C’è una sottile linea tra realtà e immaginazione, che con l’aumentare delle ore di lavoro tende a diventare completamente invisibile, influenzando la capacità umana d’identificare i confini dei suoi incubi più remoti. Ed è allora, generalmente, che l’impossibile tende a realizzarsi, sotto gli occhi semichiusi di chi era lì, nonostante tutto, nella speranza di fare il suo dovere. Una situazione di crisi. L’ultimo sforzo, condotto con profonda dedizione, nella speranza di salvare le case di 9.000 persone, potenzialmente l’incolumità di molti e con assoluta certezza, l’economia già sofferente della propria nazione: sto parlando di una situazione corrente di cui, purtroppo, non ci hanno parlato i telegiornali. Certo, la crisi politica italiana è importante. I fatti di Windsor hanno stimolato la nostra fantasia. Le Hawaii bruciano per l’effetto del loro vulcano. Ma che dire del più grande fallimento a memoria d’uomo, di un progetto pubblico costato l’equivalente di 3,8 miliardi di dollari, in un paese che sta tentando di risalire la china dopo decenni di violenza, disordini civili e predominio assoluto dei trafficanti di droga? Sta succedendo… Esattamente adesso. Il 17 maggio, tra l’incredulità generale, il messaggio è comparso su Twitter, televisione, radio ed è stato fatto rimbalzare tra gli altoparlanti usati per comunicare fatti urgenti alla popolazione: “Si prega di evacuare immediatamente l’area corrispondente alle rive del fiume Cauca, al di sotto del villaggio di Ituango e la sua diga. Si verificheranno aumenti di flusso e potenziali indondazioni. Tutti gli abitanti devono recarsi ai centri di recupero e accoglienza allestiti nelle seguenti zone sicure…” Questo perché, a causa di un periodo di piogge particolarmente ingenti delle ultime settimane, due dei tre tunnel usati per deviare il corso del fiume durante la costruzione si sono intasati di detriti, causando un riempimento eccessivo del bacino idroelettrico prima che l’intera struttura potesse venire consolidata. Ma sono certo che il pensiero dei coraggiosi lavoranti, che proprio in queste ore stanno lavorando 24 su 24, giorno e notte nella speranza di completare in tempo la diga e rendere operativi i canali di scolo d’emergenza a cielo aperto prima della catastrofe, nei drammatici momenti rappresentati nel video non stavano pensando soltanto ai viventi. Bensì alle innumerevoli tombe dei desaparecidos, i cimiteri comuni allestiti lungo il corso del principale fiume colombiano, potenzialmente destinate ad essere ricoperte da un fiume di detriti, fango e zolle in viaggio con tutta la veemenza di una mandria di bufali inferociti. Del resto, non capita tanto spesso di vedere un fantasma.
La scena ripresa con il cellulare si svolge all’interno di uno dei tunnel di raccordo, costruiti al di sotto del terrapieno alto 225 metri che era stato destinato a produrre 2.456 megawatt di energia entro il novembre di quest’anno, rispondendo da solo al 17% dell’interno fabbisogno elettrico del paese. Dove gli addetti, spostandosi con senso d’urgenza per intervenire presso le zone d’intasamento, si ritrovano d’improvviso a dover frenare il proprio veicolo, mentre dinnanzi a loro si dipana l’evento più surreale immaginabile in quel contesto: una sorta di nube di vapore, che si forma velocissima a partire dalle pareti e il suolo del passaggio di transito, per poi sparire come se niente fosse. Salvo che, qualche decina di metri più avanti, il fenomeno si verifica nuovamente, come se l’entità misteriosa avesse impiegato la tecnica del teletrasporto. E lo facesse ancora e ancora a intervalli regolari, fin quasi a investire l’autoveicolo in sosta con il suo carico di passeggeri increduli e paralizzati dal terrore. Quindi, proprio mentre sembra che i testimoni stiano per essere investiti da questa manifestazione tangibile del mostro di fumo del telefilm Lost, le riprese si interrompono, lasciandoci soli con la domanda su cosa, esattamente, ci è capitato di vedere. Nella continuativa assenza di comunicazioni internazionali, o testimonianze dirette di chi questa drammatica situazione la sta vivendo sulla propria pelle, Internet come sempre si è lanciata nelle sue ipotesi contrastanti. Alcune compaiono nei commenti stessi al video, sia in lingua spagnola che inglese. Altre sui gruppi di discussione più disparati, da dove una sorta di consenso para-scientifico, un poco alla volta, sembra essere emerso dalle nebbie del complottismo generico e le battute su cinema e videogames…
La chiave interpretativa dell’intera faccenda va ricercata, assai probabilmente, nella misura estrema che era già stata presa in data 10 maggio, quando la sala delle turbine era stata aperta anticipatamente al corso dell’acqua, nella speranza di riuscire a smaltirla prima del crollo totale del terrapieno. In un contesto fondamentalmente ignoto a tutti tranne le EPM (Empresas Públicas de Medellín) l’azienda incaricata di costruire l’intera diga e in particolare, collocare in tale area le macchine necessarie per produrre quell’energia elettrica per cui tanto a lungo si è lavorato, e risorse così ingenti del già esiguo denaro pubblico erano state investite. Poiché nessuno sembra sapere, effettivamente, se le grosse ruote idrauliche dotate di bobine erano già state rese operative, benché un fatto resti certo: queste ultime non sono ancora state collegate alla rete elettrica colombiana. Il che permette d’immaginare due possibili scenari. Nel caso in cui le macchine riescano lo stesso a funzionare, la loro rotazione fuori controllo causerebbe variazioni di pressione particolarmente importanti all’interno dell’intera rete percorribile sotto il terrapieno della diga. Mentre in assenza di un simile evento, possiamo solo presumere che qualcosa di molto simile avvenga a causa dello spostamento d’aria causato da forti correnti d’aria, o forse lo scorrimento dell’acqua, alle due estremità del tunnel ripreso dall’operaio senza nome.
Perché un fenomeno simile, a meno di voler davvero rivolgersi al consorzio d’entità sovrannaturali o spettri resuscitati dalla storia pregressa, non può che dipendere dalla fluttuazione del punto di rugiada (in inglese dew point). Una misurazione molto importante in meteorologia, che punta a definire il particolare stato termodinamico, in cui una temperatura abbastanza bassa, o una pressione sufficientemente elevata, causano l’assoluta permeabilità dell’aria. Il che significa, in altri termini, che tutta l’acqua contenuta al suo interno si materializza istantaneamente, formando condensa, nebbia o come in questo caso, sbuffi incredibilmente surreali di vapore. Ma in condizioni normali o persino in quella estrema della turbina rotante, tutto quello che dovrebbe formarsi in questo caso non è forse un fronte di foschia, lanciato a gran velocità lungo l’estendersi dell’intera galleria? Certo, a meno che intervenga un fattore ulteriore particolarmente raro. La spiegazione teorica più interessante viene forse offerta sul portale Reddit, dall’utente che si autodefinisce ingegnere dotato dell’istrionico soprannome Fucky_fucky, il quale riesce, almeno all’apparenza, a convincere molti degli utenti che avevano deciso di partecipare alla discussione. Il modello da lui proposto, coadiuvato da alcuni articoli scelti su Wikipedia, vedrebbe nel tunnel della diga il formarsi di un’onda stazionaria, ovvero l’oscillazione di un fluido senza nessun tipo di spostamento nello spazio, bensì soltanto attraverso il trascorrere del tempo (vedi animazione). Il che sottintenderebbe, per tentare di chiarire ulteriormente l’ipotesi, l’aumentare e il diminuire della pressione complessiva nel tunnel, risultante dal viaggio rapido di due onde in opposizione, che s’incontrano alternativamente in maniera distruttiva (negativo con negativo) del tutto neutrale o costruttiva (positivo con positivo). E sarebbe proprio in questi punti, a suo avviso, che la pressione aumenterebbe a sufficienza da causare il raggiungimento del punto di rugiada. Per una formazione della nube così strana ed affascinante, semplicemente in funzione del gradiente di temperatura, più fredda sul soffitto che sul suolo del tunnel. Ed ancora più fredda nella sua parte centrale.
Ciò detto, le fantasmagoriche apparizioni nel tunnel non sono che una minima parte dell’intera, tragica equazione. Nonché l’occasione, parzialmente memetica e per il resto puramente surrealista, di far conoscere al mondo quello che sta succedendo proprio ora nel più settentrionale paese sudamericano. Il quale ergendosi sui suoi vicini meridionali e seguendo l’esempio di Panama, aveva deciso d’investire per mettersi in gioco nel campo delle superstrutture, nella speranza di fare un balzo quantico verso le mitiche regioni della modernità. Ma è difficile, allo stato dei fatti correnti, ipotizzare quante di quelle 9.000 persone potranno fare ritorno, entro la fine dell’anno, presso le case minacciate della regione di Antioquia, nei loro comuni di Tarazá, Valdivia, Puerto Valdivia, Nechí, Cáceres, Caucasia, San Benito Abad e Caimito y Guaranda. Né se i più sfortunati tra loro, effettivamente, potranno mai riuscire a tornare alla vita che facevano prima.
Perciò sia che si tratti di un errore commesso in buona fede, sia che la situazione derivi da un’inadeguata ed interessata attribuzione degli appalti da parte di ufficiali in posizione elevata (un sospetto che non può essere del tutto allontanato) l’unica cosa che possiamo fare da qui è rivolgere il nostro sguardo agli spiriti agitati della montagna. Sperando che l’attenzione prestata, assieme all’implicito senso di rispetto verso i vetusti cimiteri, possa placare la vasta furia degli elementi. Ovvero che smetta di piovere, almeno per qualche giorno, prima il crollo ipotetico diventi una temibile verità.