Città inonda una strada per tornare all’antico fossato

L’avrete forse sentito, verso la fine di dicembre 2015. Quel distante suono delle ruspe all’opera nel distante nord dell’Europa. Quando un’equipe d’operai bene attrezzati, su preciso ordine del governo, si misero all’opera per scardinare dalle sue stesse fondamenta un’INTERA autostrada. Tutti e 960 i metri! Per poi estrarre, uno ad uno, i pali delle sue fondamenta, e riempire i buchi di terra. Prima di aprire il rubinetto dell’acqua della purissima Storia… Mentre qualcuno d’invisibile, dall’alto, tentava di capire quando la gente avrebbe smesso di cambiare continuamente idea?!
Seminascosta dagli alberi, tra gli ampi spazi verdi del capoluogo che da il nome alla provincia di Utrecht, sorge un cumulo di mattoni risalente almeno al XVI secolo, dalla vaga forma di un muro cittadino. Dalla sua sommità, fa capolino una torre dalla pianta di una mezzaluna, abbandonata per la maggior parte del tempo. Sola…Eppure piena di echi. Dello spirito e del tempo di antiche generazioni, che per ottant’anni combatterono allo scopo di ottenere l’indipendenza dall’impero spagnolo di Filippo II d’Asburgo. E che una volta pagato, con il sangue e con la vita dei propri stessi figli, il prezzo di un simile conseguimento, scivolarono di nuovo nel conflitto, a seguito del rampjaar, l’anno del disastro 1672, durante il quale Francia e Inghilterra dichiararono a loro volta guerra alla Repubblica, per giunta col supporto degli eserciti dei vescovi di Münster e di Colonia, mentre un tornado stava per abbattersi e distruggere la torre del duomo di Utrecht. Eventi estremi, una condizione irrecuperabile, l’intera nazione allo sbando. Situazioni tali da portare alla nascita del radeloos, il cosiddetto “governo irrazionale” in grado di concepire un piano disperato per sopravvivere fino al sorgere di una nuova alba: allagare, sostanzialmente, una buona metà d’Olanda. Nella messa in opera dell’Hollandse Waterlinie, una serie di dighe, fortificazioni e canali in grado di trasformare un’area di 50.000 acri in un pantano tale da bloccare un’armata, troppo alto per avanzare efficientemente, troppo basso per essere varcato con delle navi. Sotto il tiro costante di cannoni, feritoie, gragnuole di sassi e di esplosivi. E va da se che nella prima versione di tale monumentale opera ingegneristica, successivamente riprogettata per le guerre napoleoniche e ancora di nuovo senza effettiva realizzazione, per difendersi dai tedeschi nel corso del ‘900, l’intera città di Utrecht dovesse fungere come una sorta di punto chiave, sfruttando a pieno le sue antiche fortificazioni, costruite dai diretti discendenti dei Frisoni nella distante epoca dell’Alto Medioevo. Edifici come il forte di Rhijnauwen e le 4 Lunetten, piccole torri che oggi sopravvivono soltanto in parte, come rovine romantiche o spazi museali impiegati dalla città. Sotto le quali, all’epoca del principe d’Orange, scorreva un profondo canale nel tipico stile d’Olanda, che dal punto di vista funzionale, in effetti, era più che altro un fossato. Tale che nessuno, senza sfruttare macchine d’assedio e tecniche particolari, potesse forzare il suo ingresso in città.
Si sparò, si uccise, si fece il possibile per generare le ragioni di un compromesso, ovviamente del tutto insoddisfacente per ogni parte coinvolta. Come da copione, il tempo continuò a scorrere ma (SPOILER ALERT) l’Olanda non fu cancellata dalla mappa d’Europa. Una fortuna che tuttavia, non possiamo trovare riflessa nella storia dell’Hollandse Waterlinie, visto il suo sistematico disarmo per le ragioni di una ragionevolmente pacifica modernità. Nonché in funzione degli avanzamenti tecnologici e tattici a disposizione di un qualsiasi ipotetico esercito invasore… Ma il fossato di Utrecht, per semplice inerzia, venne mantenuto com’era. Trasformato in canale navigabile, secondo l’usanza locale, e offrendo una vista rinfrescante per i circa 300.000 abitanti di questo centro abitato, grande appena un centinaio di chilometri quadrati. Finché verso la fine degli anni ’50, facendo eco a una tendenza che correva rapida tra i principali centri abitati dell’intero territorio dei Paesi Bassi, non venne accolta una proposta presso il consiglio cittadino, che consisteva nel togliere l’acqua da una simile struttura ormai ritenuta inutile, asfaltarne il fondale e trasformarla in una sorta di anello stradale a disposizione della popolazione, ritenuta in costante ed inarrestabile aumento. Che idea, nevvero?

Dovete del resto considerare come in quegli anni proprio l’automobile, per imitazione dei sempre più influenti Stati Uniti, fosse diventata il principale mezzo di trasporto urbano impiegato dagli olandesi, e il problema del traffico sembrasse peggiorare a ciascun trascorrere di luna piena. Così l’idea piacque, portando ad assumere l’architetto tedesco Feuchtinger, che stilò un piano decisamente ambizioso: la completa copertura del sistema di canali nel centro storico, con conseguente creazione del primo svincolo di un’autostrada in grado di vantare ben 12 corsie. Ci vollero quasi 10 anni affinché, nel 1968, fosse dato l’avvio ai lavori, non senza proteste di una parte significativa della popolazione. Due anni prima di quella data, la Ministra della Cultura Marga Klompé aveva ottenuto che parte del fossato fosse conservato come struttura d’importanza storica e trasformato in un parco, lasciando a disposizione della strada soltanto le sezioni a nord ed ovest. Una giunta ragionevole, a quel punto, avrebbe rinunciato del tutto all’idea.
Ma del resto certamente l’avrete notato, ancora sopravviveva nel popolo olandese una parte di quel temperamento ribelle che un tempo l’aveva reso redeloos.

Il viale apparso all’improvviso, come in un sogno, prese il nome di Catharijnebaan. Con il suo limite di velocità fissato sui 50 Km/h, non fu mai una vera autostrada, nonostante ne avesse tutti i possibili presupposti.

Il grande svincolo, quindi, si fece lo stesso. Era magnifico, e magnificamente esagerato, degno di trovar posto nel centro esatto di Città del Messico, Shangai o New York. Messo lì, tra i palazzi gotici di un altro tempo e gli antichi quartieri di una città non più grande di Bologna, sembrava quasi una pista per far atterrare le astronavi aliene. Tanto che non solo ridusse il traffico, ma in effetti lo rese risibile, vedendo il passaggio di poche sparute macchine in mezzo a un fiume di nulla assoluto. Un piccolo dettaglio: in assenza delle sezioni ad est e sud, originariamente previste prima del decreto della ministra Klompé, l’unica rete stradale a cui venne connessa la nuova Catharijnebaan furono di fatto le normali vie cittadine. Trasformandola in quella che potrebbe essere definita la più breve autostrada al mondo: circa un chilometro, più o meno come tre portaerei americane di Nimitz messe in fila nella darsena di San Diego. Nel giro di appena un paio d’anni dall’inaugurazione, inevitabilmente, iniziarono le proteste, portando alla formazione del gruppo Utrecht weer omsingeld (Utrecht circondato nuovamente dal suo fossato) all’enfatica ricerca di una classe politica in grado di ascoltare, finalmente, l’effettivo desiderio della popolazione.
Tra gli anni ’80 e ’90, quindi, iniziò ad accadere qualcosa che nessuno si era mai realmente aspettato: gli abitanti delle città olandesi, in una rivoluzione partita dal basso, smisero di utilizzare le automobili in ogni momento della propria giornata. Il progressivo miglioramento del trasporto pubblico, l’applicazione più attenta del codice stradale, ma soprattutto l’estrema diffusione del mezzo tecnologico destinato a diventare uno dei simboli della nazione, l’onnipresente bicicletta, ridussero drasticamente la quantità di veicoli a motore che avrebbero potuto, anche volendo, impiegare lo spropositato mostro della viabilità costruito al posto del canale. Nel 1999, quindi, finalmente, l’amministrazione ascoltò e si iniziò a parlare di un futuro ripristino dell’antico fossato. Nel 2002 si fece una prova: c’era una parte di quest’ultimo, infatti, che dopo il prosciugamento non era mai stata inclusa nella strada, ma lasciata a disposizione della gente come una sorta di parcheggio, anch’esso  largamente inutilizzato. Dopo 30 anni, finalmente, l’asfalto venne rimosso e l’acqua immessa nuovamente nel suolo non permeabile, tra la gioia e l’approvazione degli abitanti locali. L’esperimento, dunque, fu giudicato un successo.

1965: Utrecht chiude per un giorno il suo centro storico al traffico automobilistico, trovandosi a dimostrare immediatamente l’importanza che può avere una via dello shopping nell’economia di una città contemporanea.

L’opera che si prospettava, è inutile dirlo, non era tuttavia semplice, e la quantità di fondi da stanziare tutt’altro che indifferente. Lontana nella memoria, si trovava ormai la ricchezza dell’erario degli anni del boom economico e la copertura del fossato, mentre trovare i fondi per il ripristino non sarebbe stato affatto facile. Venne dunque deciso che si sarebbe proceduto per gradi, effettuando soltanto una seconda sezione dell’opera entro il 2015, e riservando l’ultimo tratto nei tre anni successivi. Tanto che al momento, una data di completamento non è ancora stata fissata. Mentre possiamo dire, con assoluta certezza, che il ritorno della parte centrale dell’antico canale sia pienamente riuscita, a seguito della lunga opera, iniziata nel 2010 con la chiusura al traffico della Catharijnebaan e giunta a conclusione soltanto verso dicembre del 2015, inclusiva della costruzione di un parcheggio sotterraneo per il nuovo teatro cittadino e in sostituzione degli spazi sottratti dall’acqua rediviva, deviata direttamente dai canali superstiti del resto della città.
L’intera vicenda, a ben pensarci, è assolutamente surreale. Se pensate che in questo centro abitato, inevitabilmente, devono esserci ampie fasce della popolazione senior, che nel corso della propria vita hanno visto il fossato diventare strada, dimostrarsi inutile e ritornare infine ciò che da principio era stato… Chissà quali pensieri devono aver attraversato la loro testa, e quando sia stata l’ultima volta che hanno pensato: “Si, ne sono assolutamente certo. Le mie tasse vengono spese con criterio assennato.” È tuttavia indubbio che questa, in fondo, costituisca una storia a lieto fine. Con un’intera città che sceglie, non senza un cospicuo dispendio materiale, di partire in un viaggio per tornare ciò che era stata, ritrovando se stessa a vantaggio di innumerevoli future generazioni. È stato provato SCIENTIFICAMENTE che un corso d’acqua è meglio, per la salute e la serenità quotidiana, che un nastro d’asfalto percorso dalle auto a piena velocità. E poi, volete mettere? Gli Stati Uniti, molto presto, potrebbero avere un muro. Mentre Utrecht potrà affermare, con assoluta fierezza, di trovarsi racchiusa da un fossato! Davvero, ancora una volta, non possiamo che farci da parte di fronte al potere dei vecchi ricordi. Speriamo soltanto che adesso, quel canale, non lo riempiano di biciclette

Via: A Flamingo in Utrecht

2 commenti su “Città inonda una strada per tornare all’antico fossato”

  1. Ciao! Sono A Flamingo in Utrecht, però, addesso sono un flamingo a Bologna. 😉 Mi piace cercare di leggere questo blog (il mio italiano non è ancora buono). Un po’ nostalgia per me.

  2. Ciao Flamingo! Mi fa piacere che tu sia passato di qui e colgo l’occasione per ringraziarti dei video che hai realizzato, oltre all’interessante articolo del tuo blog 🙂 Benvenuto in Italia. È davvero incredibile che io abbia citato poco più sopra e per puro caso, proprio Bologna…

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