Il rumore distante dell’acqua scrosciante segnava il passo dei minuti, mentre le svariate dozzine di fotografi, ciascuno giunto lì per un motivo differente, rivolgevano lo sguardo in alto con atteggiamento nervoso. Per alcuni, quello era il terzo pomeriggio trascorso in quel posto, tra le fronde degli alti alberi del parco Yosemite. Altri, invece, si erano trovati lì quasi per caso, nel corso di un giro programmato da tempo. Le auto poco distanti, parcheggiate a margine della strada di El Capitan e il cielo per lo più terso, finalmente, per permettere all’astro solare di scagliare i suoi raggi di traverso, verso quegli ultimi, epici 10 minuti di un giorno degno di essere narrato. Per immagini ovviamente, a vantaggio dei posteri o degli archivi locali… Della pagina Facebook, la gente di Internet che ci guarda da casa. O volendo essere più inclusivi, di chiunque abbia due minuti per vedere qualcosa di unico nella stagione presente e in tutte quelle a venire. Mentre una lieve brezza si alza all’improvviso, scostando le ultime tracce di nubi nel secondo mese dopo il solstizio d’inverno, alcuni tra i presenti meditano sulla principale qualità della natura: che è immensa, pervasiva ed onnipresente, dal punto di vista spaziale, eppure così specifica per quanto concerne quello temporale. Con letterali migliaia di fenomeni osservabili soltanto per pochi istanti, al verificarsi di un specifica congiunzione dei fattori pertinenti. I quali sarebbero, nel momento qui preso in esame, niente meno che astrali. Intendiamoci: il Sole tramonta ogni giorno. E la montagna, ovviamente, resta pur sempre lì. Ciò che si sposta, nonostante l’assurdità predicata da taluni cultori dell’anti-scienza contemporanea, è la Terra. La luce inizia a cambiare colore: sono le cinque di pomeriggio passate, ormai (per usare la notazione americana, l’orologio indica soltanto le mezze giornate). Mentre la troposfera viene penetrata da una particolare angolazione, il che porta l’energia visibile ad attraversare il particolato atmosferico assumendo un caratteristico tono rossastro. È un tramonto spettacolare, ma niente che giustifichi la lunga trasferta fino al maggiore luogo incontaminato della California centro-settentrionale. Lo sguardo, e gli obiettivi fotografici dei presenti restano ancora fissi sulla sottile cascata stagionale di Horsetail (la coda di cavallo) un elemento paesaggistico che si rinnova solamente con lo sciogliersi annuale delle nevi montane e rende certamente onore al suo nome, visto l’aspetto decisamente simile alla parte anatomica dell’animale. Con una rapidità che risulta ormai quasi visibile ad occhi nudo, la luce continua a spostarsi verso il suo poderoso scorrere, finché d’un tratto, arriva il momento della verità. Sarà questo il momento? La ragione della nostra venuta? Il riflettore nel cielo compie l’ultimo balzo, in quelli che paiono essere pochi cruciali istanti. La cascata sembra fermarsi per un attimo nello sguardo degli astanti. Qualcuno grida un “hurrah!” Poi tutto riparte, ma è stato completamente trasformato. Le tonnellate di gocce al minuto si sono trasformate in un lucente tutt’uno, una letterale scia sfavillante che si staglia contro la roccia cupa. Gli elementi si sono rimescolati. E dove c’era l’acqua, adesso, campeggia il fuoco.
Si tratta di un fenomeno indubbiamente noto ai nativi Awahneechee di questi luoghi, che celebravano la cascata come un segno periodico della volontà dei loro sommi Spiriti e Dei. Tuttavia non sappiamo davvero se, al momento della scoperta di questa valle da parte degli esploratori occidentali nel 1851, costoro ne avessero trasmesso la conoscenza, né se fosse stato possibile incasellarla nella rigida struttura di un calendario. Fatto sta che la prima immagine di questa cascata entrata prepotentemente nell’immaginazione popolare, nonostante fosse una tra le molte della regione, fu opera di un certo Ansel Adams negli anni ’30 del ‘900, che riuscì a catturarne la forma drammatica ed armoniosa con tutto lo stile di un fotografo consumato. C’era, tuttavia, un piccolo problema: tale immagine era stata scattata, per mere ragioni cronologiche, in un affascinante color bianco e nero. Affinché il segreto della metamorfosi fiammeggiante fosse svelato al mondo, dunque, sarebbe stato necessario aspettare un’altro ventennio quando, successivamente all’invenzione della fotografia a colori, Galen Rowell si trovò a passare di lì. Soltanto per scorgere all’improvviso, mentre guidava tranquillamente lungo la strada che costeggia il massiccio di El Capitan, questo inconcepibile e straordinario bagliore. Il che lo portò, stando alle cronache ufficiali, a precipitarsi in prossimità della cascata, infrangendo abbondantemente gli stringenti limiti di velocità locale, soltanto per realizzare un’inquadratura destinata a trovare posto in tutte le antologie, e rendere lui stesso, per certi versi, immortale.

L’origine del fenomeno della cascata di fuoco non è in realtà poi così straordinariamente rara: dal punto di vista meteorologico, si tratta di una situazione che prende il nome di alpenglow, per la sua netta associazione con la sezione alpina delle dolomiti italiane. O per sostituire l’inglese con il latino, stiamo parlando dell’enrosadira, ovvero la “variazione verso il colore rosa” di tali svettanti montagne, proprio di riflesso alla tinta assunta dall’astro solare in determinati momenti del suo spostamento celeste. Perciò se qui da noi, a far da tela per tale essenza visuale, ci pensano le facciate mineralogicamente compatte delle montagne composte in massima parte da carbonato di calcio e magnesio, è altrettanto possibile che in un preciso posto del mondo, soltanto in quel giorno e quell’ora, l’allineamento vada a colpire una metaforica coda di cavallo. Per trasformarla, dinnanzi agli occhi spalancati degli uomini, nella coda mistica della Fenice. Detto questo, le tolleranze in gioco sono decisamente inferiori rispetto al fenomeno corrispondente dell’arco alpino. Motivo per cui, nonostante quello che potremmo desiderare, questo spettacolo può dipanarsi unicamente in quei tre specifici giorni, tra il 15 e il 17 di febbraio (24 ore più, 24 ore meno) e contrariamente a quello che si potrebbe pensare, NON ad ottobre. Questo perché il Sole, prendendo in analisi la sua posizione in una data ora del giorno, non ripete il suo passaggio in maniera speculare a partire dal momento dei solstizi, bensì compone una figura simile ad un 8 che prende il nome di analemma. Come per l’occorrenza delle eclissi, allineamenti simili a quello della cascata dello Yosemite hanno una cadenza ben più lunga della nostra pazienza, e sembrano rispondere a un orologio incorporato nelle profondità stesse dell’esistenza. Diversamente dall’oscuramento del Sole o l’improvviso accendersi della notte, tuttavia, sono impossibili da predirre. Questo perché determinati, almeno in parte, dalle circostanze estremamente mutevoli del tempo atmosferico. Alquanto stranamente, in questo parco dalle alte potenzialità turistiche, non fu sempre così.
Prima della riscoperta della cascata di fuoco naturale ce n’era stata in effetti per lungo tempo un’altra, frutto della mano e del desiderio dell’uomo. Il suo nome era Firefall (di Glacier Point) e nacque più che altro per caso. Ad opera di James McCauley, proprietario di un hotel sito presso la sua sommità ai margini della valle, che nel 1872 prese l’abitudine di far svagare i suoi ospiti estivi accendendo un falò ogni sera. Al termine della festa, quindi, costui puntualmente gettava i carboni nel fiume, con il risultato che questi cadevano verso valle. Quando i visitatori del parco che si trovavano in basso videro un tale spettacolo inspiegabile nell’oscurità notturna, ne restarono immediatamente affascinati, chiedendo a gran voce di cosa potesse trattarsi. McCauley quindi, da classico imprenditore del sogno americano, decise di trasformare il caso in un’opportunità di guadagno e iniziò a chiedere donazioni per trasportare una maggiore quantità di carbone sulla sommità di Glacier Point. La cascata di fuoco diventò quindi un rituale, destinato a continuare per tutta la stagione turistica lungo un periodo di 25 anni, finché il proprietario non dovette lasciare la gestione dell’hotel. A partire dal 1897, tuttavia, il nuovo gestore David Curry creò una sua versione dell’evento, non più a cadenza giornaliera ma soltanto per occasioni speciali, che da quel momento avrebbe incluso uno scambio gridato a pieni polmoni dagli impiegati responsabili dello show, i quali prima di rilasciare il carbone per il pubblico carico d’aspettativa, si sarebbero salutati e scambiati frasi come “Salve Glacier Point, è pronto il fuoco?” e “Il fuoco sta per cadere!” L’evento sarebbe quindi continuato in maniera saltuaria fino al 1968 quando George Hertzog, direttore nazionale dell’ente parchi naturali, decretò che fosse uno spettacolo “più adatto a Disneyland” che a un luogo tanto importante per la grande Nazione, e che tra l’altro l’afflusso eccessivo di turisti stava danneggiando l’ambiente della valle di Yosemite. E chissà che avrebbe avuto da dire, costui, sull’occorrenza naturale della cascata di fuoco ad El Capitan!

L’incomparabile fama di cui gode oggi la cascata Horsetail avrebbe avuto inizio, tuttavia, soltanto nell’epoca della fotografia digitale e di Internet. Quando il suo notevole aspetto iniziò a comparire dapprima nelle mailing list, quindi sui gruppi di discussione ed i forum degli appassionati di escursioni nella natura. Diventando, in breve tempo, una delle attrazioni più effimere, e proprio per questo preziose, del parco di Yosemite. Considerata particolarmente difficile da vedere in prima persona, proprio per la tendenza del clima locale a variare in maniera sensibile senza alcun tipo di preavviso. Tanto che per provare seriamente ad imprimersi un tale spettacolo nella memoria, l’unica scelta è recarsi lì e rimanerci per i cruciali tre giorni del proprio percorso annuale. Bando agli impegni! La memory card nella fotocamera grida la sua incomparabile fame. Speriamo che il Fato, per una volta almeno, si degni di fare il nostro gioco.