Condizioni particolari, circostanze atipiche, opportunità diverse. Quando nel 1229 il Re Giovanni I di Aragona, detto il Conquistatore, giunse con la propria flotta presso la più grande terra emersa facente parte delle Baleari, controllata ormai da quattro secoli da uno degli ultimi califfati musulmani d’Europa, il potente soffio del Maestrale proveniente da nord-ovest lo costrinse a rivedere i propri piani, doppiando l’isola e scegliendo di approdare a mezzanotte nella sua estrema parte meridionale. Da lì, mettendosi in marcia con il sorgere dell’alba, in poche ore i soldati raggiunsero la città principale di Palma, esistente in varie forme fin dal secondo secolo, quando era stata fondata dai Romani. Asserragliata tra le vecchie mura non troppo solide, e colti di sorpresa senza risorse sufficienti a superare un assedio, gli abitanti vennero ben presto costretti alla resa, sebbene membri della taifa nominalmente associati al corpus politico Almohade fossero riusciti a ritirarsi tra le montagne, da dove continuarono a resistere con attacchi di guerriglia destinati a durare parecchi mesi. Fu dunque con l’aiuto ed il finanziamento dei mercanti di Barcellona, Tarragona e Tortosa, massimamente interessati a mantenere questo territorio di scambio dall’importanza niente meno che fondamentale, che il sovrano cristiano concepì il progetto per la costruzione di una fortezza edificata dai migliori architetti dell’epoca, che potesse costituire la sua residenza e al tempo stesso resistere a qualsiasi forma di attacco presente o futuro. Un’idea destinata ad essere accantonata in un primo tempo, per venire poi portata a termine dal suo figlio ed erede, Giovanni II di Maiorca. Tramite il coinvolgimento di architetti sotto il controllo del maestro gotico Pere Salvà, si decise dunque di procedere in maniera fortemente atipica, evocando nei disegni un tipo di edificio che in quell’epoca sarebbe stato associato principalmente alla città di Roma ed il dominio dei Papi: il celebre forte a forma di tamburo incorporato nelle mura Aureliane, che in precedenza era stato lo svettante mausoleo di Adriano. Benché fonti storiche e coéve, facendo riferimento alle crociate, scelgano di citare una fonte d’ispirazione geograficamente più distante, facendo piuttosto riferimento all’Erodion della Cisgiordania, antica collina costruita a sud di Gerusalemme nel I sec. a.C da Erode il Grande, sovrano di Giudea.
Qualunque fosse stata l’effettiva origine della sua forma, il complicato castello che avrebbe assunto il nome di Bellver (per il suo “belvedere” della baia e capitale isolana) avrebbe ad ogni modo richiesto molti anni per il suo completamento, giungendo ad una forma utilizzabile non prima del 1311. Diventando in breve tempo, a partire da tale data, una delle regge maggiormente atipiche ed al tempo stesso ben difese di tutta l’Europa meridionale…
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Cavorite, l’aereo che nasconde dentro le sue ali 14 eliche per il decollo verticale
Leggendaria riesce ad essere quell’epoca trascorsa, risalente ad oltre un secolo prima dei nostri giorni, in cui l’uomo imparò il segreto necessario a superare le stringenti catene gravitazionali, sollevandosi liberamente grazie al volo più pesante dell’aria. Gli albori di un sentiero tecnologico, oggi esplorato in ogni valido recesso, in cui aderire a specifici linee progettuali sembra quasi obbligatorio e la creatività può esprimersi soltanto tramite una serie di approcci per lo più marginali. Il che vuol dire essenzialmente, senza nulla togliere alla fantasia degli ingegneri, che ogni “cosa” volante deve necessariamente avere due ali, una coda, una carlinga, superfici di controllo rispondenti a ricorrenti aspettative di maneggevolezza operativa. Pena lo sconfinamento, per quanto sappiamo, in quel reame di aeroplani atipici e collaterali, per loro stessa aspirazione allineati al concetto di un refolo di vento contro la direzione dominante del progresso, largamente condannati all’accantonamento dai princìpi del senso comune. Spostiamo un simile discorso agli ultimi 15, 20 anni, tuttavia e le cose sembrano rispondere a dei crismi sostanzialmente contrapposti. Con la diffusione su larga scala dei sistemi di controllo computerizzati fly-by-wire, anche al di fuori dell’ambito militare e dei costosi aerei di linea o business jet, ma soprattutto l’applicazione di quel valido principio funzionale anche alla configurazione di aeromobili ad ala rotante con multipli rotori di sollevamento. Quadri-, esa-, octo- e quanti-più-ne-hai-cotteri, mutuati dall’ambito dei mezzi radiocomandati e gradualmente trasformatisi, nell’immaginario di una pletora di compagnie startup ed altri simili ambiziose realtà aziendali, nella perfetta soluzione a quel bisogno percepito in tempi odierni, di un efficace sistema di taxi volante per riuscire a superare il traffico dei grandi centri urbani o le strategiche distanze tra i centri abitati. Ambizione con un centro principale negli Stati Uniti e la Vecchia, densa Europa ma che in questi ultimi tempi ha visto l’interesse su scala globale intensificarsi e le proposte moltiplicarsi di pari passo. Con l’ultima offerta, in ordine di tempo sotto i riflettori grazie ai validi traguardi conseguiti, concentrata geograficamente sulla cittadina di Lindsay, Ontario in Canada dove ha sede la Horizon Aircraft del duo padre-figlio Brian Robinson (ingegnere) e Brandon Robinson (CEO) creatrice di velivolo le cui caratteristiche paiono voler congiungere i migliori aspetti di ambo i mondi: quello dell’aviazione tradizionale e dei cosiddetti eVTOL, mezzi a decollo verticale caratterizzati da propulsione elettrica e la configurazione, per l’appunto, del tipico strumento fluttuante maggiormente amato dai cineamatori. A partire dalla motorizzazione stessa, appartenente in modo atipico al contesto dei sistemi ibridi, con vero carburante a bordo e la conseguente capacità di spingersi fino ad 800 Km di distanza, un vero e proprio record di categoria. Quindi per la dote inusitata di poter riuscire letteralmente a nascondere i proprio rotori multipli all’interno delle superfici portanti di un tipo maggiormente convenzionale. Diventando quando necessario, a tutti gli effetti, un “semplice” aereo da turismo, sebbene dall’estetica curiosa che ricorda vagamente il mezzo di trasporto di una classica scuola per giovani supereroi. Con un nome degno di rappresentarli: Cavorite, la mitica roccia inventata da Jules Verne, la cui principale prerogativa era quella di risultare più leggera dell’aria stessa…
Eclissi gialla sulla miniera: storia della ruspa che poteva oscurare il sole
Esiste questa idea secondo cui il tirannosauro fosse l’animale più potente del Cretaceo, un assoluto superpredatore incontrastato nel dominio del suo legittimo regno d’appartenenza. Un preconcetto assunto per antonomasia, trasferendo le sue proporzioni in un contesto moderno, dove cesserebbe quel dualismo sincretistico che vede confrontarsi gli agili, scattanti carnivori con i mastodontici ed inamovibili mangiatori di piante. Ma così come oggi l’unico il vero re della savana è l’elefante, esistevano in quell’epoca sauropodi, vedi l’argentinosauro o i titanosauri della Patagonia, di fronte a cui il frainteso gallinaceo alto come una palazzina di due piani sarebbe rapidamente impallidito sotto le sue piume, dopo una contemplazione delle proprie chance di abbattere un bersaglio tanto più imponente di lui.
Trasferiamo adesso tale termine di paragone all’attuale conduzione operativa di una miniera a cielo aperto. Il tipo di ambiente antropogenico dove ogni singola creatura si vede attribuita un ruolo estremamente pratico, incluse quelle fatte di acciaio, gomma e fluido idraulico all’interno di così possenti vene. Come i camion da trasporto, addetti alla logistica e i bulldozer che preparano i siti di scavo, appiattendo la sacrificabile (?) cima di montagne per ottimizzare le opportunità di guadagno future. E gli escavatori dragline con i loro bracci perpendicolari, situati in zone strategiche per sollevare, filtrare e suddividere il materiale. Ma se ora vi dicessi che qui esiste uno strumento, la cui versatilità inerente è tale da riuscire a garantirgli la più alta mobilità in proporzione alla massa ed al tempo stesso, l’effettiva propensione di poter assolvere a ciascuna di tali diversificate mansioni? Come se fosse, al tempo stesso, la tigre ed il dragone. Il cavallo ed il rinoceronte. Lo squalo e l’anfisbena. In linea di principio, potreste conoscerla molto bene: è la ruspa. Bensì trasferita a proporzioni che oggettivamente sfuggono alla comprensione subitanea dell’immaginazione individuale. Un tipo di veicolo sovradimensionato che oggi trova il produttore maggiormente celebre nell’azienda giapponese che prende il nome dalla città dove fu fondata un centinaio di anni a questa parte. La Komatsu Ltd, il cui operato è da tempo sinonimo di competenza, affidabilità e… Ambizione. Quella di poter assolvere, con i suoi modelli prodotti in serie, ad esigenze del movimento terra dalle proporzioni totalmente prive di termini di paragone. Un sentiero al cui termine ideale possiamo individuare la PC8000, negli ultimi tempi diventata popolare su Instagram e Tiktok grazie a una serie di comparative videografiche tra la sua massa e quella di un bipede senziente del pianeta Terra. Con il secondo pronto a divenire, in quel contesto, la passiva equivalenza di un mero stuzzicadenti con distinte capacità deambulatorie…
Le cinque marce del cavallo nato per trovare la sua strada sotto il cielo d’Islanda
Nel sogno, la natura è un circolo sfocato ai margini del campo visivo, intento a scorrere veloce mentre al centro svetta, inconfondibile e maestoso, il picco frastagliato di un distante punto di fuga. La mano sinistra lungo il fianco, a stringere una… Fune? Mentre in quella destra impugna il diafano bicchiere di un’imprecisata bevanda, del colore ambrato del mattino. Senza esitazioni, il bordo di quel recipiente si avvicina al labbro superiore, mentre gli occhi battuti dal vento ne scrutano la superficie, che ricorda un lago in piena estate per l’assenza pressoché totale d’increspature. Il paesaggio circostante addirittura accelera, piuttosto che rallentare, mentre il pregevole liquore scende nella vostra gola. Neppure una singola goccia, è andata sprecata.
L’esperienza non troppo irrealistica permane nella collettiva conoscenza di quel popolo, che più di mille anni a questa parte scelse di lasciarsi dietro guerre, conflitti e scorribande. Approdando con le proprie navi lunghe nel primo Nuovo Mondo d’Europa: un isola di ghiaccio, fuoco e accidentate valli tra una costa e l’altra punteggiata da colonie di foche. La ragione per cui al fine d’insediarsi, parte di quello spazioso spazio venne riservato dai Vichinghi alle loro preziose cavalcature. Equini delle Shetland, Highland, Connemara, Isole Faroe. Che sarebbero stati considerati al giorno d’oggi appartenenti alla categoria dei pony, almeno finché nei secoli a venire non avrebbero mischiato la loro discendenza con l’occasionale Fjord norvegese. Dando vita al concetto, tanto distintivo quanto persistente, dello Islenski hesturinn, un tipo di quadrupede selezionato attentamente dai coloni e in seguito scremato ulteriormente, dallo spietato processo naturale di selezione dovuto al clima rigido e l’ambiente inospitale d’Islanda. Uno “stato” privo di governo centrale o alcun tipo di sovrano per precludere gli errori futuri, dove tuttavia un’assemblea dei capi villaggio, la primordiale Althing, si assumeva il compito di scrivere una serie di leggi sul modello del sistema dei grandi regni settentrionali. Una delle prime tra le quali sarebbe stato nel 982 d.C. il decreto incondizionato per vietare l’importazione di nuovi cavalli, affinché la purezza della loro pregevole cavalcatura fosse preservata a beneficio delle generazioni future.
E così sarebbe stato, a giudicare dall’attuale fama e distribuzione dei discendenti di quella stessa linea di sangue animale, che oggi vanta oltre alla popolazione locale di 80.000 esemplari, altri 100.000 esportati in giro per il mondo, di cui 50.000 nella sola Germania. Noti per la loro resilienza, l’indole bonaria, la tenacia instancabile ed una caratteristica davvero particolare: il possesso di due addizionali stili di locomozione oltre ai tre comunemente posseduti da qualsiasi equino. La cui prerogativa è quella di massimizzare, oltre ogni più ragionevole aspettativa, l’implicita tendenza a mantenere stabile la posizione della sella e del cavaliere…