La misteriosa caverna dei conigli templari

Il suono della musica risuonava nel cortile e nei quattro saloni della grande tenuta, sul terreno ancestrale della famiglia Legge, dell’onorevole stirpe dei conti di Darthmouth. La villa dalle alte torri, interconnesse tra loro mediante arcate vagamente neoclassiche, offriva un ingresso agli ospiti mediante l’ampio colonnato in stile toscano, aperto su un portico di forma circolare. I vistosi abbaini triangolari, nel frattempo, mostravano chiaramente l’influenza di un certo tipo d’architettura, molto popolare in quegli anni presso gli Stati Uniti del Sud. Era una sera di primavera, ed uno dei rari casi di cielo limpido nella contea Shropshire, situata tra Birmingham e Liverpool. Ma molti dei presenti venivano, quel giorno, dalla distante capitale londinese, per onorare il veterano di tante battaglie, tra la guerra in Crimea, nel Bhutan e quella boera tra le diverse forze coloniali in competizione per l’Africa. L’argomento di molte conversazioni, per questo, era lui: un guerriero straordinariamente opulento, giunto al suo ottantesimo compleanno (era nato nel 1800 esatto) e fin troppo felice di mostrarsi generoso verso parenti lontani, amici di famiglia e personalità conosciute nel corso della sua lunga carriera. La contessa di Cambridge rivolse uno sguardo complice al sorridente marchese di Londonberry, più giovane di lei di circa una decina d’anni. Donna sui 35 dai capelli raccolti ordinatamente sulla nuca, l’abito dal busto rigido e l’ampia tournure a forma di sellino, impacciato ornamento capace di rappresentare un significativo passo avanti, rispetto alle rigide crinoline di appena una decade prima. “Ah, si? Interessante… E tu, hai mai sentito parlare dell’anziano eremita? Si dice che sotto il giardino della tenuta viva un personaggio barbuto, dedito alla meditazione nel nome di Nostro Signore. Ma nessuno lo vede da parecchi anni…” Il marchese in abito scuro, la tuba sottobraccio in attesa di un servo per prelevarla e portarla nel guardaroba annuì sapientemente, facendo ricorso alla sua conoscenza enciclopedica della storia di Caynton, il vicino villaggio interconnesso alle sue proprietà ereditarie da una fitta rete di relazioni interpersonali e forniture agricole di vario tipo: “Eccome, mia cara! Ti dirò di più, l’ho anche conosciuto. Era l’epoca del grande Heneage Legge, fratello di Arthur, quando egli fu membro rappresentate di Bradbury in parlamento. Allora io avevo appena una quindicina d’anni, e mio padre venne qui, per una festa del tutto simile a questa. Così fui accompagnato a conoscerlo. Conoscere l’eremita” Fece allora una pausa ad effetto, alzando il dito verso il boschetto che si trovava a nord dell’area illuminata dalle lampade ad olio. “Viveva proprio laggiù.” Lei sorrise a metà, non sapendo se credere o meno all’andamento della bizzarra storia. Ma lui continuò: “Avrà avuto… Almeno 100 anni, trascorsi come ospite della famiglia Legge. Formalmente il suo ruolo era quello di giardiniere, ma tutti sapevano la verità. Il motivo per cui, mezzo secolo prima, gli era stato dato il permesso di scavare una profonda caverna…”
La serata progredì normalmente, tra bevute, un buffet all’inglese e conversazioni amabili, seguìto da un breve discorso del venerabile colonnello, che argomentò sull’eternità del potere imperiale in confronto alla mera transitorietà della vita umana, che si esaurisce come una fiamma nel vento autunnale. Fu allora che la contessa, soltanto lievemente alticcia, incontrò di nuovo il marchese, intento ad osservare pensosamente le stelle in cielo. Toccandogli lievemente il braccio sinistro, gli sussurrò quindi all’orecchio: “Portamici. Voglio vederla.” Un guizzo furbesco e uno sguardo carico di sottintesi. Quindi l’espressione che si fa improvvisamente seria: “Va bene, vieni con me.” I due camminarono dritti fino ai margini del cortile, scavalcando una bassa siepe d’agrifoglio. Lui prelevò una torcia anti-vento tra le svariate dozzine, confidando che nessuno l’avrebbe notato. Il canto sincopato di un gufo era chiaramente prossimo, a questo punto, mentre un miliardo di fruscii sembravano accentuare l’aria carica d’elettricità potenziale. Il marchese sembrava seguire una sorta di mappa del tesoro, chiaramente impressa nella sua mente. Due passi a destra, uno a sinistra. Avanti dopo la grossa pietra dalla sagoma simile a un elegante aquila d’oro. Giù nel piccolo dirupo. Galantemente, offrì la spalla alla contessa per scendere coi suoi alti stivaletti, davvero poco adatti ad una scampagnata notturna. La mano sinistra, rigorosamente occupata per tenere sollevata almeno in parte la gonna, ormai irrimediabilmente piena di polvere e macchie d’erba. Abbassando quindi la luminaria fino a una bassa collinetta, la puntò verso un angusto pertugio: appariva chiaro che per entrare, sarebbe stato necessario chinarsi. “È sempre stata… Così?” Spiacevole. Ma era impossibile a quel punto, tirarsi indietro. La marchesa chinò le spalle a 75 gradi, seguendo il netto contorno del bagliore artificiale, in un tenebroso spazio che pareva ampiarsi ad ogni singolo passo compiuto verso le viscere della terra stessa. “Non preoccuparti. Più avanti il soffitto si alza, vedrai. Ci sono strane incisioni sulle pareti, ed archi scavati nella pietra. Vedrai che ne vale la pena. È una cosa davvero…” Un poco alla volta, la contessa osservò la sagoma del giovane dinnanzi a se farsi evanescente, quindi sparire nella foschia. Soltanto la luce rimaneva sospesa, come un punto sicuro nell’universo. Alle spalle ed ai lati, il nulla. C’era una voce distante, come un canto che sembrava invitarla a mettere un piedi dinnanzi all’altro…

A marzo del 2017, fecero notizia alcune fotografie delle caverne di Caynton, riscoperte per l’occasione dal fotografo Michael Scott, che ebbe la furbizia d’illuminarle per il suo servizio esclusivamente a luce di candela. L’associazione con il racconto dei templari fu una creazione spontanea, promulgata soprattutto da un certo tipo di tabloid.

Suoni nella foresta, un battito reiterato. Non spari di fucile, ma colpi vibrati con un piccone, sulle rocce friabilio franate tanti anni prima. E le lepri che corrono, fuori dai loro buchi, tutto attorno allo strano scenario della tarda mattina primaverile. “È qui, è qui ti dico. Ne parlava il testamento del nonno. L’antica caverna di Caynton! Non vedo l’ora.” A parlare era Henry Samson, figlio di Alice Mary Legge e del vicario di Pipe Redware, parlava a un ritmo serrato, indicativo del suo stato d’eccitazione. Il suo commilitone scozzese della grande guerra Stevens, amico di tante avventure, pareva molto meno convinto. Un rifugio… Medievale? Una folly, decorazione tradizionale usata per stupire gli ospiti e associata a scherzosi rituali druidici, di una classe nobile decadente? Come un’inutile catacomba nel mezzo della brughiera inglese? E pensò per l’ennesima volta: è davvero pazza, la gente del sud. Il sole deve dargli alla testa. “Ok, se lo dici tu. Io mi sono stancato, però. Vado a sedermi sul sasso a forma di papera laggiù.” Il pomeriggio proseguì lentamente, interrotto soltanto dall’ora di un breve pic-nic a base di pane all’aglio e una borraccia piena di schnapps.
Fu più o meno al termine di questo interludio, che Stevens disse: “Ascolta, secondo me stai sbagliando tutto. Che ne pensi di seguire… Le lepri?” Difficile dire se un’idea stupida, che però funziona, possa ancora definirsi realmente tale. In effetti era nota l’associazione, sin dal secolo prima, della tenuta di Darthmouth con il tipico roditore dei campi, il quale difficilmente avrebbe rinunciato al tiepido rifugio di una caverna già pronta da utilizzare. “Dammi retta, smetti di picconare. Avvicinati di soppiatto, e…”  Ma il piano era piuttosto chiaro; nessun leporidae, Henry lo sapeva fin troppo bene dall’educazione naturalistica ricevuta da suo padre professore, era solito trascorrere l’intera quantità delle ore diurne a foraggiare. Quindi ben presto, uno di loro avrebbe fatto ritorno al suo pertugio d’appartenenza. Che avrebbe potuto anche essere… “Eureka!” Gli scappò dalle labbra. Ecco la soluzione: in appena una quarantina di minuti, il suo amico campagnolo si era dimostrato più saggio di lui. Una batuffolo nero che pare scomparire sotto un pino, insinuandosi tra le sue stesse radici. E un tenebroso pertugio, la sotto. L’ingresso del luogo perduto. Il suo dungeon familiare, costruito chissà quando, chissà da chi. Con un deciso passo avanti, fece il suo ingresso. E inciampò.

Il fonte battesimale di Caynton si mostra come una nicchia nel muro, sovrastata da triangoli sovrapposti. La ricorsività dei motivi decorativi, nel Medioevo, era usata per rappresentare l’ascesa degli uomini verso la perfezione di Dio.

Le caverne di Caynton sono, informalmente parlando, un sotterraneo artificiale scavato sotto una collina presso l’omonima cittadina inglese, dal soffitto a volta sostenuto da numerose colonne, lasciate integre nell’antica roccia d’arenaria locale. Nessuno conosce realmente la loro antichità, né l’origine, benché una certa somiglianza fu immediatamente notata con il concetto della chiesa segreta, vista la presenza di quello che può essere soltanto un fonte battesimale, sotto una rozza raffigurazione del triangolo divino. Mentre alcune incisioni cruciformi, dalle braccia che tendono ad allargarsi verso l’esterno, fanno pensare ad un particolare ordine monastico che fu, in sostanza, l’unico ad andare in giro con spada e corazza. Nato da una branca dei Cistercensi e trasformatasi, all’epoca delle crociate, nel servizio d’ordine a vantaggio dei pellegrini verso la terra santa di Gerusalemme. Stiamo parlando, tanto per essere chiari, dei cavalieri templari. Banchieri, filosofi, ricchi possidenti e creditori verso le principali corone dell’Europa medievale, finché il re Filippo IV di Francia nel 1314, stanco di dover rendere conto a un’istituzione del tutto fuori del suo controllo, non dichiarò eretiche le loro mistiche pratiche religiose, associate da alcuni al culto del demone ermafrodito Baphomet, facendo bruciare a sorpresa sul rogo l’ultimo gran maestro, Jacques de Molay. Un gesto che ebbe immediate ripercussioni nell’intero territorio europeo ed oltre, inducendo i diversi monarchi a fare lo stesso con tutti coloro a cui dovevano dei soldi, inclusi questi protettori mai richiesti dalla cristianità. Coloro che furono abbastanza svelti, tra i templari, fuggirono. Altri si rintanarono sotto terra, costruendo rifugi dove continuare a praticare la loro idea di religione. La tipica cripta templare, come ampiamente descritta e mostrata nella letteratura d’intrattenimento degli ultimi anni, non ha navate come una chiesa, ma è di forma circolare, poiché si richiama direttamente alla forma del Santo Sepolcro. Essa tende a contenere, inoltre, strani enigmi e suggerimenti per il sentiero verso la sapienza, così come i soldati di Cristo erano soliti spronare i pellegrini che avevano perso la strada verso la remota destinazione del loro viaggio in Medio Oriente.
Ma non tutti sono convinti di una simile attribuzione per le grotte di Caynton. Secondo alcuni in effetti, nonostante l’opinione della stampa sensazionalistica, esse potrebbero rappresentare nient’altro che un’astrusa decorazione per un giardino nobiliare. Uno di quei luoghi concepiti per evocare la malinconia dell’antico, usati nel XIX secolo per rituali neo-druidici condotti per gioco, o talvolta ospitanti la strana figura di un “eremita da giardino” ovvero nient’altro che un figurante stipendiato, come una versione più sobria dell’antico giullare di corte. E chissà se qualcuno, persino oggi, conosce davvero la verità…

Tra le colonne sotterranee di Caynton, alcuni hanno individuato depressioni che dovrebbero sembrare “bassorilievi di uomini coperti da un mantello”. Privi di barba perché, al momento di trasferirsi sotto terra, i templari avevano già dovuto alterare alcune caratteristiche del loro aspetto.

Henry rideva, e rideva senza prestare attenzione ai graffi sugli avambracci, né la giacca strappata dalle acuminate pietre sul fondo della caverna. Non poteva credere assolutamente ai suoi occhi. L’ambiente, illuminato dalla torcia tenuta in alto da Stevens, era proprio come se l’era immaginato: cupo, misterioso, carico di un senso d’occulta premonizione. Soltanto quest’ultimo, naturalmente più attento ai dettagli del suo nobile amico, notò qualcosa in un angolo: era un cappello nero, in parte rovinato dal tempo. E lì vicino alcune ossa impolverate, forse appartenute ad un grosso animale. Un orso, magari… “Henry, scusa un attimo. Non è un femore umano, quello?” L’amico si voltò per rispondere, e questa fu la sua fortuna.
Fu allora che una voce stentorea risuonò dal profondo, pronunciando chiaramente le seguenti parole: “Io…Vi…Conosco. Siete qui per la mia coppa, vero? Ancora e ancora fate ritorno, stupidi abitanti della s-superficie. Soltanto io, il sapiente Molay, in nome dell’Altissimo per secoli l’ho protetta. Soltanto io. Ed ancora continuerò a farlo! Tornate indietro, se potete…” Il suono di una lama rugginosa risuonava verso il pavimento accidentato e poi le pareti, tintinnando una sete di sangue, e vendetta, mai davvero sopita. Ma verso l’ingresso della caverna non c’era più nessuno. E il gran maestro dell’Ordine era così vecchio, ormai…

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