Un bulbo artificiale può risolvere la sete nel mondo?

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Tutti conoscono, o per lo meno hanno sentito parlare, della leggendaria rosa del deserto. Un fiore nascosto sotto la sabbia delle dune, racchiuso in forma dormiente all’interno di un agglomerato di cristalli di gesso, che per innumerevoli anni e secoli può attendere il suo momento. Finché un giorno, per ragioni incomprensibili, la strana pietra si fessura, e da essa sorge uno svettante fusto del colore di una quercia. Che cresce, e cresce verso il cielo, fino a spalancarsi in un tripudio di sfaccettature frastagliate. Ed è a quel punto, dai suoi petali, che sgorga la più preziosa tra le ricchezze dei viaggiatori: copiosa, rinfrescante, chiara e dolce… Certo, lo scienziato non può che restare perplesso. Niente di simile ha ragion d’esistere in alcun ambiente, e la strana pietra , ce lo insegna la geologia, non è in realtà altro che un litotipo formatisi presso una riserva evaporitica nel sottosuolo. Ma l’ingegnere aggiungerebbe: si, una cosa simile possiamo costruirla. Si, una cosa simile l’abbiamo GIÀ costruita. Si chiama Waterseer, e potete finanziarla (nonché prenotarla) qui.
Fondamentalmente, l’avevamo sempre saputo: per assicurare la prosperità dell’intero consorzio umano, senza limiti di geografia o confini, è assolutamente necessario fare affidamento sulla tecnologia. Non è purtroppo possibile, preso atto dell’attuale numero di individui che vivono nel mondo, per non parlare delle prospettiva della loro crescita futura, pensare di accontentarsi delle sole naturali risorse del pianeta Terra. Il cibo non è infinito, il carburante non è infinito. E per quanto concerne l’acqua… Come probabilmente ben saprete, il liquido per eccellenza è una delle sostanze più comuni presso lo sferoide che chiamiamo Casa. Il 70% del mondo ne è ricoperto, mentre il nostro stesso organismo, che si è evoluto a partire da un simile brodo primordiale, ne è composto al 50-60%, fino al 78% nei neonati. Ma volete sapere quanta dell’acqua che vediamo con i nostri occhi è in percentuale adatta al consumo da parte da nostra? In effetti, non più del 2,5%. Ed è per questo che ogni giorno 8.000 persone muoiono di sete, mentre altre 1.000 subiscono le conseguenze di una delle molte malattie a cui si è soggetti tentando di dissetarsi da una fonte inadeguata.
Fino a un tal punto, è forte il nostro istinto di sopravvivenza: bastano poche ore senza bere, oppure un singolo giorno, perché la disperazione possa portarci a ricercare la potabilità dove in realtà, essa non sarebbe mai potuta esistere, a causa dell’inquinamento, dei microbi o della sporcizia. Come altrettanto celebre è l’immagine, più volte messa in evidenza per stimolare le nostre coscienze, delle madri o padri in determinati paesi aridi che devono percorrere, ogni giorno, numerosi chilometri per raggiungere un distante pozzo e assicurare la sopravvivenza della propria famiglia. Il che, in luoghi che risultano il più delle volte disagiati anche dal punto di vista economico e dei servizi, assicura l’impossibilità di svolgere un lavoro edificante, acquisire nuove capacità o semplicemente passare del tempo con i figli. Ed è per far fronte ad una tale spiacevole situazione, che ormai da svariate decadi diverse organizzazioni umanitarie stanno ricercando lo strumento risolutivo, un apparecchio che permetta, in qualche modo, di incrementare la quantità di fluido dissetante disponibile dove gli acquedotti civici non sono mai esistiti, e mai potranno farlo in futuro. Gli approcci sono molteplici: filtrare l’acqua non potabile o depurarla, per renderla tale, permettere di trasportarla in modo più efficiente, ad esempio attraverso dei serbatoi portatili concepiti per rotolare sul terreno, oppure crearla dall’aria stessa, attraverso il processo della deumidificazione. Proprio questo ultimo metodo, sulla carta, potrebbe sembrare il migliore, benché tenda a richiedere dei ponderosi, costosi macchinari, nonché l’ancor più problematica risorsa dell’energia elettrica. O forse sarebbe più corretto dire, che così è stato fino ad oggi.


Enters Waterseer: nient’altro che l’ultimo progetto portato avanti dalla società di innovazione tecnologica VICI Labs di Reston, in Virginia, in collaborazione con gli studenti dell’università di Berkeley e l’organizzazione umanitaria National Peace Corps Association. Nient’altro, l’avrete notato, che un tubo infisso nel terreno, con un recipiente metallico sotterraneo ed un mulino a vento che fuoriesce dal terreno, raggiungendo all’incirca le spalle di una persona d’altezza media. Nel corso di 24 ore, il vento fa girare le pale dell’astruso meccanismo. La mattina dopo, qualcuno si reca ad inserire una pompa nell’apposita apertura. Da cui sgorgano, nel giro di pochi minuti, circa 40 litri d’acqua. Ogni, singolo, giorno. E niente impedisce di disporre in fila 8, 16, 32 di questi apparati, arrivando a dissetare un intera comunità o villaggio. Vediamo, quindi, come funziona…

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Quattro team di studenti, facenti parte degli istituti della Berkeley per le Imprese Tecnologiche e per il Design, hanno presentato le loro idee alla commissione dei Vici Labs. Le idee migliori, quindi, sono state testate presso la Gill Tract Farm, un vasto terreno di proprietà della scuola sito presso alcune delle regioni più aride della California.

Il prodotto, che si trova in realtà ancora allo stadio di prototipo e nel momento in cui scrivo sta raccogliendo fondi presso il portale di crowd-funding IndieGoGo, ha la forza di basarsi su un principio semplicissimo ed estremamente noto: quello della formazione di condensa, naturalmente verificabile in ambienti dal clima meno arido di quello dei paesi per cui è stato pensato il Waterseer. Le pale del suo mulino a vista, mosse dalle naturali correnti d’aria, attivano di concerto un sistema di ventilazione interna, che cattura l’aria e la spinge in basso, verso la un recipiente di contenimento sotterraneo. Il materiale costruttivo, che è di tipo plastico in superficie per ridurre i costi, diventa invece puro metallo nel sottosuolo, dove anche per questo riesce a mantenersi ad una temperatura naturalmente più fredda di quella ambientale. Trovandosi ad attraversare un simile differenziale, quindi, l’aria si separa dal vapore acqueo, che va a depositarsi sulle pareti del serbatoio. Inesorabilmente, questo si accumula e cola, depositandosi sul fondo come birra in un boccale. Tutto quello che resta da fare, a un tale punto, è pompare fuori il chiaro fluido, ed usarlo per rispondere alle proprie basilari necessità. Ci sono notevoli punti a favore nel procedimento: l’acqua risultante, in primo luogo, è naturalmente distillata, ovvero priva di qualsivoglia contaminante nocivo, anche in presenza di aria pesantemente inquinata. L’ambiente generativo, inoltre, può essere mantenuto ragionevolmente sterile, grazie all’impiego di filtri per il particolato in corrispondenza di ciascuna singola apertura. Nel caso in cui dovesse rendersi comunque necessario pulire o ispezionare il serbatoio, esso può essere comunque estratto dall’alloggiamento sotterraneo, mentre un involucro protettivo resta in posizione ed impedisce la chiusura del buco.
L’impiego di un evaporatore atmosferico, come viene chiamata questa classe di dispositivi, non è in realtà del tutto nuovo. Si ritiene ad esempio che la civiltà degli Incas potesse sopravvivere al di sopra del livello delle piogge impiegando delle trappole del vento, dette Atrapanieblas. Oggi le popolazioni andine e del deserto dell’Atacama fanno ancora affidamento su un sistema simile ma più moderno, costituito da vaste reti di polipropilene appese a coppie di pali di legno, da cui la condensa goggiola all’interno di appositi recipienti. Il Waterseer costituisce tuttavia, senza alcun dubbio, il primo caso in cui un simile dispositivo verrà prodotto in serie, impacchettato e spedito verso i luoghi che ne hanno il più notevole bisogno.

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Tra le prime versioni proposte dai team, c’era un Waterseer ancora più semplice, ispirato ad una foglia di ninfea. In quel caso, il freddo del sottosuolo veniva portato in superficie da un’asta di ferro su due grosse piastre, e sarebbe stato raccolto con un semplice brocca messa in posizione. L’estetica era molto interessante, ma l’acqua raccolta in tale modo difficilmente superava i tre litri giornalieri.

Che il mondo del crowd-sourcing possa servire a svolgere delle mansioni umanitarie, lo sapevamo molto bene: qualcosa di simile ma precedente, dopo tutto, è stato alla base della formazione ed il sostentamento d’innumerevoli compagnie senza finalità di lucro, più o meno legate a una visione religiosa del problema. E l’altruismo resta una fondamentale virtù dell’uomo, benché talvolta, sia necessario portarla in evidenza tramite un processo già noto: così, secondo l’usanza previsa dai portali alla IndieGoGo, è attualmente possibile “prenotare” il proprio evaporatore a patto di pagarne in effetti anche un’altro, che verrà consegnato doverosamente presso un paese disagiato, selezionato con l’assistenza della NPCA. La spesa minima per l’acquisto è quindi di 134 dollari, che sale a 264 nel caso in cui si desideri finanziare la consegna di altri tre Waterseer. Resta sempre importante notare come i finanziamenti di questo tipo rappresentino una significativa concessione di fiducia, in quanto il dispositivo non è stato ancora messo in produzione. Ma la storia insolita, assieme all’intento umanitario di questo progetto sembrano aver già convinto molte persone, con uno stato della raccolta fondi attuale che ha superato al momento in cui scrivo i 185.000 dollari, ovvero il 241% del budget previsto. Con ancora un mese a disposizione prima della conclusione!
Molti dei rischi dell’investimento, quindi, sono già stati vanificati. Le risorse per iniziare la produzione in serie già ci sono, ed il patrocinio di un università e importanti organizzazioni sembrano garantire una buona riuscita del progetto. Le potenzialità di fare del bene, dunque, sono estremamente significative. Senza contare il prestigio, ed il piacere, di poter collocare nel proprio giardino una vera e funzionante prova della saggezza tipica del mondo vegetale: mettere da parte il proprio bene più prezioso, perché prima o poi, il momento di fiorire arriverà.

Per partecipare alla campagna di raccolta fondi:
Waterseer @ IndieGoGo

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