Il terremoto che ha ingrandito la Nuova Zelanda

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Basta osservare un atlante storico per rendersi conto di come i paesi, spesso, cambino i reciproci confini. Per un vasto ventaglio di ragioni: politiche, diplomatiche, per uno scambio di favori o addirittura in funzione di operazioni militari, le loro forme sugli atlanti sono fluide e mutevoli come quella dell’acqua spostata tra diversi recipienti. Ma c’è un tipo di nazione che, per quanto possono decidere gli umani, resta immutabile attraverso le generazioni. Stiamo parlando delle isole, circondate dalla barriera di tipo paesaggistico più invalicabile per eccellenza, ovvero il mare. Eppure nonostante le premesse, tutto ciò che può succedere in teoria, nel corso della storia si è verificato. Antica oppure, come in questo caso, assolutamente contemporanea ed attuale: difficilmente, ne avrete sentito parlare molto a lungo in Tv. I recenti eventi politici ed economici, per non parlare delle catastrofi del tipo geologico che hanno colpito i nostri stessi connazionali italiani, hanno sottratto notevole spazio nei telegiornali al drammatico terremoto di magnitudine 7,8 che ha colpito lo scorso 14 novembre l’Isola del Sud della Nuova Zelanda, causando danni per miliardi di dollari e, nonostante le terribili potenzialità distruttive, soltanto due malcapitate vittime, di cui una per attacco di cuore. Un evento distruttivo, del tipo che siamo costretti a tollerare come clausola dell’imperfetta condizione umana, ma proprio per questo, latore della stessa energia geologica della creazione. Sarebbe difficile crederlo, se non ci fossero le testimonianze: due minuti dopo la mezzanotte, gli abitanti dei territori costieri presso la cittadina di Kaikoura e da lì verso nord, fino all’estremità settentrionale di Capo Campbell, hanno iniziato a sperimentare molto da vicino gli effetti del’evento tellurico, con epicentro 15 Km sotto Culverden, nell’entroterra poco più a sud. Ma in aggiunta a questo universale terrore, ne hanno dovuto affrontare un altro, specifico delle caratteristiche del loro territorio: un boato impressionante, proveniente dalla direzione dell’oceano, che sembrava riecheggiare della furia dei Titani risvegliati. Perché in un certo senso, era proprio questo ciò che stava succedendo: nel giro di esattamente tre minuti, alla velocità di 3 Km al secondo, una spaccatura nella stessa crosta del pianeta Terra si è ampliata, lungo circa 85 Km di costa. Un lato della stessa, quindi, ha cominciato a salire.
È uno scenario assolutamente surreale, quello che ci viene presentato nel presente video del GNS Science, l’istituto geologico nazionale, in cui l’addetto visita la scena del dopo-terremoto, mostrandosi dinnanzi ad parete rocciosa che supera in diversi punti l’altezza della sua testa. Non prima di averci fatto capire, esattamente, dove si trova: ovvero in riva al mare, e rivolto verso di esso. In un luogo dove, fino a pochi giorni fa, si divertivano i bagnanti e lanciavano i surfisti. Soltanto che le onde, a partire dal giorno fatidico, erano state ricacciate indietro dalla natura stessa, di 15-20 metri. Per tutto l’intero angolo nord-occidentale dell’Isola del Sud. Chiaramente, non si tratta di un fenomeno frequente. Anche noi italiani, che ben conosciamo la furia di questo tipo di tremori, siamo maggiormente propensi a considerare le spaccature che essi possono arrecare agli edifici artificiali costruiti dall’uomo, piuttosto che al paesaggio stesso che generalmente, a meno di sconvolgimenti ancor più significativi di quello di Kaikoura, resta pressoché invariato. Tutto il contrario di quello che è capitato nel caso in oggetto, e questo per le particolari condizioni geologiche della regione. Pensate che gli scienziati della Geonet, l’ente internazionale che si occupa di studiare i terremoti, hanno definito questo evento come uno dei più complessi mai registrati sulla terra ferma. In primo luogo, perché presentava in realtà di due epicentri assolutamente distinti, incluso quello originariamente tralasciato a Waipapa Bay. Ma soprattutto per il posizionamento dell’intera Nuova Zelanda, che si trova all’estremità meridionale del temuto Anello di Fuoco del Pacifico, la concatenazione di vulcani che racchiude l’intero oceano più vasto della Terra. Ragione per cui, come avviene per le pecore, c’è un’altra cosa che qui non è mai mancata: le faglie.

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Il canale YouTube IRIS Education and Outreach spiega il fenomeno piuttosto bene, impiegando semplicemente due pezzi di legno obliqui ed una serie di spaghetti crudi, da immaginare come sezione trasversale della faglia. Immaginate che ciascun bastoncino corrisponda ad una delle numerose crepe che si sono sviluppate nella superficie della Nuova Zelanda.

Il doppio terremoto neozelandese del 14 novembre rientra nella categoria di quelli verificatosi per l’effetto del fenomeno della subduzione. Il che significa sostanzialmente che tra due placche continentali, che premono tra loro fin da prima dell’inizio della storia umana, una di esse ha continuato ad insinuarsi sotto l’altra, che conseguentemente, è salita verso il cielo, generando un certo numero di spaccature o “falde”. Simili fenomeni, benché siano la risultanza di tendenze più che millenarie, hanno la tendenza ad inasprirsi in un solo distruttivo momento, dopo l’accumulo pluri-generazionale di una possente energia repressa. Sostanzialmente, come avviene per i vulcani. E questo per l’effetto delle cosiddette asperità, ovvero aree del sottosuolo in cui l’attrito del sottosuolo, coadiuvato dalla naturale compattezza della sua composizione, risultano generalmente sufficienti a trattenere lo scivolamento della placca condannata dagli eventi. Tutto questo finché l’accumulo della pressione, ad un certo punto, non scioglie il legame della prima asperità presente in una particolare falda, coinvolgendo tutte le altre a cascata. L’evento che ne consegue è apocalittico, ed al tempo stesso, tristemente affascinante. Nella superficie all’apparenza totalmente stabile di un particolare paesaggio, si sviluppano crepe e fessuramenti, dai quali a volte scaturisce l’acqua come effetto collaterale della liquefazione del suolo, mentre il contenuto semi-solido del sottosuolo rimescolato, non rispondendo più alle leggi newtoniane, inizia spesso sprofondare. Portandosi dietro strade, edifici o intere parti dei centri abitati dagli umani, poco più di una nota a margine, rispetto alla furia incontrollabile della natura.
Ora aggiungete all’equazione il fatto che di faglie, nell’area coinvolta nel terremoto, non ce ne fosse soltanto una, ma una quantità stimata di ben sei, ciascuna delle quali si è sollevata di fino a 2, 2,5 metri, per comprendere la varietà degli effetti provocati da questo insolito terremoto, inclusa l’imprevisto allontanamento della costa. O la strana casualità, quella si mostrata più volte in televisione, delle povere mucche che si sono ritrovate isolate su un’isola di terra sopraelevata, nel mezzo di una crepa troppo profonda per tentare l’attraversamento. È tuttavia indubbio che se un evento di portata simile si fosse verificato in una zona dalla densità di popolazione più elevata, o costellata di edifici storici non antisismici come la nostra Italia, la quantità di vittime sarebbe stata decisamente più ingente.

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Questa ripresa via drone mostra l’effetto avuto dal terremoto sulla faglia di Kekerengu, tra Clarence e Clifford Bay. Trovandoci nell’entroterra, gli effetti sono meno evidenti, anche se l’aspetto della spaccatura resta alquanto sinistro ed inquietante.

Il sollevamento della costa di Kaikoura, pur non avendo coinvolto direttamente la popolazione umana, difficilmente potrebbe essere definito un evento privo di connotazioni in se stesse negative. In particolare per il danno arrecato alla fauna naturale dell’ambiente costiero, tra cui molti molluschi gastropodi detti Paua (famiglia Haliotidae) e diverse specie di gamberi e pesci, che si sono ritrovate improvvisamente sollevate dall’acqua, bloccati in piccole pozze e nei casi più sfortunati esposti direttamente all’energia battente del vento e del sole. Diversi volontari ed abitanti del luogo si sono quindi messi immediatamente all’opera per tentare di salvare il salvabile, benché sembri che l’odore di morte abbia già pervaso l’aria, ed una zona precedentemente molto amata dal turismo dovrà soffrire per qualche tempo, finché l’opera di ripristino del territorio, puntualmente portata avanti dal governo locale a partire dal giorno del disastro, non giunga fin qui a dare una mano. Nella storia del pianeta, ad ogni modo, simili sconvolgimenti territoriali sono spesso permanenti, e la creazione di una nicchia ecologica del tutto nuova ha delle volte messo in moto l’energia mutevole dell’evoluzione, portando all’affermarsi selettivo di specie animali altamente modificate o del tutto nuove. Ma ciò potrà essere osservato, forse, solamente dai nipoti degli attuali neozelandesi.
Il terremoto, a questo punto, ormai c’è stato. E quando si verificherà il prossimo, non abbiamo modo di saperlo, nonostante il tempo e le risorse spese, attraverso i secoli, per determinare un criterio valido alla previsione. Qualcuno ha voluto individuare una sospetta coincidenza con l’apparizione astronomica della superluna proprio nella notte del 13 settembre, mentre abitanti del luogo affermano di aver visto “strane luci” nel cielo, proprio alcuni attimi prima del tremore. Un giovane autistico di Sydney con un canale di YouTube, famoso per la sua passione per gli eventi meteorologici, questa particolare catastrofe l’aveva prevista con ben 2 settimane d’anticipo, consigliando alla popolazione di preparare i propri kit di salvataggio e i bagagli per la fuga. Il suo metodo scientifico resta incerto, ma il sentimento alla base della notizia non può che essere profondamente condiviso: sempre meglio prepararsi una volta in più, che una meno. Quando persino i confini delle terre emerse, allo stato dei fatti attuali, appaiono tutt’altro che stabilmente definiti.

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