La mia Vespa è un cannone anticarro

L’aria bruciava di un calore equatoriale, mentre Daniel controllava, forse per l’ultima volta, il meccanismo di carica del suo M20 anticarro senza rinculo, quello che in gergo militare ormai tutti chiamavano, sul modello americano, Bazooka le Grand. Naturalmente, per farlo doveva allargare bene le gambe, poiché si trovava a cavalcioni dell’arma. Nel voltarsi vide il suo commilitone Ethan, poco più dietro sul sentiero per il passo di Mang Yang, che alzava il pollice in segno d’incoraggiamento. Il suo motorino. appariva adesso molto più leggero, per la mancanza di metà dei colpi già sparati nel corso dell’operazione finale dei corpi di spedizione della CEFEO, principale forza militare francese nell’area del Vietnam. Daniel strinse bene il suo manubrio, per assicurarsi la migliore stabilità delle due piccole ruotine sopra quella strada di campagna così dannatamente accidentata, quindi si chinò in avanti, nella speranza di guadagnare qualche chilometro orario in più. Era il 22 giugno del 1954, e l’ora della battaglia finale si stava avvicinando. Erano passati ormai più di 10 anni, da quando il “Portatore di Luce” Ho Chi Minh, al secolo Nguyễn Sinh Cung, aveva inviato la sua lettera al presidente americano Truman, chiedendo giustizia nell’annunciare l’imminente colpo di stato del Fronte Unito contro gli organi del governo coloniale, e già girava voce che il suo successore Eisenhower fosse stanco di fornire armi da dietro la quinte agli alleati europei, e stesse pensando di inviare il suo stesso esercito per prevenire un rafforzarsi del temuto blocco d’Oriente. Questo giorno, questo luogo, era dunque l’ultima occasione per l’Esercito Francese di sistemare da se le cose, dimostrando al mondo che tutte le precedenti sconfitte, il territorio perso e la difficile situazione logistica non significavano nulla, di fronte allo sforzo concentrato di 2500 tra truppe della Legione Straniera e del Groupement Mobile No. 100, al comando dell’esperto colonnello Pierre Chasse. La cui strategia, prima dell’ingaggio sulla linea del fronte, prevedeva l’inserimento di un certo numero di operativi delle forze speciali, nel tentativo di sabotare almeno in parte la risorsa più temibile dei Việt Minh: i loro problematici carri armati.
Certo, i corpi corazzati vietnamiti erano uno spettacolo pietoso, dal punto di vista strategico: nessuna formazione di battaglia, poco o zero supporto da parte della fanteria, un’approccio bellico che si limitava ad avanzare verso il nemico sparando. Ma nonostante questo, in più occasioni, si erano dimostrati in grado di arrecare danni terribili tra i più leggeri M-29 ed M-24 Chaffee francesi di produzione americana, principalmente in funzione del modello e dell’arma montata a bordo: poiché si trattava, in effetti, di temibili T-34/86 russi, o dei loro cloni cinesi Type 58. I leggendari veicoli che avevano sconfitto l’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale, con armatura aumentata ed altre modernizzazioni in grado di renderli del tutto al passo coi tempi. Quasi impossibili, da affrontare in campo aperto su territorio accidentato e non familiare. Ma che presentavano una debolezza significativa. Sarebbe stato possibile in effetti, per un singolo individuo armato adeguatamente, giungere all’improvviso alle loro spalle, piazzando un colpo esattamente attraverso il cofano del vano motore. Con un po’ di fortuna quest’ultimo avrebbe preso fuoco, causando l’immediata necessità di abbandonare mezzo. Ma il problema era COME riuscire a farlo, in quale maniera sarebbe stato possibile muoversi più velocemente della rotazione della torretta, eliminando il pericolo prima dell’attimo finale della verità? La risposta, alquanto imprevedibilmente, era arrivata dall’Italia. O per essere più precisi, dalle fabbriche piemontesi di Enrico Piaggio, che nell’immediato dopoguerra aveva famosamente esclamato dinnanzi all’opera del suo designer a contratto Corradino D’Ascanio: “Càspita, sembra proprio una vespa!”
All’improvviso Daniel provò l’impulso immotivato di allentare la presa sulla manetta, decelerando dalla sua velocità massima di appena 60 Km/h. Il suo istinto si rivelò corretto, quando gli parve di sentire il suono riconoscibile di un motore per mezzi corazzati dietro una curva, situata soltanto 200/250 metri più avanti. Con espressione grave si voltò di nuovo, per fare un cenno a Ethan e gridare sottovoce: “L’ennemi…L’ennemi est arrivé!”

L’utente di YouTube 77paperino, dal contenuto del suo canale un grande appassionato e storico della Piaggio, possiede una perfetta Vespa 150 TAP in condizione funzionante. È impossibile non sospettare, tuttavia, che per lo meno il cannone sia una replica dei tempi moderni.

La squadra operativa delle Vespe TAP, dove l’acronimo sta per “Truppe Aero Paracadutate” era stata un’invenzione geniale sul mezzo secolo del Ministère de la Défense Nationale, approntato cogliendo la fortuita sinergia di un’industriale italiano che, ormai stanco di aspettare i finanziamenti promessi dalle autorità del suo paese, disponeva di un modello perfettamente adattato all’uso militare della singola motocicletta di maggior successo di allora. La Vespa, contrariamente all’immagine di pacifico, allegro e tranquillo mezzo a disposizione della nuova ed illuminata generazione dei baby boomers, era in effetti un mezzo dalle potenzialità belliche per nulla indifferenti: era affidabile, veloce nel suo allestimento speciale da 150 cc (si calcola una differenza di appena 5 Km/h con le altre due ruote in uso agli eserciti degli anni ’50) e soprattutto semplice dal punto di vista meccanico, data l’assenza di una trasmissione a catena. Questo perché il motore, secondo l’ingegnosa soluzione con telaio autoportante disegnata dall’ingegnere aeronautico Corradino D’Ascanio, esso risultava collegato direttamente alla ruota posteriore. Inoltre, aspetto non da poco, la Vespa portava una o due ruote di scorta, che potevano essere sostituite da entrambi i lati del veicolo. Un plus notevole, in situazioni potenziali di foratura sotto il fuoco nemico. Ma l’aspetto più geniale dell’intera faccenda, fu l’effettiva dottrina d’impiego tattico del mezzo TAP: due moto venivano accoppiate all’interno della stiva di un aereo B-26 Invader o l’ancor più massivo C-47 Dakota, protette con un pallet imbottito e fornite di tutto il necessario per distruggere uno, o più carri armati. Quindi il tutto veniva paracadutato dietro le linee nemiche, naturalmente assieme ad una coppia di soldati addestrati fino alla rimozione del naturale senso di autoconservazione umano. In altri termini, veri eroi delle forze speciali.
In campo, la Vespa TAP costituiva, essenzialmente, il più leggero e rapido cannone semovente schierato sui campi di battaglia, per lo meno dall’epoca dei cammellieri zamburakchi con falconetto a palle, impiegati con successo dagli imperi rinascimentali dei persiani Safavidi ed Afsharidi contro i loro nemici mediorientali, e poi di nuovo da questi ultimi, durante le guerra anglo-afghane del XIX secolo. Ma un quadrupede gobbuto non poteva raggiungere un’oncia dell’incredibile sveltezza, agilità e capacità operativa di uno scooter a motore, neppure considerando il tipo d’incentivo che esso poteva ricevere dal suo cavaliere. E soprattutto, una Vespa non doveva inginocchiarsi, prima di sparare!

Il concetto di motocicletta da combattimento non nacque ovviamente durante il conflitto indocinese, ma ebbe degli esimi precedenti. Ad esempio durante la seconda guerra mondiale la Moto Guzzi 500 Alce presentava un allestimento con mitragliatore Breda Mod. 30 in grado di sparare da fermo, che avrebbe arrecato danni non indifferenti ai corazzati di allora.

Gli occhi di Ethan si strinsero a fessura, mentre si avvicinava a ritmo sostenuto alla moto del suo commilitone, nella speranza di riuscire ad assolvere in tempo al suo ruolo di supporto e ricarica dell’arma. Ma proprio mentre i due si dirigevano a lato del sentiero, nella speranza di riuscire ad allestire un agguato e fare fuoco sul retro del carro, poco prima di abbandonare le moto e scomparire nella giungla, il primo soldato vietnamita girò l’angolo e lanciò un grido. I due francesi erano stati avvistati! Come il lungo collo di un animale preistorico, la canna del T-34 già faceva capolino dietro la corteccia ruvida di un olmo cinese. L’uomo a terra punto il braccio destro, gridando qualcosa di incomprensibile all’indirizzo della postazione del pilota. Il cannoniere, che si trovava sopra la torretta con il capitano, rientrò di scatto dentro il veicolo, mentre l’altro triangolava l’esatta posizione delle due moto. “Daniel, che facciamo? Sergente Daniel?” L’altro, intento ad accarezzare il cannone gigantesco tra le sue gambe, pareva stranamente concentrato nell’attività di elaborare un piano. “Amico mio, c’è una sola possibilità. Sgancia le munizioni extra, avrò il tempo per sparare soltanto la prima volta. Vedi quel punto in cui la banchina si fa più profonda, più avanti sul sentiero? Apri il gas a manetta, gettati di sotto e tenta di distrarli. Nel frattempo, li aggirerò.” Non c’era neanche il tempo di spiegargli per quante valide ragioni fosse una pessima idea…
“Merde!” Imprecò l’altro, quindi eseguì. Dopo tutto, la disciplina era tutto in campo militare. C’era un’unica possibilità affinché l’assalto riuscisse: il sergente aveva intenzione di sparare senza prima scendere dal motorino. Operazione fortemente sconsigliata dal manuale d’uso della Vespa TAP! Con il caratteristico ronzio acuto della motocicletta acquisita su progetto italiano, ma assemblata su licenza negli stabilimenti de l’Ateliers de Construction de Motocycles et Automobiles (ACMA) la fida cavalcatura balzò avanti, mentre già la mitragliatrice principale del carro iniziava a fare fuoco sulla sua posizione. Schegge di legno rimbalzarono sull’elmetto di Daniel. La raffica di colpi di pistola lanciati con la mano destra, mentre faceva il possibile per mantenere il mezzo equilibrato con la sinistra, costrinse il singolo soldato di supporto ad abbassarsi per trovare riparo. In 3…2…1 secondo… Il cannone principale da 76,2 mm F-34, terrore dei panzer tedeschi di oltre 10 anni fa, fece fuoco. Ethan, dal suo nascondiglio tra i cespugli, trattenne il fiato mentre tentava di scorgere l’amico tra il fumo. Un vortice di terra e detriti sembrò oscurare per un attimo il Sole stesso, ma tra il fischio terribile dei padiglioni auricolari, ancora si sentiva un suono straordinariamente rassicurante. La Vespa era accanto al carro armato! Quindi, la Vespa era dietro. Borbottando tra se e se le note della Marsigliese, Daniel frenò bruscamente, piego la moto a 45 gradi e con un piede a terra, fece fuoco. A quel punto, c’erano soltanto 6 o 7 metri tra lui e il retro del T-34 verde oliva. Con un boato catastrofico, il colpo penetrante, più simile ad una freccetta che un razzo esplosivo, penetrò all’interno della spessa lamiera rinforzata. L’onda d’urto fu devastante. Già le prime fiamme iniziavano a lambire i cingoli, immediatamente scardinati dalla trasmissione. Stringendo i denti nel tentativo rialzarsi, dall’erba a lato della strada, il sergente estrasse il suo fucile mitragliatore in attesa dell’equipaggio vietnamita, che di lì a poco sarebbe uscito dalla botola della torretta. Con un braccio alzato in segno di vittoria, guardò verso il suo compagno di avventure, ormai paralizzato dal terrore. Le sue labbra screpolate mimarono una frase a effetto: “Vive…La France.” Quindi, tolse la sicura.

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