L’antica tradizione funeraria delle bare attaccate al fianco della montagna

L’anziano Dakila Ilao aveva contribuito per buona parte della sua esistenza alla comunità, prendendo molte delle più importanti decisioni del villaggio. Si era preoccupato, una volta raggiunta un’età sufficientemente avanzata, di dirimere le dispute in materia di terreni agricoli, discrepanze o disaccordi tra i più giovani e inesperti abitanti della Cordigliera. Finché raggiunta quella che poteva essere l’ultima decade della sua vita, scalpello alla mano, si era procurato una sezione di tronco proveniente da un alto pino della parte settentrionale dell’isola di Luzon. E con scalpello e martello alla mano, per lunghe settimane e mesi, aveva provveduto a scavarne l’interno, fino ad averne ricavato una grande scatola di circa un metro di lunghezza. Da quel momento, gli amici e la famiglia che condividevano con lui le sue giornate lo avrebbero visto, se possibile, ancora più sereno di quanto fosse mai stato prima di allora. Quasi come se un peso fosse stato tolto dal profondo della sua mente, sostituito con l’effettiva preparazione ad una fase successiva dell’esistenza. In un giorno come tanti altri, nell’estate senza fine che caratterizzava dal punto di vista meteorologico il suo paese, la nipote che andava tutti i giorni a preparargli la colazione non riuscì a svegliarlo: Dakila Ilao, infine, li aveva lasciati. La notizia iniziò a diffondersi tra le capanne del villaggio, dando il via ad una frenetica serie di attività comunitarie. Una speciale sedia, in legno finemente lavorato, venne posta fuori dalla casa dell’anziano. E il suo corpo, avvolto di lenzuola, venne posizionato su di essa, mentre lì vicino veniva accesso un falò di legno profumato. Per diversi giorni, tutte le persone che l’avevano conosciuto in vita andarono fargli visita, finché non venne il momento lungamente atteso. Persone addette ed onorate sollevarono il defunto e con estrema cautela, ne raccolsero le membra in posizione fetale; l’unica maniera, a conti fatti, in cui potesse entrare nella scatola che si era costruito a tal fine. Impugnati a questo punto una scala di corda ed un’intero sacco di chiodi da rocciatore, diedero l’inizio all’ultimo viaggio del proprio beneamato compatriota.
Il visitatore, anche proveniente da terre vicine, che dovesse approcciarsi casualmente per la prima volta agli immediati dintorni del villaggio di Sagada, tra le montagne della principale isola delle Filippine, potrebbe ricevere l’esperienza di una vista alquanto inaspettata e per certi versi, inquietante. Sulle pareti in pietra calcarea di una delle molte formazioni rocciose di quel territorio, una serie di forme in legno squadrato, con sopra scritti nomi e l’effige ricorrente della croce cristiana. Sopra quelle che si dimostreranno necessariamente essere, a tutti gli effetti, delle bare costruite a mano. Un diverso tipo di cimitero, senza dubbio, derivante da un particolare modo appositamente studiato al fine di riuscire a rendere omaggio ai propri cari. Successivamente ad una dipartita che in qualsiasi circostanza, non potrà esonerarli da un’apprezzabile necessità di posizionarli non soltanto lontano da possibili animali selvatici, ma anche al di sopra d’inondazioni o terremoti, eventualità tutt’altro che remote in questa terra situata sul percorso del grande anello di fuoco del Pacifico, dove la Terra stessa sembra ricercare con trasporto un qualche tipo di vendetta nei confronti dei suoi abitanti. Non che tramite il giusto grado d’ingegno, assieme a una specifica metodologia tramandata, risulti del tutto impossibile trovare dopo l’ultimo dei giorni l’opportunità di un eterno riposo…

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L’esperimento di un film dell’orrore per corvi

Un giorno scoiattoli agili, che corrono allegri sulla corteccia. Un altro, ronzio primaverile d’api operose, perlustratrici di una distante colonia ricolma di melliflua dolcezza. E poi… Strani giardini pubblici per ancor più strane visioni, capaci d’imprimere nella memoria immagini arcane, dal significato non sempre evidente: come questa, di una figura femminile che avanza, con incedere cadenzato, fin sotto un cedro nella radura. Ma soltanto a un’occhio particolarmente attento, o abbastanza vicino, le cose appaiono per ciò che sono: la manifestazione tangibile di un mondo sinistro e inquietante. Lei è Kaeli Swift, candidata al dottorato dell’Università di Washington, intenta in un passatempo alquanto atipico: spaventare a morte i corvi, per comprendere cosa, effettivamente, possa spaventare a morte i corvi. Così è una maschera, quella che indossa, di un realistico color carne, con parrucca da strega incorporata. Perfettamente priva di espressione ma per il resto, dolorosamente simile al volto di un essere umano defunto e scarnificato, le orbite vuote rimpiazzate dagli occhi del suo stesso assassino. Aggiungete a questo l’intenzionale assenza intenzionale di mimica, e ciò che sta effettivamente facendo: mostrare, al vento, agli esseri vegetali e alle persone, un cadavere stecchito dalle ali nere, e la coda nera e il becco e gli occhi altrettanto neri. Persone che poi sarebbero, nel caso specifico, piumati volatili, delicatamente poggiati sui rami al di sopra della scena, naturalmente guardinghi verso colei che offre la chiara apparenza di un loro simile, evidentemente passato a miglior vita, R.I.P. Il risultato? Richiami dalla notevole intensità, un grande agitarsi dei corpi, becchi aperti per interfacciarsi vicendevolmente attraverso il suono. È tanto rumore per nulla, tutto questo, poiché il “morto” nient’altro costituisce, in effetti, che un mero fantoccio del tutto fittizio, pensato per ingannare i soggetti inconsapevoli di quella che assomiglia, in tutto e per tutto, a una candid camera per uccelli. Ma forse è sbagliato considerare la cosa dal punto di vista di questi ultimi, o di un passante chiamato ad esprimere un giudizio disinformato. Perché questa è purissima SCIENZA, baby! Il metodo cognitivo della dimostrazione, finalizzata alla comprensione ed in ultima analisi, un migliore approccio alla convivenza con alcuni degli uccelli più scaltri, furbi, dispettosi e in ultima analisi, problematici di questo pianeta Terra.
Molti lo hanno visto accadere senza porsi, essenzialmente, le giuste domande. Perché gli appartenenti al genere Corvus che vivono più a stretto contatto con il contesto urbano, siano loro i corvi imperiali (C. corax) le cornacchie grige italiane (C. cornix) o come nel caso della Swift, i C. brachyrhynchos americani, sono soliti radunarsi in gruppo, emettendo complesse vocalizzazioni interconnesse tra loro? In quale modo, questo risponde alle regole dettate dal loro istinto? Per lungo tempo, si è pensato che il richiamo di questi esseri portasse la sventura tra gli uomini, poiché appariva carico di un tono beffardo, apparentemente rivolto a tutti coloro che prestassero orecchio, dopo aver sottratto preziosi spazi all’universo della natura. La realtà è che ci sono diverse possibili ragioni per simili attività, tutte motivate dal bisogno di accrescere le proprie chance di sopravvivenza e ciò è vero altrettanto, benché possa essere sorprendente, nel caso dei funerali piumati. Forse la più strana specializzazione nel campo dell’etologia animale. Eppure nessuno, in realtà, può biasimare colei o colui che si avvicina alle cose interessanti. Anche se ciò richiede, spesso, una rinuncia alle norme di comportamento che noi tutti potremmo definire “normali”. Ecco dunque, la risposta all’atavica domanda: “Come ho fatto a trovarmi in questa assurda situazione?” Ipotizzando che a porsela sia la scienziata, poco prima o dopo la memorabile scena mostrata nel video di apertura: si trattava essenzialmente della fedele riproduzione, a favore di telecamera, di uno studio formale pubblicato nella primavera del 2015, sulla rivista Science Direct, con l’assistenza del collega John M. Marzluff e il patrocinio dell’Associazione per il Comportamento Animale. Titolo: “I corvi americani si radunano attorno ai loro defunti per avvisarsi a vicenda del pericolo.” Una sequenza di parole che definirei quanto meno programmatica, come approccio descrittivo al gracchiante nocciolo della questione…

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