Il visionario delle isole di spazzatura

Richart Sowa

Esiste un luogo, situato nella zona centrale dell’Oceano Pacifico, in cui numerose correnti s’incontrano in un possente vortice, rimescolando l’acqua proveniente dai recessi più distanti della Terra. Ed è proprio qui che si troverebbe, secondo le ipotesi che variano da uno studioso all’altro, un ammasso di plastica e scarichi industriali spropositato, la cui dimensione è stimabile in un’ordine di grandezza che va da quella del Texas al doppio degli Stati Uniti (addirittura!) Si tratta di una questione difficile da approfondire, principalmente per il fatto che l’enorme quantità di materiale, allo stato attuale dei fatti, non è composto da un’unica massa solida, bensì costituisce un nucleo fluido attorno al quale orbitano, come i pianeti di una stella maleodorante, le prove d’esistenza dell’umanità inquinante. Ma una cosa è certa: se tutto continuerà ad andare come da programma… Se l’intera civilizzazione non verrà spazzata via da un evento catastrofico, come una guerra, un meteorite, l’esplosione di una supernova o similare, se il continuo progredire del ciclo vitale dei consumatori/produttori continuerà ad agire come fondamentale ruota dentata del progresso e della quotidianità, alla fine, quel continente attualmente invisibile non potrà che continuare ad espandersi, assumendo forma solida e immanente. Ed a un tale punto, sempre più prossimo sull’asse temporale in rapida discesa sul domani, la sua distruzione con il fuoco o il relativo affondamento potrebbero diventare non soltanto terribilmente onerosi, ma nei fatti, controproducenti. Perché mai, dopo tutto, il processo di produzione dei rifiuti dovrebbe essere considerato affine alla cancellazione entropica di uno stato di esistenza? Come la progressiva cessazione dei venti su un pianeta ormai privo di vita, oppure l’esaurimento dei metalli pesanti all’interno del nucleo di una stella… Quando in effetti, a ben pensarci, non può che essere l’ESATTO contrario. La trasformazione di materie indistinte in ben precisi oggetti o monadi, che svolto il loro compito iniziale, aprono la strada al corso del riciclo. Oppure, ancora meglio, il loro subitaneo riutilizzo.
Richart “Rishi” Sowa, l’artista, filosofo e bioarchitetto inglese ormai praticamente naturalizzato messicano, a tutto questo ci ha pensato, e davvero molto, molto a fondo. Come si può facilmente desumere dal discorso lungo e articolato che offre con trasporto ai suoi visitatori, come ad esempio la qui presente Rose Robin, voce intervistatrice nonché membra del Painting Pirates Club, un’organizzazione benefica che insegna a dipingere ai bambini dei villaggi centroamericani. Ciò che emerge, dal questo incontro fortuito finalizzato alla creazione di un mini-documentario per YouTube, è la storia di un creativo formatosi principalmente da se, le cui idee in merito alla sostenibilità e l’autosufficienza individuale non possono fare a meno di colpire l’immaginazione, e il cui metodo operativo, se mai venisse applicato su larga scala, potrebbe facilmente cambiare il volto degli oceani e della collettività. Le ragioni di ciò diventano ben presto chiare, quando i due escono dalla stanzetta in cui si svolge la prima parte dello scambio d’idee, e il campo dell’inquadratura riesce finalmente ad allargarsi sul modesto, eppure significativo, ambiente della piattaforma galleggiante-cum-magione di Joyxee. Siamo a largo delle coste di Cancun e verso le propaggini meridionali di Cuba, o per essere più specifici, nella laguna della famosa Isla Mujeres (delle donne) il punto più ad oriente dell’America Centrale. Il Sole batte forte, riflettendosi sull’acqua che s’increspa lieve. Il suolo oscilla in modo lievemente preoccupante. Per forza: il suo componente principale, sono più di 100.000 bottiglie di plastica, accuratamente nascoste sotto un fitto strato di vegetazione!

La tecnica di Mr. Sowa, che non può dirsi “brevettata”, semplicemente perché lui per primo ne auspica un’adozione il più possibile su larga scala per un miglioramento e arricchimento dell’altrui vita, si fonda letteralmente su una semplice soluzione, che consiste nel raccoglimento, rapido e proficuo, della più alta quantità possibile dei più tipici contenitori per bevande dei nostri giorni. Dette bottiglie plasticose vengono insacchettate in pratiche sporte non biodegradabili, anch’esse prodotte dai polimeri del petrolio e quindi generalmente usate per il trasporto della spesa…Per finire anch’esse un giorno, irrimediabilmente, nella spazzatura. Fino a che… Nel primo processo di costruzione queste ultime vengono recuperate, quindi a loro volta assicurate a una strutture reticolate in legno, in genere dei semplici pallet da magazzino, benché in passato gli fossero state preferite delle apposite realizzazioni in bambù. La zattera risultante, come possiamo facilmente notare, non soltanto galleggia perfettamente, ma offre una base solida su cui assicurare dei teli cerati, o simili sistemi di sostegno non permeabili (questa parte non viene spiegata in maniera approfondita). Ed è a quel punto, che s’inizia a rovesciare il primo carico di sabbia e terra…
Sarebbe ampiamente giustificato scambiare la risultante Joyxee, costruita tra il 2007 e il 2008, come una vera e propria isola di origini naturali, piuttosto che un’eco-barca come è stata definita dal governo messicano, visto come non soltanto al centro del suo diametro di 25 metri sorga una vera e propria casetta su tre piani, in legno, stoffa e muratura, ma numerosi alberi di mangrovie ed altre piante, senza contare poi l’orto completo sul retro, che da sempre costituisce uno strumento fondamentale di qualsiasi vero artefice della sua sostanziale libertà.

Richart Sowa 2
Spiral Island I fu costruita a partire dal 1998 e costituì l’unica casa di Sowa per ben 7 anni. Nel corso dei quali, il luogo fu visitato da numerose troupe televisive, documentaristiche oppure d’intrattenimento.

La piattaforma di Joyxee, che si trova in una laguna interna dell’Isla Mujeres che Sowa definisce il “ventre del pesce gravido” (tale massa terrestre ha in effetti una forma vagamente ittica, con tanto di pinna dorsale) non costituisce ad ogni modo la sua prima opera in materia, visto come il nome del creatore fosse assurto alle cronache già nei primi anni del 2000, per la costruzione del suo primo ambiente artificiale denominato “Spiral Island I”, presso Puerto Aventuras, sulle coste caraibiche a sud di Cancun. La versione originale del concetto, che incorporava ben 250.000 bottiglie ed aveva una forma rettangolare di 25 x 16 metri, incorporava già molti degli stessi concetti impiegati nell’attuale dimora mostrata in apertura, incluso l’impiego delle piante di mangrovia come forza aggregatrice. Proprio il geniale Rishi spiegava infatti, nell’intervista di apertura, come le radici di queste rivestano un ruolo fondamentale nella costruzione delle sue isole, solidificando e suddividendo gli ammassi di bottiglie, con la finalità di minimizzare l’attrito tra le stesse. Inoltre, la presenza di uno strato di terra e vegetazione soprastante garantisce una protezione della plastica dai raggi ultravioletti, l’unica forza in grado di privarle di solidità. Così, ci spiega lui oggi, ciò che ha messo insieme durerà “per sempre?” Possibile? Certo, come sappiamo fin troppo bene, le singole parti costituenti di un cumulo di rifiuti, se abbastanza grande e/o protetto, sono letteralmente impervie agli elementi. Ma questo non significa che il pugno selvaggio della natura, se soltanto dovesse decidere di abbattersi da quelle parti, non possa disperdere e disintegrare quanto era stato faticosamente costruito. E proprio questo avvenne, purtroppo, nel 2005, quando Spiral Island fu letteralmente spazzata via, assieme a molte altre strutture sulle coste messicane, dal passaggio dell’uragano Emily. La maggior parte delle bottiglie di Sowa, ad ogni modo, furono trasportate ancora saldamente legate assieme, fin sulla spiaggia più vicina, dove vennero rimosse e smaltite in un’unico rapido passaggio dei mezzi di recupero. La consapevolezza di non aver contribuito all’inquinamento, di certo, dovrà essere stata di consolazione per lui, in un momento di perdita così evidente.

Richart Sowa 3
In questo video risalente agli albori di YouTube (2007) ma probabilmente girato ancora prima di allora, Sowa mostra a Bobby Henderson le caratteristiche primarie di una Spiral Island ancora ben distante dal completamento, facendo un discorso non dissimile da quello offerto a Rose Robin.

Lungi dal perdersi d’animo, ad ogni modo, ritroviamo quest’uomo dalle molte risorse nuovamente all’opera nel giro di soli due anni, intento nella messa in opera delle prime strutture di quella che sarebbe diventata la sua attuale Joyxee. Di nuovo dotata del fondamentale strumento di un forno solare, sostanzialmente nient’altro che una vetrina con pareti nero opache, all’interno della quale Sowa faceva cuocere la sua “torta di etanolo” o “il cibo dell’isola” un’impasto di sostanze nutritive di origine vegetale, uova ed altri discutibili delizie, che può essere consumato anche a notevole distanza di tempo dalla preparazione. Un altro servizio fondamentale nel frattempo, la sua toilette compostante, continua ad occuparsi di riciclare le scorie, trasformandole in utile concime per le piante della piattaforma. Rispetto alla prima versione dell’isola, inoltre, su quella attuale si nota la presenza di alcuni elettrodomestici convenzionali, come un frigo e addirittura un forno propriamente detto. Lui fa brevemente riferimento ad alcuni pannelli solari sul tetto, anche se bisogna ammetterlo, un allaccio alla rete elettrica isolana non farebbe nulla per sminuire i meriti della sua creazione, né la relativa filosofia di supporto. Per quanto concerne i guadagni, invece, la situazione è decisamente più chiara: Joyxee è ormai diventata una vista nota ai frequenti turisti dell’Isla Mujeres, e persino gli abitanti locali la accettano ed in qualche modo, apprezzano per ciò che è. Così il suo abitante organizza visite guidate complete, assai probabilmente, dell’intera ed entusiastica esposizione del suo stile di vita, che ad ogni modo potrebbe risultare utile a educare le nuove generazioni all’importanza del riciclo e dell’ecosostenibilità. Su questo, non c’è dubbio.

Spiral Island
Spiral Island nel 2000

Nel più recente 2011, a seguito di una sorta di bonario ordine di sfratto della capitaneria di porto della laguna in cui si trova, l’insolito abitante ha iniziato un processo di ampliamento e rinforzo strutturale, che dovrebbe portarlo, in un momento imprecisato del prossimo futuro, a poter collocare la sua Joyxee nella baia esterna, realizzando finalmente il suo sogno di vivere a contatto con il vasto mare. A tal fine, organizzò anche una campagna di raccolta fondi sul portale Kickstarter che, con l’aiuto dell’amico Scott Mader, gli permise di raccogliere ben 9.559 dollari. Certamente sufficienti a realizzare una prima parte del rinnovamento, benché i piani di Sowa siano probabilmente tanto estremi, e di difficile realizzazione, da dover richiedere ancora qualche anno di perfezionamento.  Lui ne parla brevemente, nell’intervista della Robin, descrivendo una futura piattaforma riciclata con la forma di una nave, e due ancore posizionate a poppa. In grado di voltarsi, grazie all’uso di una o più vele, nella direzione del vento, cavalcando i venti e le onde di qualsivoglia uragano. E poi… No, davvero, c’è di più! Perché lui avrebbe scoperto, nei lunghi anni di sperimentazione, come una struttura artificiale costruita sull’acqua sia naturalmente in grado di generare un microclima indipendente, raccogliendo l’aria fredda di ritorno dai flutti e le profondità marine. Così, lui ci racconta con enfasi erudita, si potrebbe teoricamente piazzare una sorta di struttura con la forma di un’antenna satellitare al centro esatto dell’isola, e ricoprirla di specchi, in modo tale che, riscaldando l’aria, questa generi una sorta di corrente ascensionale, simile a un tornado. Si, beh, non ci sono dubbi: un’isola di spazzatura volante. Suggestioni di un’ipotetico mondo futuro, in cui non soltanto intere città verranno collocate sulle piattaforme di bottiglie alla deriva negli oceani, ma altre ancor più grandi, fluttueranno trasportate via dal vento, a quote variabili del cielo e della stratosfera. Una vera profezia… Non ci credete? Poco danno. Tutto quello che dovete fare, è recarvi fino in Messico e imbarcarvi a Cancun per l’Isla Mujeres. Giunti alla laguna, infine, pagare i 50 pesos per salire a bordo come ospiti (poco meno di 3 dollari) e sedervi a colloquio con lui. In qualche maniera, credo, vi convincerà.

Joyxee
La Isla de Joyxee

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