Nascosto tra gli alberi di conifere, semi-sepolto nella terra di brughiera, un solo ed unico cannone avrebbe atteso l’avanzata del nemico. Basso, coperto da un telo mimetico, praticamente invisibile da una distanza superiore ai 200 metri. Dentro la casamatta corazzata, tre addetti ben addestrati, di cui due rivolti in avanti e l’altro in direzione totalmente opposta, ciascuno dotato dei più moderni visori termici e altri strumenti di rilevamento. Artigliere, servente/addetto radio, capitano: niente di così diverso dall’equipaggio di un comune bunker anti-carro, edificato sui confini di un paese che, per sua sfortuna, confinava con i suoi avversari storici più temuti. Con una significativa differenza dalla tradizione: l’occhio attento di una spia, assai probabilmente, l’avrebbe notato pressoché immediatamente: la bocca di fuoco da 105 mm di cui è dotato l’implemento misterioso, un cannone della BOFORS allo stato dell’arte, risulta incastrato saldamente tra le piastre d’armatura frontale, inclinata e spessa fino a 337 mm. Non soltanto, dunque, esso non può ruotare, ma neppure modificare l’alzo per sparare in alto oppure in basso. Esso è, per tutti gli aspetti e sotto ogni punto di vista, totalmente fisso in quella direzione. Finché un dispaccio radio, il trasalire di un momento, fumo e polvere al di là dell’orizzonte, non risvegliano il pronto equipaggio dal torpore: “Una colonna che avanza, tutti pronti al mio segnale!” Fa il più alto di grado, mentre una strana vibrazione percorre l’ambiente claustrofobico che ospita l’intera scena. È stato infatti acceso… Il motore.
Per comprendere cosa abbia portato, nel 1956, l’ingegnere della KAFT svedese Sven Berge a proporre uno dei veicoli da combattimento più avveniristici e bizzarri della storia, ed il suo governo ad iniziarne realmente la produzione in serie poco più di 10 anni dopo, occorre descrivere brevemente la posizione politica dei paesi scandinavi in quell’epoca, la particolare conformazione del loro territorio ed il ruolo che si sarebbero trovati ad avere, nel caso di un ipotetico surriscaldarsi del confronto silenzioso tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Cominciando con il sottolineare come, nonostante la politica nazionale di occasionale collaborazione con l’Occidente, la Svezia ci tenesse a qualificarsi come entità neutrale, ed in caso di guerra termonucleare globale avrebbe costituito un bersaglio di secondaria importanza, anche e soprattutto per l’abbandono, dovuto a mancanza di fondi, di un programma per l’acquisizione di armi atomiche di distruzione su larga scala. Ciò aveva radici profonde nella politica di quel paese, che dopo la drammatica riduzione della sua popolazione dovuta ai tragici eventi delle guerre napoleoniche, aveva saputo guadagnarsi una classe politica che non sentiva più il bisogno di affermarsi in campo internazionale con l’uso delle armi, tanto che a partire dalla guerra in Crimea del 1856, il governo di Stoccolma iniziò a rifiutarsi di assistere sul campo di battaglia il suo alleato storico, la Russia. Durante la prima guerra mondiale, questo paese più compatto che mai diede la stessa risposta alla Germania, suo fondamentale partner commerciale e addirittura nel 1914, quando i russi occuparono abusivamente le isole Åland per collocarvi una base di sommergibili, non venne attuato alcun tipo di rappresaglia o controbattuta, fatta esclusione per una protesta formale al termine del conflitto, rivolta alla neonata Società delle Nazioni. Una scelta che si rivelò vincente a lungo termine, quando durante l’intero secondo conflitto mondiale, il paese riuscì a rimanere relativamente inviolato dalle forze nemiche, in mezzo al vortice dell’Operazione Weserübung, che portò all’occupazione tedesca di Danimarca e Norvegia. Ma terminata quell’era di rabbia dei popoli, giunti alla pace apparentemente di vetro tra le nascenti super-potenze del secolo rinnovato, diventò estremamente chiaro un aspetto: che se pure la Svezia fosse riuscita a scampare alla furia di un primo assalto nucleare da parte dei sovietici o di chicchessia, la vicinanza meramente geografica al più grande paese del mondo l’avrebbe resa un territorio ideale in cui dispiegare gli armamenti, per disseminarli oltre e nasconderli, per quanto possibile, dagli occhi scrutatori provenienti da Oltreoceano. E questo, loro non l’avrebbero mai accettato.

Il dado era tratto, dunque: la Kungliga Arméförvaltningens Tygavdelning (Amministrazione Reale Svedese delle Risorse di Guerra) stanziò verso la metà degli anni ’50 i fondi per valutare la fattibilità di due progetti per mezzi corazzati da schierare ai suoi confini: l’ipotesi A (angloamericana) per firmare una fornitura da parte di Stati Uniti o Inghilterra per l’opportunità selezionata tra i loro carri di quell’era, dei giganti estremamente poco mobili, potenti e dal peso di circa 50 tonnellate, oppure un’ipotesi T (tedesco-francese) per procurarsi in gran numero la prima generazione di remoti antenati del carro Leopard, dei veicoli da 30 tonnellate con buona corazzatura ma cannoni dal calibro comparativamente ridotto. Ad essere scelta a sorpresa, soltanto l’anno dopo l’inizio degli appalti, fu una terza strada che vedeva la produzione interna di un carro radicalmente diverso, denominato l’ipotesi S (Svedese) dal peso mediano di 39 tonnellate. Esso fu lo Stridsvagn 103 di Sven Berge, dove il 3 andava ad identificare la sua natura di terzo carro svedese con cannone da 10 cm di calibro. Appreso della messa in opera del prototipo e della soddisfazione dei reparti rilevanti dell’esercito, l’intero mondo dei contractors bellici internazionali non poté fare a meno di restare basito: ecco qui un veicolo, per la prima volta dopo i cacciacarri tedeschi e russi della seconda guerra mondiale, del tutto privo di torretta, e che per di più ci teneva a presentarsi non come un cannone mobile dall’uso estremamente specifico, bensì in qualità di vero e proprio MBT (Main Battle Tank – carro da battaglia) da utilizzare sulla linea del fronte, nonostante le sue apparenti, notevoli limitazioni.
Tutto, nel carro S, esulava dalle convenzioni: esso non poteva, ovviamente, far fuoco in altra direzione che perfettamente dinnanzi a se, e per questo necessitava di voltarsi completamente ruotando rapidamente su 360°, grazie al suo potente motore diesel da 240 cavalli (290 nella versione 103 C). Il carro disponeva inoltre della prima turbina impiegata in un carro armato, da avviare negli spostamenti su lunghi tragitti e dotata di ulteriori 300 cavalli nel prototipo, poi aumentati a 490 nelle versioni prodotte in serie. Il veicolo poteva dunque raggiungere i 60 Km/h e ne aveva 390 d’autonomia, superando sotto entrambi gli aspetti il suo principale avversario coévo, il pur ottimo T-62 russo. Ma la cosa più incredibile era la maniera in cui esso poteva modificare la mira verticale del cannone: non alzandolo ed abbassandolo, come qualsiasi altro mezzo simile venuto prima di lui, ma letteralmente inclinando l’intero mezzo, grazie ad un sistema di sospensioni idrauliche comandate a distanza. Ciò gli permetteva, dunque, non soltanto di avere un arco di tiro verso il basso (gun depression) straordinariamente performante, ma soprattutto di far fuoco sul tipico terreno montagnoso svedese senza esporsi più di tanto, cosa che avrebbero dovuto fare invece le ipotetiche forze d’invasione nemiche. Ciò che invece non poteva fare assolutamente era far fuoco in movimento, per lo meno aspettandosi di colpire qualcosa. L’intera meccanica e logica di funzionamento richiedevano che il carro fosse perfettamente immobile prima di prendere la mira.

Il che ci porta, in definita, all’impiego specifico per cui era stato concepito il carro armato dell’ipotesi S: un mezzo per bersagliare la colonna nemica da una posizione di sicurezza, quindi arretrare rapidamente e ripetere l’assalto in condizioni di pari favore. Per questa strategia di toccata e fuga, era stato implementato un’altra niente meno che geniale: ciascuno dei membri dell’equipaggio, incluso quello rivolto verso dietro, era dotato dell’intera selezione dei controlli del mezzo, incluso il controllo by-wire del cannone, il feed ottico del mirino ed una vera e propria cloche, necessaria per la guida e il puntamento dell’arma. Lo Stridsvagn quindi, ogni qualvolta se ne presentasse la necessità, poteva essere guidato a marcia indietro ad una velocità e con una precisione pari a quella frontale, eludendo così il contrattacco nemico. Pensate che in caso di necessità, il mezzo poteva persino essere operato integralmente da una sola delle tre postazioni! Benché in tale delicata situazione, una volta esauriti i 50 colpi presenti nel caricatore automatico del cannone, il carro non avrebbe potuto far altro che ritirarsi fino alla base. Cosa comunque consigliabile, una volta giunti a quel punto. Tra gli altri sistemi degni di essere citati, il 103 disponeva di una particolare griglia frontale in grado di bloccare le micidiali munizioni HEAT ad alto potenziale sparate dai carri russi, che fu mantenuta segreta durante l’intero corso della produzione del carro e sarebbe stata montata soltanto in caso di guerra. Esso aveva inoltre una pala frontale, in grado di scavare se necessario la propria trincea. Ed uno speciale galleggiante rimovibile, che permetteva al veicolo di diventare totalmente anfibio (benché con una velocità di navigazione a mezzo cingoli di soli 6 Km/h).
Del carro S furono prodotti esattamente 290 esemplari, nel periodo compreso tra il 1960 ed il ’71, e furono offerti anche appalti e forniture a paesi esteri del blocco occidentale. Nessuno oltre alla Svezia, tuttavia, schierò mai questo carro. Soprattutto perché si trattava di una soluzione così estremamente specifica, ed inerentemente difensiva, mirata a risolvere una problematica del tutto unica di quel particolare paese. Proprio per questo, nonostante l’avanzare delle generazioni, il carro è rimasto in servizio fino 1997, potendo godere di diversi aggiornamenti tecnologici, prima di essere definitivamente sostituito dallo Stridsvagn 122, un perfezionamento ulteriore del notevole carro tedesco Leopard 2A5.
Che lezione possiamo trarre, dunque, dall’invenzione di uno strumento bellico pensato per l’impiego in una specifica guerra, di un particolare e singolo momento della storia? Che esso non verrà quasi mai, in alcun modo, impiegato. Come i tedeschi che aggirarono i bunker francesi sulla Somme durante il fulmineo Westfeldzug del 1940, il comando sovietico non avrebbe mai ordinato l’avanzata dei suoi preziosi T-62 contro un terreno protetto dagli strv 103. Esso avrebbe dovuto trovare, piuttosto, una soluzione strategica alternativa. Si, ma quale? I carri armati, a differenza dei bunker, possono spostarsi! Nella ricerca di una risposta a tale quesito, ritengo, si può intravedere forse l’unico aspetto nobile di simili armi: agire come deterrente preventivo, preservando la risorsa ben più preziosa di questo mondo. L’inestimabile vita degli umani. Ma un cannone tanto affascinante, si sa, prima o poi sparerà. E questo un altro ENORME problema…