Parola di Giobbe: “Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe.” Che fine ha fatto il signore dei serpenti marini? Al volgere del ciclo dei millenni, la ruota dell’evoluzione batte contro le creature dalle dimensioni troppo grandi. Stridendo annienta i mostri, abrade le altere maestà. Un tale mulino ruota per l’effetto cosmico di venti senza posa, che portano a disperdersi le polveri dei regni decaduti. Guardiamoci intorno, suvvia: non delle poderose proto-scimmie è stata questa Terra, ma degli ominidi che seppero assemblare aratri, frecce o spade. Con mani affusolate, molti neuroni e decisamente meno muscoli o per lo meno: un equilibrio tra le parti. E discendendo ancora in questo abisso di epoche lontane, il tirannosauro venne sorpassato da pidocchi e topolini, giusto mentre il quetzalcoatlus laciava il passo ai passeri di antiche primavere. 100, 1000 per ciascuna impressionante serpe alata. Le moltitudini fameliche, per quanto deboli individualmente, vincono da sempre sui giganti. Questo, ad ogni modo, non li rende meno spaventosi.
La data è il 7 aprile scorso, il luogo: una non meglio definita località della penisola della Bassa California. Canoe gialle solcano le onde, mentre adulti avventurosi, telecamere alla mano, cercano l’avvistamento più notevole della giornata. Sono i partecipanti a un’escursione naturalistica organizzata dal celebre Shedd Acquarium di Chicago, che li ha portati all’altro capo degli Stati Uniti, insieme a un team di esperti etologi per far da guida. Quella mattina, ancora non sapevano la loro buona sorte. Sull’inizio del video, infatti, la combriccola scorge due ombre sinuose tra le acque basse della costa. Sono lunghe circa cinque metri l’una, hanno una testa affusolata con un vistoso ciuffo rosso, la lunga pinna mobile che gli percorre tutto il dorso. Si tratta di una coppia di rari regalecidae, giunti fino a riva, probabilmente, solamente per morire. Oppure, come da credenza popolare, per l’incipienza di un pesante sisma. Stupida superstizione! Sarà stato solamente un caso, se pochi giorni prima c’era stato il terremoto ad Orange County.
La famiglia dei regalecidae comprende solo cinque specie, tutte abitatrici delle alture oceaniche (pelagicismo) e lampriformi, ovvero dotate di caratteristiche pinne a raggio. Il loro occasionale avvistamento, da parte dei nostri antenati marinai, viene ritenuto all’origine dei numerosi miti relativi a un qualche serpente degli abissi, punto fermo di culture assai distanti. Vedi Tiāmat dei Babilonesi. O Jörmungandr delle credenze nordiche, che avvolgeva il mare degli umani ed abboccò all’amo del più forte degli dei. O Vasuki dalle molte spire, che dimorava nell’oceano latteo della cosmologia induista, usato come tramite verso l’ambrosia dei demoni immortali. E ancora i molti spauracchi medievali, tracciati sulle carte nautiche a scopo decorativo, generalmente verso i bordi e poco sopra la tremenda dicitura “hic sunt leones/dragones”. Ancora oggi, ciò che fuoriesce dal quotidiano è nemico della logica e del senso comune.
In Thailandia, ad esempio, esiste un’immagine memetica assai famosa, spesso esposta nei bar e nei mercati al coperto, in cui: “L’esercito degli Stati Uniti cattura la regina dei Naga [uomini serpente] presso il fiume del Mekong, base militare del Laos, 27 giugno 1973. Misurava 7.80 metri”. Riesce facile immaginarsi le vicende straordinarie raccontate al seguito di un tale ausilio, magari dagli anziani proprietari del locale o i presunti testimoni dell’evento. E chissà quanti ragazzi affascinati, dopo un simile narrare, avranno scelto una carriera ben lontana dalle onde.
In realtà la foto è stata scattata anch’essa in California, e nello specifico presso San Diego, da alcuni Navy Seal che trovarono il pesce morto sulla spiaggia. Risale al 1996.
Il regalecus glesne, anche detto signore delle aringhe, può facilmente raggiungere i 10 metri di lunghezza per 270 spaventosi Kg di peso. È il pesce osseo più lungo al mondo, superato solo da alcuni squali, comunque dotati di scheletro cartilagineo. La sua natura solitaria, nonché le alte profondità presso cui trascorre la sua vita, lo rendono tutt’ora una creatura alquanto misteriosa. Non è nemmeno buono da mangiare. Il nome comune di pesce remo potrebbe provenire, oltre che dalla forma lunga e affusolata, anche dal suo particolare impiego delle piccole pinne ventrali, sfruttate come fossero pagaie. Ciò gli permette di muoversi con pari velocità in entrambi i sensi, avanti e retromarcia. Ma la parte migliore viene quando accelera. Una volta puntato il suo obiettivo, il pesce non si flette come un serpente, ma resta rigido alla pari di un siluro in corsa. La massiccia pinna dorsale, agitandosi sinuosa, governa le sue curve. Nel vedere simili creature, così splendide ed eteree, si capisce facilmente perché in Giappone venissero considerate messaggere dal palazzo di Ryūgū-jō, il Drago-Dio del Mare.
Per cacciare, il pesce remo ha una strategia speciale: si posiziona a candela, con la testa rivolta verso il fondale, allo scopo di generare un’ombra meno visibile per le sfortunate prede. La bocca è piccola e priva di denti. Si nutre, dunque, principalmente di plankton, molluschi, gamberetti e minuscole meduse. Qualche volta non disdegna un pesciolino di passaggio.
La biomassa di una specie è l’insieme del materiale vivente risultante da un singolo asse evolutivo. Si potrebbe considerare, in senso lato, la misura di un successo. Il peso complessivo delle formiche sul pianeta Terra, per dire, è pari o superiore a quello degli umani. Traete voi le conclusioni.
In origine, secondo la tradizione ebraica, esistevano soltanto tre creature: Behemot, pachiderma immisurabile delle regioni emerse, Ziz un mostro tra le alte nubi e nel mare un gran serpente detto Leviatano. Questo era tanto imponente, così ambizioso, che non lasciava spazio a nessun altro essere pinnuto. Li mangiava tutti quanti! Soltanto molto dopo, faticosamente vennero i carcharodon megalodonti, squali lunghi quanto un autotreno. E poi i pesci mascellari, pesantissimi, con il cranio tondo e dalle scaglie corazzate. Quindi bestie piccole, innumerevoli. Oggi vincono le acciughe, domani…
In natura nulla si crea, nulla si distrugge. Nemmeno la biomassa che può evolversi, metamorfizzarsi per cambiare. Però non tutta, e soprattutto, a ritmi differenti: vedi il nostro contemporaneo Nessie, presunto plesiosauro della Scozia. E l’occasionale pesce remo, residuo siluroide e siluriano al tempo stesso.
1 commento su “I due draghi marini della Baja California”