La fabbrica di Leviatani e la città nel cielo di Nantes

Un grande ramo in rigido acciaio, rivestito dalle piante provenienti dai quattro angoli del mondo, emerge dai cespugli sulle rive della Loira, mentre il fiume scorre come sempre presso la sua ombra, nonostante le premesse. Indisturbato dal frullar d’ali dell’airone tecnologico appeso al soffitto, con due ceste ed altrettanti passeggeri, che perlustra lentamente i cieli di un domani che assomiglia stranamente al passato. E così pure dallo stuolo di formiche robotiche, cavallette e bruchi geometridi zampettanti sopra il suolo dei Chantiers navals, le antiche officine marittime di questi luoghi. Altrettanto facilmente queste acque si spalancano, per accogliere il ruotare della giostra degli Oceani, con tre livelli: fondale, abissi e superficie, costellati di fantastici veicoli adatti agli scienziati ed i bambini di ogni età. Siamo presso un Luna Park, sarà il caso di ammetterlo. Se così vogliamo chiamarlo. Ma non fatevi portare fuori strada: questa è anche una fabbrica, fondata per dar forma al grande sogno di un eterno Titano. La più alta, ed incredibile, struttura vivente mai creata. Un “albero” largo 50 metri ed alto 30, destinato ad essere abitato da aquile, bruchi e altri insetti artificiali. Come il mitico Yggdrasill, destinato a raccogliere le meraviglie e gli alti edifici del cosmo. Mentre le officine sottostanti, laboriosamente, continuano la loro opera creativa. Finché un giorno, la grande creatura si risveglierà di nuovo?
Lo teme ogni essere più altero; egli e il re su tutte le bestie più superbe. Ha molti nomi ed altrettante forme: Tiamat, resta indubbiamente il più antico. Divinità Primordiale dei babilonesi, con elementi del serpente, del drago, del leone, del bue e del serpente marino. Per gli egiziani era Sobek, il grande Coccodrillo, distruttore e al tempo stesso protettore dell’umanità. Culture di epoche meno pacifiche ne diedero interpretazioni ancora più brutali e animalistiche: come Fenrir, il lupo norreno che divorerà Odino nell’ultimo dei giorni, per poi essere ucciso da suo figlio Vidarr. Così recita l’ultima e la più cruciale delle profezie. Talune usanze mutano con il succedersi dei Re. Ma il succo, fondamentalmente, resta sempre quello. Così Moby Dick nella famosa narrazione del suo antagonista ossessionato, come il grande ragno che comparve al centro della città di Liverpool nel dì istituzionale della cultura, nel 2009, per affrontare ed annientare il sentimento dell’indifferenza. Chi avrebbe mai potuto riuscire nell’impresa? Di voltar lo guardo per passare ad altro, intendo, e proseguire nei propri vagabondaggi mondani, mentre il mostro meccanico alto 15 metri incedeva con maestà ed ingegno nella zona derelitta dietro Concourse House, per poi percorrere Water Street fino al nucleo indifeso della comunità. Fu una memorabile occasione. Fu un incontro della gente, ed anche un’epica battaglia, culminante con uno scambio di colpi tra potenti razzi e fuochi d’artificio nella speranza vana di bloccare l’avanzata delle 8 mostruose zampe. Ma soprattutto, costituì il debutto come direttore artistico autonomo di François Delarozière, già impiegato dal gruppo teatrale di Royal De Luxe per la creazione di alcune giganteggianti marionette usate in spettacoli in giro per il mondo. Quali l’elefante del Sultano che viaggiava nel tempo, il gigante, la giraffa e il rinoceronte perduto… Periodicamente apparsi, con un successo senza pari, nelle principali città di Francia, Inghilterra, Belgio, Germania… Perché viaggiare, ovviamente, aiuta l’arte. Viene tuttavia un momento, nella vita di ogni grande personaggio, in cui mettere radici diviene la scelta più proficua. Vedi Superman con la Fortezza della Solitudine tra i ghiacci, o Batman nella sua caverna. E per l’artista e performer originario di Marsiglia, un tale luogo non poteva che essere che la città di Nantes, antico porto nella Bretagna Storica, non troppo distante dalla celebre sequela dei castelli della Loira, patrimonio dell’umanità.
E tutto questo a coronamento di un lungo percorso, iniziato verso la metà degli anni ’80 grazie all’opera del sindaco socialista Jean-Marc Ayrault, rimasto in carica addirittura fino al 2012, che per primo ebbe l’idea di fornire una nuova patina alla città, improntata alla cultura con una serie di concerti ed installazioni museali, quasi tutte rigorosamente ad accesso gratuito. Un terreno fertile, questo, per organizzazioni come quella della troupe fondata su modello della Royal De Luxe da Delarozière, con il nome di La Machine. Ma la città nativa di Jules Verne, in ultima analisi, non poteva accontentarsi unicamente di ospitare uno spettacolo ogni tanto. Fu così fornita ai loro beniamini carta bianca, ed un grande spazio sulla zona inter-fluviale della città, una sorta di isola Tiberina lungo il corso della Loira. Il risultato avrebbe cambiato, prima o poi, le sorti dell’intero contesto urbano…

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La confraternita dei tre violini semoventi

New York, New York. Non cambia mai. Così adesso, come nella calda, calda estate del 1912, con la gente che si aggira per le strade e il fronte del porto sull’East River, sovrastata dalle insegne variopinte di un migliaio di diverse professioni, tanto chiare se prese singolarmente quanto a pronte a mischiarsi in un costante flusso d’informazioni, che s’intreccia e si disperde tra la sottile nebbia del mattino.  Uno strillone dal cappello messo di traverso, poco più che un ragazzino con un mazzo di giornali sottobraccio, che grida in corrispondenza di un incrocio: “Udite, udite: il Comitato per il Latte Infantile ha istituito un nuovo giro di lezioni alle future madri della città. Udite, udite: continua lo sciopero dei musicanti, presso L’Hudson Theatre della 44° strada, nota con il nome di Broadway” Tutti corrono, a nessuno importa. Sono ben pochi gli estimatori della BUONA musica, tra la gente più comune di New York. Come il piccione che sorvola questa scena, all’improvviso attratto da un bisogno improvviso di trovare un senso alla sua vita. Con un grido, un fischio e una capriola, il grigio uccello vira sopra il fiume, ad inoltrarsi nel grandioso canyon del Manhattanhenge. La luce sfolgorante di finestre incapsulate tra il cemento, il suono fastidioso dei cavalli che nitriscono, portando innanzi i carri sovraccaricati dagli umani. Quando a un tratto, c’è il silenzio per un solo attimo, l’aria che converge in mezzo a un capannello di persone. Con un frullar d’ali, l’uccello posa le sue zampe sopra il busto di un gargoyle, posizionato in cima al portone di un’abitazione privata. “Li conosco tutti quanti, turrr, turr” Sussurra tra se e se. C’è il Wurlitzer supremo, con la sua giganteggiante tuba, l’industriale proveniente dall’Europa che si era fatto strada nell’industria della produzione in serie di pianoforti, manuali e meccanici, diventando in pochi anni uno degli uomini più ricchi, e famosi, degli interi Stati Uniti. C’è anche Ernst Böcker, suo connazionale e fornitore, commerciante dalle molte connessioni e conoscenze. E un seguito notevole di uomini d’affari, melofili, semplici curiosi che passavano di lì. Ci sono poi il primo violino, il clarinettista, il flauto traverso, il trombonista, il timpano, l’addetto al contrabbasso… La New York Orchestra al completo, che tutto pare intenzionata a fare, tranne esprimersi nel loro tipico operare. “Più benefici!” Grida qualcuno: “Vogliamo uno stipendio che tenga conto dell’esperienza di servizio!” Fa eco il suo collega. Con un’alzata di spalle, Böcker fa un cenno ai suoi stimati pari, scambia due parole con la controparte. Un brivido sembra percorrere la folla, e i più degni della congrega fanno il loro ingresso in queste auguste sale della musica in profondo divenire. Fa caldo, pensa il piccione: “Se soltanto potessi mettermi i vestiti, le scarpe ed il cappello.” Perché lui sa bene, cosa sta per accadere. Ma non l’ha mai VISTA. Questa cosa straordinaria, verificatosi già ieri e l’altro ieri: gli scioperanti si guardano attorno, con espressione smarrita. Gli slogan cessano per un solo, importantissimo minuto. Ed è a quel punto, che succede un qualche cosa d’impossibile, impossibilmente atteso! Le note di An der schönen blauen Donau, il riconoscibile Danubio Blu di Strauss, dirompenti dal portone intenzionalmente lasciato socchiuso del teatro, mentre una sola parola pare riecheggiare tra i presenti: “Chi, chi, chi?” (Ha tradito il nostro sciopero) “Chi è stato?” Per due giorni, i meno moderati hanno aspettato fino a tarda sera, per tendere un’imboscata al gruppo dei dannati traditori. Almeno tre violinisti. Ed un pianista. “Ma costoro sbagliano, turr.” Esclamò l’uccello della musica. “La giusta domanda da porsi, sarebbe stata, che cosa?”
Certo, dal punto di vista di molti di loro, la questione deve essergli apparsa come un bel mistero. A quel punto del ‘900, il più avanzato tipo di musica registrata e riproducibile esistente sul mercato  era il fonografo creato direttamente a partire dal progetto originario dello scienziato nazionale Thomas Edison, in grado d’immagazzinare una composizione incidendo dei precisi solchi in un cilindro di cera, per poi riprodurla tramite le vibrazioni del suo ago amplificato. Ma persino il più grande e potente di questi arnesi, dalla sua tuba d’ottone, non avrebbe potuto di certo riempire un salone da ballo col suo suono. Men che mai il più celebre, e grandioso, dei teatri di New York. No di certo. Quel che fece tanto parlare di se, in quei mesi sul finire dell’epoca classica, prima che la guerra spazzasse via tutto per rimpiazzarlo con la nuova epoca del Jazz, era un qualcosa di molto diverso e per certi versi infinitamente più antico. Eppure, cento, mille volte più sofisticato: si trattava della v, Model B, creata nelle grandi fabbriche di Hupfeld, nella città d’oltreoceano di Lipsia, sobborgo Böhlitz-Ehrenberg. Un mobile… Se vogliamo, di legno pregiato. Costruito secondo i crismi dei migliori artigiani mitteleuropei, speciale tuttavia, soprattutto in funzione di quello che c’era dentro. Avete presente lo stile molto di moda del concetto aleatorio di Steampunk? Quella ribellione alle ragioni della storia e della tecnica, che ama mischiare l’estetica dell’Era Vittoriana con strani marchingegni, ingranaggi interconnessi, anticipi meccanici al concetto di computer… Ecco, simili creazioni, in effetti, sono esistite. Nei laboratori di scienziati, nel segreto delle nazioni, lontano dal pubblico e dall’attenzione degli eventi. Tutte, tranne che in un caso. E ce l’avete davanti, signori miei. Si stima che tra il 1908 e la metà degli anni ’20, l’azienda tedesca fondata da Ludwig Hupfeld abbia prodotto almeno 1.000 esemplari, suddivisi in tre modelli, del suo singolo prodotto più costoso, ed almeno visto in proporzione, di maggior successo. Certo, un costosissimo dispositivo meccanico alto due metri, in grado di suonare tre violini contemporaneamente e per buona misura, il pianoforte incorporato, non aveva la stessa facilità di vendita e diffusione della Phonola, un semplice pianoforte meccanico che potremmo accomunare, da ricercatori delle immagini moderne, a quello che si vede nella sigla della serie Westworld. Eppure, in quegli anni memorabili, non c’era un singolo hotel di lusso, ristorante di fama, pista da ballo, persino vaporetto da crociera per signore d’alto bordo, che potesse fare a meno dell’incredibile orchestra automatica proveniente da Oltreoceano, un apparato che iniziò ad essere noto con il nome convenzionale di orchestrion. A questo ci pensò lo stesso Böcker, che in breve tempo, sarebbe diventato il principale importatore a mezzo nave di cotanta meraviglia della tecnica, così tanto tedesca per definizione.

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La lega dei più straordinari spadaccini di YouTube

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L’abbiamo sempre fatto, tu ed io. Questa cosa d’incontrarci sui sentieri della vita e dimostrare chi è il più forte, per rivivere le grandi sfide del passato, vestendoci di luce e del tessuto della cappa degli eroi: Ulisse alle Termopili, Achille a Gaugamela. Cesare tra i colli di Agincourt. E Zorro che si lancia all’arrembaggio, scavalcando la murata del galeone del pirata Barbanera sulla Senna, mentre il carcere della Bastiglia trema per le rimbombanti cannonate all’uranio impoverito. Non più bambini, quindi, siamo diventati più sofisticati. Lasciato il ramo cruciforme, o quel righello piatto come una katana, le nostre spade sono diventate più sottili e immaginarie, eppure nondimeno, terribili e taglienti. Come raggi laser. Parole che trafiggono, pensieri che separano, gesti appartenenti al lato oscuro della Forza e della Luna. “Non guardare alle apparenze: quella è una stazione spaziale, giovane Skywalker…” Così come la gente, specie se si guarda più lontano dei propri confini quotidiani, che non è tutta fatta nello stesso modo. Al punto che qualcuno, crescendo, quella scherma che era un gioco ha poi deciso di studiarla. E approfondirla, finché non si è trovato… Ecco a voi la scena: uno scarno corridoio del castello di Kurovice in Moravia, struttura fortificata risalente al XV secolo che è sostanzialmente un grosso cubo, un tempo appartenuto alla nobile famiglia dei Vrchlabsky, prima che venisse trasformato in un museo. Il che non significa, del resto, che i giorni della guerra siano terminati. Mentre il suono del cozzare viscerale, sferragliante e indubbiamente fastidioso, ancora si ode a rimbalzare tra i pilastri degli ambienti privi di riscaldamento. A mostrarcelo, nel nostro caso, ci pensa la semplice telecamera, coadiuvata da un montaggio rapido e più instabile di un film di Jason Bourne, secondo i dettami di un metodo registico molto “contemporaneo” e “appassionante”. Ma se tutto questo fosse vero, e se noi fossimo delle mosche di passaggio, quello che i nostri occhi vedrebbero sarebbe l’ora di un confronto al primo e ultimo sangue (alfa ed omega, la perdizione) tra due uomini determinati a fare fuori l’aspro rivale. Le circostanze non lasciano alcun dubbio: siamo dinnanzi al rituale del duello, un confronto per difendere il prestigio dei propri nomi. Benché portato avanti, guarda caso, da due membri dell’associazione della Repubblica Ceca Adorea Olomouc, dedita alla pratica delle HEMA (Historical European martial arts) e rinomata su Internet per la proposta di un canale video le cui coreografie di combattimento rivaleggiano col meglio del cinema internazionale.
Lo scenario, di per se, risulta già piuttosto insolito. Perché non si è forse mai verificato, nella storia di simili prassi sanguinarie, che due contendenti si siano affrontati in assoluta solitudine, impugnando armi sovradimensionate come una longsword. La famosa spada “da una mano e mezza” o come usavano chiamarla già in quell’era, lama bastarda, perché concepita per usi multipli e sostanzialmente diseguali. Vuoi disarcionare un nemico a cavallo? Perfetto, vibra il colpo alla sua massima estensione, come se stessi usando lo strumento di una falce. Occorre perforare un’armatura? Niente di più semplice, basta posizionare la seconda mano sul ricasso (parte non tagliente della lama) e trasformare il simbolo del proprio onore in una volgare picca, sulla cui efficacia ben pochi oserebbero sollevare dei dubbi. Ma se c’è l’improvvisa necessità, più o meno oggettiva, di far fuori un avversario in abiti civili, ecco, non è che manchino strumenti più efficaci. Proprio per questo, a partire dal XVII secolo, nacque la spada all’italiana o striscia, che gli anglofoni chiamano rapier, concepita per saettare rapida verso i punti vitali di un qualsivoglia corpo umano. Difficilmente, con un attrezzo ponderoso come quello usato dai due figuranti della presente scena, si sarebbe potuto raggiungere un simile grado d’efficienza. Ma prima di allora, tutto era possibile. Anche che due soldati mercenari dell’Europa Centrale, magari dei lanzichenecchi innamorati della stessa donna, si sfidassero impiegando lo strumento con cui avevano maggiore familiarità. Senza ricorrere al vestito corazzato, perché ciò non tollerava il senso di una simile tenzone, ma soltanto ben vestiti per andare all’aldilà. Con tanto di vistosa braghetta per tenere in vista i gioielli genitali nel caso del guerriero in pantaloni verdi, ma soltanto (?) perché ciò esigeva la moda dell’epoca. Cosa non si farebbe, per apparire storicamente corretti…

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Ultimo atto: i sedili spariscono sotto il teatro

Laura Turner Concert Hall

Occorre spezzare una lancia a favore delle soluzioni multi-uso: perché quando mai è stato meglio disporre di uno spazio architettonico facente le funzioni di supermercato, un altro con la farmacia dentro, ed un terzo in cui ci sono il ristorante col bar… Rispetto ad un singolo edificio in cui c’è tutto questo e molte altre cose, parallelamente ben disposte lungo l’ampia galleria del centro commerciale! Mentre invece, in una grande capitale europea che possa dirsi davvero “culturalmente elevata”, da sempre coesistono il teatro dell’opera, l’auditorium, la sala da concerti, il centro conferenze… Laddove all’altro capo dell’Atlantico, tra gli orsi bruni e le aquile di mare, il cittadino americano ben conosce quell’approccio estremamente pratico, che consiste nell’adottare la soluzione omni-comprensiva del PAC, alias: Performing Arts Center. Un significativo passo avanti nell’unione tra convenienza e funzionalità, bellezza estetica e portata delle soluzioni tecnologiche nello specifico campo architettonico fin qui delineato. Prendi per esempio, lo Schermerhorn Symphony Center, vistoso edificio neoclassico nel quartiere SoBro di Nashville, finanziato e correntemente impiegato dall’orchestra sinfonica della città. Con una sala per le lezioni di musica o l’ascolto di musica da camera (170 posti a sedere) uno spazio per le presentazioni aziendali (fino a 60 partecipanti) un piano bar (120 seduti/225 in piedi) il grande lobby fronte giardino (200) la sala club (80) un grande salotto per i ricevimenti privati (55) e sopratutto la vasta Sala da Concerto “Laura Turner” con soffitti alti 12 metri, otto candelieri monumentali, pavimenti pregiati e l’organo da 3.568 canne appositamente progettato dalla Schoenstein & Co. di San Francisco, fatto per scomparire dietro un’elegante pannellatura in tutti i casi in cui non dovesse rendersi necessario. Perché di volta in volta, le fino a 1860 persone che possono prendere posto nell’augusta sala, potranno averlo fatto, nella maggior parte dei casi, con una di tre diverse finalità: A- Ascoltare un concerto di musica classica B- Fare lo stesso con un evento jazz, traditional pop o contemporaneo C- Assistere ad una rappresentazione in stile cabaret o un balletto. Diverse modalità che prevedono, a seconda dei casi, una configurazione dell’ambiente radicalmente diversa, con i sedili che giungono fino a ridosso nel palco nel caso A, mentre lasciano un più ampio respiro se si tratta di una situazione di tipo B, e nel caso della C addirittura spariscono fino quasi a ridosso delle balconate, riducendo gli spazi disponibili al pubblico ma aumentando esponenzialmente quelli per chi dovrà esibirsi. Ora naturalmente, un simile approccio non è totalmente nuovo nel mondo dei teatri e degli auditorium; benché si trovi raramente applicato ad una simile scala di dimensioni. E la ragione è presto detta: riconvertire un’ambiente per simili finalità notevolmente differenti, comporta inevitabilmente lo spostamento fisico di un ampio numero di posti a sedere, che dovranno essere ogni volta disposti in maniera perfettamente equidistante e per di più, secondo le leggi antincendio statunitensi, legati saldamente tra di loro, onde evitare il capovolgimento in caso di fuga precipitosa degli occupanti. Inoltre, problema non da poco, le sedie spostabili a mano sono per loro natura più leggere e dunque meno confortevoli, perché prive di una significativa imbottitura. Difficile negarlo: c’è un ottima ragione se ad oggi ben pochi PAC dimostrano la versatilità dello Schermerhorn. Benché il loro numero, ritengo, sia destinato ad aumentare nei prossimi anni.
Ragione di una simile affermazione? Avrete di certo già guardato il video soprastante, apprezzando l’impiego di questa particolare tecnologia. Il patinato quartier generale dell’orchestra di Nashville dispone infatti, fin dalla sua inaugurazione avvenuta nel 2003, di un fenomenale sistema motorizzato installato dall’azienda canadese Gala Systems, il cui motto “Trasformiamo la vostra visione in realtà” trova riconferma pressoché quotidiana, nell’effettivo funzionamento del particolare sistema brevettato dal nome di Spiralift. Il più compatto sollevatore con motore elettrico in proporzione alla sua potenza, che trova larga applicazione nel campo teatrale per ogni sorta di apparecchiatura o diavoleria, tra cui piattaforme mobili, macchine scenografiche, podi auto-sollevanti ed ovviamente, lo spostamento meccanizzato dei sedili che permette alla stessa sala di fornire gli spazi, a neanche un’ora di distanza, per eventi dalle esigenze di spazio radicalmente diverse. Le possibilità sono letteralmente infinite…

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