La zanna del verme che distrugge le navi

Ad ogni arma dovrebbe corrispondere il giusto fodero. E così come Excalibur non può essere estratta a partire da una guaina dozzinale, sarebbe assai difficile pensare di tenere una cosa come questa all’interno di un mera e semplice custodia per progetti, gettata sopra la spalla con tutta la disinvoltura di un futuro architetto all’università. Perché siamo di fronte, ora sappiatelo, ad una delle creature più pericolose mai create dall’ecologia marina. Che affondò innumerevoli scafi durante l’epoca delle grandi esplorazioni, prima che si scoprisse la sua naturale avversione per alcune sostanze, tra cui l’arsenico e in tempi più recenti, il creosoto. Cristoforo Colombo temeva in modo particolare queste creature, che durante la sua seconda spedizione nei Caraibi lo costrinsero ad abbandonare due navi, letteralmente rosicchiate dall’interno e più bucate di una groviera. Sorprende quindi che l’aspetto di un tale distruttore si profili, più che altro, come meramente disgustoso. Così come dimostrato da Daniel Distel, della Northeastern University di Boston, mentre apre con qualche preciso colpo di scalpello una delle due estremità calcaree dell’oggetto in questione. Lasciando fuoriuscire qualcosa di lungo, viscido e nero… Kuphus polythalamia: che meraviglia! Grandi soddisfazioni aspettano colui che agisce in base ai propri desideri. E non c’è speranza maggiore di quella di chi sale su un aereo, dopo aver visualizzato un singolo bizzarro video di YouTube, scegliendo un volo il più diretto verso l’isola di Mindanao. Ed inizia a scavare, assieme al suo team di colleghi, tra i fondali più fangosi delle Filippine. Per cercare un qualcosa di… Vagamente simile alla zanna di un elefante, o in alternativa, con la forma e dimensioni di una mazza da baseball, saldamente conficcato nei sedimenti. Ben sapendo che si tratta di una forma cava, all’interno della quale potrebbe nascondersi un animale mai osservato prima dalla scienza moderna. Incredibile. Raro. Macroscopico. Tanto leggendario, nel mondo della biologia, da essere stato recentemente descritto in via informale dalla stessa Margo Haygood, coautrice dello studio nato sulla base di una simile intuizione, come il solo ed inimitabile “unicorno del mare”. Benché si tratti di un essere a cui ben poche principesse medievali si sarebbero mai sognate di accarezzare la testa… Se pure gli fosse riuscito di capire quale fosse il davanti.
Tutto è iniziato qualche settimana fa, quando una Tv locale ha mandato in onda, quasi per caso, un breve segmento incentrato sulle strane abitudini culinarie della zona. Proprio così, avete capito bene! Questa cosa si mangia ed è anche buona (dicono) allo stesso modo in cui, piuttosto sorprendentemente, risultano esserlo i mostruosi molluschi del Northwest degli Stati Uniti e del Canada, il cui nome descrittivo in italiano risulta essere lumaca-pene. Un paragone tutt’altro che azzardato, quando si comprende come il nostro “verme” dall’aspetto sfavillante non sia in effetti per niente, un verme, bensì l’esponente sovradimensionato di una particolare famiglia di molluschi, i Terenidae, già largamente noti per l’abitudine degli esemplari più piccoli di ricavarsi una casa in qualsiasi oggetto sia immerso nell’acqua, e al tempo stesso fatto di quel materiale supremo che è il legno. Considerati nei fatti le termiti dei mari, i terenidi in realtà non si nutrono esclusivamente della cellulosa dentro cui ricavano i loro pertugi, benché siano dotati di una flora batterica in grado di assimilarla, bensì la usano più che altro come supporto e protezione, mentre sopravvivono filtrando l’acqua dai sifoni biforcuti posti in prossimità della coda, appositamente lasciati fuori dal foro d’ingresso. Ed è qui, in effetti, che entra in gioco il misterioso tubo ritrovato da Distel et al: perché succede pure, nello sterminato regno delle periferie biologiche di questo mondo, che una di queste creature diventi tanto grande da non poter più trovare un pezzo di legno in grado di contenerla. Così, cosa potrebbe mai fare? Se non iniziare a secernere una sostanza calcarea ed indurente, per costruirsi una casa pallida il cui aspetto abbiamo già descritto per filo e per segno… Finché qualcuno, che non aveva assolutamente nulla di meglio da fare, non scava per estrarre quella cosa dalla quasi-roccia metaforica del bagnato regno di Bretagna. Esclamando, nella sua mente, finalmente! “Sarò re, sarò re del mio dipartimento…”

L’esistenza dei terenidi giganti sembra in realtà essere nota nelle Filippine già da lungo tempo, come dimostrato in questo video del 2010 in cui esemplari del tutto simili a quello sezionato dal Prof. Distel vengono allegramente tenuti in mano e cucinati da una donna, presumibilmente originaria dell’isola di Mindanao. L’aspetto che ha sorpreso maggiormente gli scienziati è stato il colore nero del mollusco invece che grigio chiaro, come nel caso negli esemplari di dimensioni minori.

Il concetto appare alquanto sorprendente, in effetti: com’è possibile che una creatura tanto piccola da insinuarsi non vista all’interno dello scafo di una nave, possa crescere fino al metro di lunghezza, cambiando totalmente le proprie abitudini e lo stile di vita e metodo di nutrimento… La risposta va cercata nella natura stessa di questi esseri, che al momento della nascita, in forma di larva planktonica liberata nella corrente dalla femmina o l’ermafrodito fecondato (esistono entrambe le alternative) misura poco meno di un millimetro. Ma poi cresce sotto ogni punto di vista, sviluppando un piede per strisciare e una ghiandola produttrice di filamenti, in grado di assicurarlo saldamente alla prima struttura lignea che gli riesce di trovare. Che in natura, presumibilmente, dovrebbe essere legno trasportato a riva o una radice di mangrovia. Per diventare, da quel momento in poi, un parassita totalmente stanziale, del tutto incapace di spostarsi anche volendo farlo. Questi lunghi e stretti molluschi, il cui guscio si è ridotto fino a un singolo organo dentellato in prossimità della testa, usato per raspare e triturare il legno, non sono più in grado di sopravvivere al di fuori del loro pertugio. Ma la metamorfosi, come potrete ben capire, fa ancora parte del loro antichissimo stile di vita. E così c’è pure il caso, vedi l’enorme Kuphus polythalamia sezionato da Distel, che hanno trovato una via alternativa alla propria intramontabile sopravvivenza. E il “legno” piuttosto che cercarlo, se lo producono da soli. Il che, prevedibilmente, causa tutta una serie di mutazioni nell’organismo dell’animale che, come dicevamo, pur nutrendosi primariamente di microrganismi filtrati dal mare, dovrebbe in linea di principio trarre almeno parte del suo nutrimento dal legno triturato in via costante nel suo eterno strisciare.
Ragione per cui il gigantesco ritrovamento dell’isola di Minanao, come attentamente redatto nelle pubblicazioni scientifiche di questi giorni, presentava un tratto digerente particolarmente piccolo ed atrofico (poco sviluppato) dimostrando l’abilità del suo proprietario di fare a meno, essenzialmente, di una parte considerevole del suo nutrimento. Dopo un primo attimo di smarrimento, dunque, gli scienziati hanno svelato l’arcano: il vermone presentava una concentrazione di batteri benefici molto superiori rispetto ai suoi simili più piccoli, e per lo più concentrati nelle sue branchie in prossimità della bocca all’interno del guscio tubolare (il lato inferiore, più grande e privo di sifoni). Analisi più approfondite hanno quindi dimostrato come essi agissero alla stregua di enzimi specializzati nel processare l’energia potenziale contenuta all’interno dell’acido solfidrico, una sostanza liberata dalle sorgenti idrotermali sommerse, quindi trasportata via lontano grazie alle correnti marine. Soltanto per essere aspirata dai sifoni dell’enorme mollusco, assieme al solito plankton, per poi venire trasformata in anidiride carbonica. E in questo stato, assimilata.

I terenidi del legno sono considerati una vera e propria prelibatezza nelle Filippine e buona parte del Sud Est Asiatico, dove esiste anche l’usanza di disporre tronchi nell’acqua, allo scopo di creare allevamenti improvvisati. La consumazione dei molluschi appena estratti, come spesso avviene in simili circostanze, è una prova di coraggio particolarmente amata dai turisti.

È stato stimato che nel 1913, un’infestazione di terenidi nella città di San Francisco abbia causato l’equivalente di 25 miliardi di dollari di danni al cambio attuale. Queste creature, infatti, rosicchiano non soltanto le navi, ma anche i moli sommersi e qualsivoglia altra struttura costruita dall’uomo. Persino al giorno d’oggi, in cui la maggior parte delle opere umane vengono costruiti in materiali ben più durevoli del legno, questi molluschi costituiscono un pericolo ed un danno per la società, essendosi dimostrati in grado di scavare anche la plastica, la bakelite, il neoprene, l’arenaria e addirittura il cemento (cit. SHIPWORMS AND OTHER MARINE BORERS -U.S. Department of the Interior Fish and Wildlife Service – 1961). Detto questo, niente paura: anche se un terenide può produrre fino a 2.000 figli da un singolo accoppiamento riuscito, non c’è assolutamente nulla che potrebbe permettere, a un Kuphus polythalamia grande come quelli dell’isola di Maniladi insidiare qualsivoglia struttura prodotta dall’uomo. Poiché possiamo soltanto presumere, allo stato attuale degli studi, che uno di questi esseri impieghi lunghe decadi per raggiungere tali dimensioni, e che dunque chiunque, all’interno della nave, sentirebbe prima il suono ritmico del suo scavare. Laddove il rischio costituito da simili creature proviene, più che altro, all’aspetto esteriormente sano dello spazio soggetto ad infestazione, finché non si arriva all’improvviso cedimento in alto mare, con conseguenze prevedibilmente molto nutritive per gli squali. Chiamatela pure, se volete, solidarietà marina. Del resto è ormai oltre un secolo, grazie all’impiego delle moderne soluzioni chimiche, che nulla di simile ha modo di verificarsi. Anche se risale soltanto al 2009, la notizia di un molo in legno ad Hoboken, nel New Jersey, che ha subito un crollo improvviso ed inspiegabile. Finché gli ispettori, giunti lì sperando di andare a fondo, non hanno rilevato la più terribile infestazione di molluschi striscianti, pallidi e inconsapevoli delle ragioni stesse del loro agire.
Lontano dagli occhi degli uomini, i vermi continuano a masticare. Altrimenti come farebbe un giorno, questo pianeta dal grilletto facile, a liberarsi dei reperti dell’umana persistenza?

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