione collettiva di un popolo che, per propria nota predisposizione, ha sempre avuto la massima cura nel preservare il passato, spesso tramite dei metodi istituzionali e la costante reinterpretazione dei creativi moderni.
Nei dintorni dei più alti ed impressionanti tra i palazzi mostrati in apertura, dunque, un certo numero di appassionati si è inoltrato attraverso gli anni, incluso l’autore del blog Bleak Scenes (fonte di questa trattazione assieme a un lungo reportage di Spike Japan) che in una serie di escursioni ne ha composto una collezione fotografica notevolmente dettagliata ed approfondita. Inoltrandosi non tanto sui palazzi a più piani, ormai parzialmente invasi dalla vegetazione e presumibilmente prossimi ad un crollo rovinoso, quanto negli ambienti ricchi di bungalow e cottage in affitto, che avevano costituito un tempo la fiorente industria locale dei love hotels. Luoghi, per chi non lo sapesse, riservati unicamente al tipo più completo d’incontro romantico, spesso arricchiti da un qualche tipo di “tema” riconducibile a una fantasia comune, benché questo ultimo aspetto non sempre sia altrettanto preminente qui in campagna, come tra i fumosi e svettanti palazzi della città tokyoita. Forse giusto tra i confini dell’hotel Don Quixote, tra letti girevoli e curiosi cavallucci a motore, si riesce a intravedere un lieve intento medievaleggiante di stampo vagamente europeo, sinonimo al di là del Mar d’Oriente, di un mondo fantastico connesso a manga, cartoni animati e video game. Tra le strade di quello che avrebbe potuto costituire, soltanto 30 anni fa, un piccolo paese autosufficiente sotto numerosi aspetti, campeggiano nel frattempo indisturbate le vecchie statue e figure di Kinuta, il bambino-orco armato di grande mazza ferrata che costituì, tra gli anni ’70 ed ’80, il beneamato yuru-chara (ゆるキャラ – personaggio simbolo o per usare un francesismo, mascotte) della prestigiosa location, accompagnato dal motto di buon augurio Oni-ni kanabō (鬼に金棒), ovvero [dai] all’orco una mazza di ferro, rendendolo, auspicabilmente , “ancora più forte”. Ma non c’è forza che possa competere al giorno d’oggi con l’energia dei flussi finanziari condotti altrove…

In questa ragionevole corsa con la formidabile Acura NSX del canale di YouTube DeepDrive è possibile ammirare le arzigogolate curve della famosa linea di Momiji, comparsa anche nel popolare cartone animato Initial D. Proprio tale arteria stradale avrebbe costituisce, ancora oggi, una delle vie più importanti verso il Kinugawa Onsen.

A poca distanza dal resort di Kinugawa, mentre il drone continua a propagare il suo suono insistente e fastidioso nei cieli, un altro tipo di rombo percorre le strade asfaltate delle prefettura di Tochigi e Gunma, poli attrattivi di un altro tipo di attività, ufficialmente scoraggiata e potenzialmente pericolosa, almeno quanto l’urbex esplorativo condotto col favore notturno. Si tratta delle corse di automobili che danno vita al tōuge (峠) disciplina nata in epoca coéva, rincorrendosi tra folli sgommate sugli stessi percorsi montani, che un tempo permettevano a pacati impiegati d’ufficio di recarsi nei luoghi di ristoro dall’implacabile mondo del lavoro giapponese. Proprio come i cosiddetti geni della finanza che portarono all’esplosione della bolla negli anni ’90, le arcane geometrie degli autisti al volante di leggendari veicoli a trazione posteriore producono risultati spettacolari e sgommate vertiginose, a patto che tutti guardino sempre e soltanto avanti, mai di lato. Finché un attimo di distrazione per scrutare il paesaggio non porta uno degli pneumatici a contatto con la banchina, generando un qualche tipo d’inevitabile incidente.
Ma nessun demone/orco rabbioso, questa volta sorgerà dal fiume per cancellare le prove di quanto avvenuto attraverso le ultime tribolazioni finanziarie del (non così) distante Giappone. E soltanto chiudere gli occhi ostinatamente dinnanzi agli errori dei nostri predecessori potrà, in qualche modo, permetterci di dimenticare.

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