Un giorno scoiattoli agili, che corrono allegri sulla corteccia. Un altro, ronzio primaverile d’api operose, perlustratrici di una distante colonia ricolma di melliflua dolcezza. E poi… Strani giardini pubblici per ancor più strane visioni, capaci d’imprimere nella memoria immagini arcane, dal significato non sempre evidente: come questa, di una figura femminile che avanza, con incedere cadenzato, fin sotto un cedro nella radura. Ma soltanto a un’occhio particolarmente attento, o abbastanza vicino, le cose appaiono per ciò che sono: la manifestazione tangibile di un mondo sinistro e inquietante. Lei è Kaeli Swift, candidata al dottorato dell’Università di Washington, intenta in un passatempo alquanto atipico: spaventare a morte i corvi, per comprendere cosa, effettivamente, possa spaventare a morte i corvi. Così è una maschera, quella che indossa, di un realistico color carne, con parrucca da strega incorporata. Perfettamente priva di espressione ma per il resto, dolorosamente simile al volto di un essere umano defunto e scarnificato, le orbite vuote rimpiazzate dagli occhi del suo stesso assassino. Aggiungete a questo l’intenzionale assenza intenzionale di mimica, e ciò che sta effettivamente facendo: mostrare, al vento, agli esseri vegetali e alle persone, un cadavere stecchito dalle ali nere, e la coda nera e il becco e gli occhi altrettanto neri. Persone che poi sarebbero, nel caso specifico, piumati volatili, delicatamente poggiati sui rami al di sopra della scena, naturalmente guardinghi verso colei che offre la chiara apparenza di un loro simile, evidentemente passato a miglior vita, R.I.P. Il risultato? Richiami dalla notevole intensità, un grande agitarsi dei corpi, becchi aperti per interfacciarsi vicendevolmente attraverso il suono. È tanto rumore per nulla, tutto questo, poiché il “morto” nient’altro costituisce, in effetti, che un mero fantoccio del tutto fittizio, pensato per ingannare i soggetti inconsapevoli di quella che assomiglia, in tutto e per tutto, a una candid camera per uccelli. Ma forse è sbagliato considerare la cosa dal punto di vista di questi ultimi, o di un passante chiamato ad esprimere un giudizio disinformato. Perché questa è purissima SCIENZA, baby! Il metodo cognitivo della dimostrazione, finalizzata alla comprensione ed in ultima analisi, un migliore approccio alla convivenza con alcuni degli uccelli più scaltri, furbi, dispettosi e in ultima analisi, problematici di questo pianeta Terra.
Molti lo hanno visto accadere senza porsi, essenzialmente, le giuste domande. Perché gli appartenenti al genere Corvus che vivono più a stretto contatto con il contesto urbano, siano loro i corvi imperiali (C. corax) le cornacchie grige italiane (C. cornix) o come nel caso della Swift, i C. brachyrhynchos americani, sono soliti radunarsi in gruppo, emettendo complesse vocalizzazioni interconnesse tra loro? In quale modo, questo risponde alle regole dettate dal loro istinto? Per lungo tempo, si è pensato che il richiamo di questi esseri portasse la sventura tra gli uomini, poiché appariva carico di un tono beffardo, apparentemente rivolto a tutti coloro che prestassero orecchio, dopo aver sottratto preziosi spazi all’universo della natura. La realtà è che ci sono diverse possibili ragioni per simili attività, tutte motivate dal bisogno di accrescere le proprie chance di sopravvivenza e ciò è vero altrettanto, benché possa essere sorprendente, nel caso dei funerali piumati. Forse la più strana specializzazione nel campo dell’etologia animale. Eppure nessuno, in realtà, può biasimare colei o colui che si avvicina alle cose interessanti. Anche se ciò richiede, spesso, una rinuncia alle norme di comportamento che noi tutti potremmo definire “normali”. Ecco dunque, la risposta all’atavica domanda: “Come ho fatto a trovarmi in questa assurda situazione?” Ipotizzando che a porsela sia la scienziata, poco prima o dopo la memorabile scena mostrata nel video di apertura: si trattava essenzialmente della fedele riproduzione, a favore di telecamera, di uno studio formale pubblicato nella primavera del 2015, sulla rivista Science Direct, con l’assistenza del collega John M. Marzluff e il patrocinio dell’Associazione per il Comportamento Animale. Titolo: “I corvi americani si radunano attorno ai loro defunti per avvisarsi a vicenda del pericolo.” Una sequenza di parole che definirei quanto meno programmatica, come approccio descrittivo al gracchiante nocciolo della questione…

Il senso dell’intera messa in scena, per ovvie ragioni, era stato calcolato nei tempi specifici e la loro meccanica esecuzione. Di un copione perfettamente calibrato, mirato a dimostrare che si, i corvi comprendono gli stimoli di contesto, si, agiscono di conseguenza e, fatto forse più inquietante dell’intera faccenda, riconoscono i volti “umani” anche a distanza di tempo, cercando vendetta o rifugio nei confronti degli individui considerati pericolosi. Ecco, quindi, il significato di una maschera tanto inquietante: offrire un aspetto neutrale, ovvero sempre identico, al ricercatore incaricato di volta in volta d’interpretare il serial killer dei volatili, identificato nell’esecuzione originaria della scena da un cartello recante il suo ruolo accademico, onde evitare interruzioni problematiche da parte dei visitatori del parco o perché no, addirittura la polizia. Può sempre succedere, quando si finisce accidentalmente per assomigliare all’assassino de Il silenzio degli innocenti. C’è quindi una progressione logica, nella riduzione di pochi minuti offerta al popolo di YouTube: prima Kaeli, priva di maschera, offre il becchime agli uccelli. I corvi si ricordano di lei, e l’accolgono il giorno dopo con evidente gioia e benevolenza. Quindi tradendo la loro fiducia, ella si presenta nella maniera sopra-descritta: angelo della morte privo di un volto, il corvo morto fra le mani, visione capace di procurare un brivido anche al più coraggioso tra gli eventuali osservatori disinformati. Ed è a quel punto, che si scatena l’apocalisse: “PERICOLO, PERICOLO!” Gridano i corvi: “La cosa-bipede ha ucciso uno di noi, PERICOLO!”
Ok, fin qui tutto normale, giusto? I corvi riconoscono i loro morti. A differenza, come viene dimostrato di lì a poco nello stesso scenario, dei ben più semplici e inconsapevoli piccioni selvatici comuni (Columba livia). Ma è al capitolo successivo, che le cose iniziano a farsi dannatamente interessanti. Poiché la scienziata ritorna, ancora una volta, con il becchime però indossando, ancora, l’imperturbabile maschera della morte. Che cosa pensate che accada, a questo punto… Quale istinto atavico riuscirà a prevalere? Negli studi precedenti citati nell’articolo del 2015, la Swift parlava di come esperimenti simili aventi come soggetto le ghiandaie americane (gen. Cyanocitta) avessero dimostrato in passato una loro apparente capacità di ricordare potenziali predatori di co-specifici o altri uccelli di simili dimensioni anche a distanza di tempo, rallentando la loro risposta allo stimolo positivo di un’offerta di cibo. Ma nel caso dei corvi del parco, se vogliamo, le cose sembrano andare ben al di là di questo: nel cacofonico concerto di risposta, chiaramente mirato a spaventare la donna senza volto, è possibile percepire una chiara nota di astio. E non finisce certamente qui; poiché altri corvi, nei giorni successivi, finiscono per unirsi alla festa. Essi non hanno mai visto, in prima persona, la scena del defunto portato dinnanzi ai loro occhi. Eppure, seguono la convenzione del gruppo, il che in altri termini, significa che hanno assunto delle informazioni di seconda mano, imparando anche loro a temere la maschera in lattice dell’inquietante Mietitrice. Nient’altro che un ulteriore vantaggio di una struttura sociale complessa, per di più coadiuvata dalla capacità cranica di un piccolo genio, nel mondo spesso sottovalutato degli uccelli.

Per entrare quindi nel merito di cosa, effettivamente, possa risolvere questo studio, possiamo cominciare dalla ragione lungamente sospettata. Del perché i corvi, tra tutti gli uccelli, siano quelli più pronti a ignorare gli spaventapasseri. Quale grado di convincimento pensate che possa sviluppare, un mero fantoccio di paglia e vestiti vecchi, per un animale che non solo riconosce le persone, ma riesce a farlo dai semplici lineamenti del volto… Il che potrebbe permetterci, in futuro, di creare strumenti più efficaci al fine di tenere questi cupi visitatori lontani dai nostri campi, evitando così di passare all’uso deleterio del fucile a pallini o la fionda. E che volete che vi dica, alla fine? Convivere con gli animali non è sempre facile, in modo particolare quando costoro sembrano comprendere a fondo il funzionamento del rapporto causa ed effetto, senza tuttavia avere il benché minimo concetto di proprietà privata. Sarebbe facile, dunque, criticare dal punto di vista etico chi è pronto a ingannarli con scopo di studio, prendersi gioco delle loro percezioni ed idee. D’altra parte sarebbe difficile dubitare del fatto che il corvo, quando si mette sul davanzale della finestra ed inizia a chiamarci, stia facendo esattamente lo stesso con noi.
L’aveva già capito l’autore americano Edgar Allan Poe: il responso neuronale di uno stato d’incipiente terrore, talvolta, può permettere di raggiungere uno stato di consapevolezza più elevato. Che noi lo vogliamo, oppure no. E ciò è vero per l’uomo nella stanza che piange la morte inutile della sua amata, come per il leggiadro produttore di fruscii alati, con il suo insistente, ripetitivo “Mai più!” Piacere? Dispiacere? Simili umane considerazioni non devono necessariamente far parte dell’equazione. I corvi a dire il vero Esistono, per assolutamente nessun Motivo. Lo stesso, del resto, potrebbe essere detto di noi.