Il dedalo dei topi che resistono alla vecchiaia

Trentuno milioni e mezzo di anni fa, l’antenato comune di tutti i roditori dell’Africa subsahariana viveva tra le erbose pianure grossomodo corrispondenti alle odierne nazioni di Kenya, Somalia ed Etiopia. Era un’esistenza massimamente esposta all’insorgere d’imprevisti e che per questo, tutti concordavano avesse parecchi lati negativi. In primo luogo, predatori di tutte le dimensioni amavano pasteggiare con questi pacifici masticatori d’insetti e materiali per lo più vegetali, facendone il più delle volte un singolo boccone. C’era poi il problema dei mesi estivi, durante i quali il sole batteva con una furia implacabile, cuocendo letteralmente i piccoli esseri all’interno del loro pelo. Una particolare tribù di questa famiglia iniziò, dunque, a diventare progressivamente sempre più glabra, una generazione dopo l’altra. La loro delicata pelle rosata, tuttavia, tendeva adesso ad ustionarsi, costringendoli a prendere una scelta difficile. Essi iniziarono, qualche millennio dopo, a vivere sottoterra. Senza più luce sufficiente a guardarsi attorno, i loro occhi si atrofizzarono, diventando piccolissimi. Anche le loro orecchie persero d’efficienza. Ma sul corpo comparvero, grazie a una proficua mutazione, una certa quantità di lunghe vibrisse, in grado di percepire in maniera tattile le pareti di un tunnel. Per scavare i quali, incredibilmente, i loro denti incisivi iniziarono a crescere in senso diagonale, completamente fuori dalla bocca. Di certo se l’evoluzione fosse un processo che funziona un poco alla volta, sperimentando prima l’effetto di un singolo tratto, quindi modificandone un altro in sequenza, l’Heterocephalus glaber o ratto-talpa africano sarebbe un prodotto del più remoto futuro. A tal punto esso è diverso, in ogni suo singolo aspetto, dai suoi parenti superstiti di questa Terra. Ma la realtà è che più estremo ed insolito è l’ambiente in cui una creatura si ritrova a vivere, maggiormente questo modificherà l’aspetto e le caratteristiche dei suoi figli. E dei figli dei suoi figli… Attraverso un susseguirsi di generazioni, meno, tuttavia, di quanto si potrebbe essere portati a pensare.
Immaginate un essere umano che vive 600 anni. Un remoto erede del biblico Matusalemme, per cui non soltanto le malattie non hanno nessun significato, ma la rigenerazione continua del DNA cellulare si è svolta con una tale efficienza, che il suo corpo è rimasto perfettamente efficiente fino all’ultimo giorno di vita. E con questo non intendo, che ci vedeva ancora bene o riusciva a camminare senza assistenza, ma che avrebbe potuto correre il Giro d’Italia e di Francia o una qualsiasi maratona, con prestazioni comparabili o persino superiori a quelle di un giovane nel fiore degli anni. Come avviene per i piccoli animali, la cui esistenza in cattività è stata dimostrata fino all’età di 35 anni, che vivono fino a 7 volte tanto il roditore medio, grazie a una serie di processi biologici del tutto unici, nel mondo dei mammiferi o altrove. Secondo alcune teorie tra l’altro, in assenza d’incidenti e con una documentazione più antica, si potrebbe arrivare a dimostrare una longevità potenziale di anche due, o tre volte superiore. Ora capirete perché lo studio di questo bizzarro essere, che nonostante il nome non è un ratto e neppure una talpa, ha occupato una percentuale sensibile delle carriere di molti studiosi del processo d’invecchiamento umano. Rintanato nelle sue gallerie segrete, in affollate colonie di fino a 300 esemplari (ma circa 60-70 in media) l’Heterocephalus ha raggiunto una sorta di stato di grazia, una condizione verso la quale, per quanto ne sappiamo, la biologia non ha alcun interesse ad aspirare. In quale maniera, infatti, una sopravvivenza più prolungata dei singoli individui dovrebbe assistere la sopravvivenza di una specie? Questa è una domanda a cui la logica offre più risposte, a dire il vero, degli studi statistici o la scienza applicata. La realtà dei fatti, tuttavia, è sotto gli occhi di tutti. E c’è anche un’altra dote speciale, nel carnet di costoro, di cui vorremmo impadronirci il prima possibile: l’abilità di resistere all’insorgere di qualsiasi tipo di tumore. Ma un simile approccio alla questione, forse, può trarre in inganno: il ratto-talpa non può guarire dal cancro. Molto più semplicemente, il suo organismo non ha la “capacità” di svilupparlo. Qualcuno potrebbe affermare che alle origini della sua esistenza, gli sia riuscito in qualche modo a sfuggire a una grande maledizione…

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Il viaggio della telecamera gettata in un pozzo

Costruire una casa ad emissioni ridotte, che si curi fino in fondo del benessere dell’ambiente nella zona di Upstate Newyork, è già un’attività sufficientemente piena d’incertezze. Che cosa fareste, voi, se la compagnia contattata per procurarvi la più importante delle risorse, vi segnalasse che sotto di voi si trovano delle “caverne”? Compagnia di trivellazione, tanto per essere chiari, contattata per scavare un’apertura verticale per la profondità sufficiente ad avere un buon flusso d’acqua. Salvo riportare, dopo la determinante giornata di lavoro,  sul rapporto operativo la dicitura CAVES AT 110 FEET (esattamente 33 metri). Quando questo è successo Bethyalamode, titolare del blog The Methany Green House e canale YouTube annesso, la sua esitazione non è continuata per lungo tempo. Egli desiderava vedere coi propri occhi la verità e se possibile, riuscire a farlo nel minor tempo possibile. Fortuna che, visto il suo interesse per la divulgazione sul Web dell’intero progetto edilizio, si era recentemente dotato di una telecamerina portatile GoPro, del tipo fornito già di puntuale impermeabilizzazione fino alle medie profondità. Così col supporto dei suoi familiari e in modo particolare del padre, ha ben presto prodotto il sistema esplorativo da loro denominato “Baby Jessica”, costituito da una lunga e solida corda al cui termine si trovavano un peso per l’affondamento, una bottiglia di plastica per la stabilizzazione, due torce luminose ed un aggancio sicuro per lo strumento digitale in grado di testimoniare l’intera faccenda. Non è fantastica, l’epoca in cui viviamo? Un tempo, per poter scoprire ciò che si trova in fondo ad un pozzo di trivellazione, sarebbe stato necessario disporre di sistemi radiocomandati dal prezzo mostruosamente importante. Piuttosto che rischiare, al massimo, qualche centinaio di dollari se tutto fosse andato per il peggio. Ma udite, udite, così non fu. E guardate qui, se volete, l’affascinante risultato finale.
Un pozzo creato secondo l’approccio costruttivo più diffuso negli Stati Uniti per uso domestico prevede, generalmente, un’apertura verticale in corrispondenza della superficie non più larga di 10 pollici (25 cm) per la semplice interpretazione che vede una tale entità come nient’altro che un tubo, creato per prelevare l’acqua direttamente dalla falda acquifera sottostante. Nel momento in cui si rende necessario disporne, per la mancanza dell’acqua corrente nella zona in cui si sta creando casa, viene occasionalmente chiamato il rabdomante, un mistico cercatore che attraverso la predisposizione innata, e uno o più bastoncini a forma di lettera dell’alfabeto (“Y” ed “L” sono le più diffuse), si orienta verso il punto in cui si ritiene presente la maggior quantità del fondamentale fluido trasparente che crea la vita. Il che è indicativo di come, in effetti, una differenza di pochi metri nel punto di scavo possa cambiare completamente la velocità di ripristino, tramite la falda acquifera, di quanto verrà consumato lavandosi le mani o facendo la doccia. O perché no, bevendo dopo un filtraggio quel soave prodotto delle più profonde viscere della Terra. Passaggio fondamentale, quest’ultimo, come esemplificato dai primi secondi del video, in cui si vede Baby Jessica procedere oltre la parte incapsulata più prossima alla superficie, con involucro di plastica e strato esterno di bentonite (un tipo di cemento del Montana) fino alla più immediata superficie dell’acqua, visibilmente disseminata da una certa quantità di scorie marroni semi-galleggianti. Nient’altro che ossido di ferro, creato come effetto collaterale dall’esistenza di batteri come la siderocapsa e la gallionella. Qualcosa d’inaspettato nell’acqua ritenuta potabile, benché si tratti effettivamente di creature non nocive nell’organismo umano, benché una proliferazione eccessiva possa creare significativi problemi, come l’intasamento dei tubi e la compromissione del buon sapore dell’acqua. Ciò detto, le compagnie di trivellazione raramente si preoccupano di un problema che si presenterà soltanto ad anni di distanza, per lo più offrendo l’opportunità di effettuare un costoso intervento risolutivo (generalmente, tramite l’impiego di generose quantità di cloro.)
Oltre questo spazio per lo più nebuloso, in cui è impossibile scrutare con efficacia verso le oscure profondità, quindi, la telecamera procede nel suo viaggio all’interno di un mondo letteralmente sconosciuto.

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Gara in Slovacchia per lo scava-tombe più veloce dell’Est Europa

La cosa più strana in assoluto, tra Cielo e Terra, è che si parli di un concetto che risponde all’appellativo di “mondo dello spettacolo” quando è totalmente palese, per chi ha tempo di farci che caso, che non c’è nulla, a questo mondo, che non costituisca spettacolo di qualche tipo. La gioia della nascita, la consapevolezza del matrimonio. La cupa realizzazione del funerale. Chi siamo, che cosa vogliamo, che cosa importa? Dove andiamo lo sappiamo fin troppo bene. Ma questo non significa che il nostro destino sia fare a meno delle piccole soddisfazioni della vita. E la morte. Come una coppa d’oro (o dorata) su chi è più bravo a mandare altrove, coloro che ci hanno lasciato. Il che significa nel mondo moderno, sempre più spesso, rispondere alle esigenze di un’orientalistica cremazione….Eppure non sempre. C’è ancora chi adesso, come da tempo immemore, brama discendere nella profondità della tomba, affinché il suo decesso vada a corroborare un luogo dove i parenti in lacrime (si presume) portino fiori e copiose lacrime del ricordo. Almeno per un’altra mezza generazione o due. Il che necessita, intrinsecamente, di un certo dispendio d’energia. Pura analisi meccanica della questione: se sei vissuto in superficie, ma vuoi trasferire le tue spoglie da trapassato al di sotto di tale membrana fisicamente impenetrabile, sarà necessario s-postare, al minimo, una quantità di terra equivalente alla tua massa corporea. Aggiungiamo all’equazione lo spazio occupato dalla magnifica cassa in mogano, oltre al margine necessario affinché la prima pioggia intensa, a sorpresa, porti quei resti all’affioramento, e sarà facile rendersi conto di come il mestiere del becchino/sagrestano/custode di cimitero preveda, talvolta, uno sforzo fisico non del tutto indifferente. A meno di voler impiegare una ruspa ma si sa, simili macchine costano, ingombrano, fanno rumore. Non propriamente qualità ricercate in un luogo di contemplazione tra gli alti cipressi che puntano verso l’infinito. Ciò che occorre fare dunque, è pur sempre quello: rimboccarsi le maniche, stringere i denti (se sono presenti) e scavare. A una profondità di due metri almeno, per una larghezza di 70 cm e un’altezza ovviamente variabile, a seconda di chi sta lasciando quest’esistenza terrena. Sapete quanto tempo occorre, normalmente, per portare a termine una simile impresa? Fino a sei ore, benché il cimitero di Green-Wood a Brooklyn, notoriamente, richieda ai suoi impiegati di dimostrarsi capaci di farcela in un massimo di quattro. Ma adesso sentite qual’è il record del mondo conclamato su Internet, stabilito con grande fanfara mediatica lo scorso anno di questi tempi? Appena 54 minuti. Una tale differenza, nata dall’allenamento costante e una certe verve di competizione, può lasciar intendere solamente un fattore: qualcuno, da qualche parte, ne ha fatto uno sport.
E quel qualcuno è Ladislav Striz, proprietario di un’azienda di pompe funebri della città industriale di Trenčín, sita non troppo distante dal confine della Slovacchia con la Repubblica Ceca. Un luogo generalmente privo di grandi eventi, a giudicare dalla sua assenza dalle cronache internazionali, tranne che per un singolo evento biennale: lo Slovak Funeral, importante convegno per l’esposizione dei maggiori fornitori di materiali utili a rendere in qualche modo memorabile (si spera persino “un successo”) l’epoca del proprio passaggio ulteriore nell’aldilà. Occasione nella quale, l’anno scorso, il veterano del settore ha avuto un’idea: perché non richiamare qui tutti i migliori, o sedicenti tali, scavatori di fosse, per farli competere al fine di determinare, finalmente, chi fosse eternamente il migliore… Eternamente, s’intende, fino all’occasione di rimettersi in gioco l’anno successivo. Ed è così che è nata la Competizione Internazionale Scavamento Fosse (CISF?) importante olimpiade giunta quest’anno alla seconda edizione, durante la quale per qualche attimo viene accantonata la costante serietà e reverenza verso una questione gravosa come la morte, per mettersi allegramente in gioco tra squilli di trombe (un po’ anemiche) da stadio ed almeno un tocco di surrealismo un po’ kitsch: Christian, il figlio del capo, vestito nella sua migliore approssimazione del Tristo Mietitore, teschio e cassa toracica esposti per meglio rendere l’idea, accompagnato da due conturbanti girls in tenuta da vampire. Che poi cosa c’entri, in effetti, non è chiarissimo: se succhi il sangue per non morire mai, e metti la cassa nel tuo soggiorno, perché mai dovresti presenziare una gara di addetti allo scavo di tombe? I misteri continuano ad accumularsi attorno alla singolare kermesse.

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La punta della trivella che fece svanire un lago

Si trattava di una pozza d’acqua profonda appena 3 metri e della vastità di un acro, circondata da verdeggianti argini erbosi. E vista da lontano sarebbe tornata, nel giro di pochi giorni a partire dal 20 novembre 1980, esattamente la stessa cosa. Con una sola, drammatica differenza: un buco al centro profondo quasi un chilometro, destinato a costare diversi milioni di dollari a seguito della stima dei danni. Quando finalmente la pressione si fu equalizzata, e il flusso del canale artificiale, principale affluente, ritornò a scorrere nella giusta direzione, si udì un suono come un POP clamoroso. E una dopo l’altra, nove gigantesche chiatte ritornarono a galla dalle inimmaginabili profondità. Sopra alcune di esse, incredibilmente, erano ancora presenti i camion usati per trasportare via il contenuto della miniera.
Ricchezza della terra, ricchezza della tavola, tesoro dei mari. Sapevate che la Louisiana, stato nordamericano del meridione, poggia sopra un’accumulo di risorse da fare invidia al deserto del Mojave? Sostanze come il petrolio, da una parte, ma anche un altro tipo di oro, per così dire bianco, invece che nero: sale, halite, cloruro di sodio. Un oceano granulare nonché saporito, utile anche dal punto di vista logistico all’industria mineraria locale, per la produzione artificiale della brine o acqua salmastra, usata per far dissolvere ed estrarre diversi tipi di minerali. In un superficie non è affatto facile notarne la presenza: nient’altro che una lieve asperità, come una cupola che prende il nome di affioramento del diapiro, mentre come avviene nell’iceberg oceanico, il grosso della struttura si trova al di sotto dello spazio osservabile attraverso l’occhio umano. Non che questo l’abbia mai protetto, del resto, dalla nostra leggendaria cupidigia. Così esistono luoghi, come il lago di Peigneur a pochi minuti da Delcambre, dove lo stato placido delle acque è soltanto una mera illusione, mentre nel sottosuolo chilometri e chilometri di gallerie sovrapposte permettono lo scavo e l’estrazione del candido ammasso per lo più granulare. O per meglio dire permettevano, ad opera della Diamond Crystal Salt Company (oggi Cargill) che aveva ricevuto in gestione dal governo questo particolare, redditizio fazzoletto di territorio. Se non che simili operazioni finalizzate alla raccolta di utili risorse, notoriamente, sono dei pozzi proficui dai notevoli presupposti di guadagno, così che a qualcuno venne in mente che potevano esistere ulteriori presupposti di arricchimento. Poiché il diapiro, dal punto di vista geologico, trova la sua formazione da moti tettonici che causano il sommovimento del sostrato di contesto, con conseguente creazione di spazi che, molto spesso, vengono riempiti dal già citato petrolio. Così che a nessuno sarebbe venuto in mente di alzare neppure un sopracciglio, quando un’altra compagnia, la rinomata Texaco, ricevette l’appalto di una trivellazione esplorativa di un punto in prossimità del centro del lago. Sembrava che tutti, amministratori e politici inclusi, avrebbero tratto grandi ricchezze e gioia dall’intera fortunata questione. Se non che, qualcuno commise un errore.
Ci sono errori grandi che causano grandi conseguenze, ed altri più piccoli, dagli effetti facilmente trascurati. Ma la crudeltà del fato è tale che occasionalmente, basta un attimo di distrazione per causare disastri dall’impatto generazionale, lasciando cicatrici sul mondo e la società, che nessuno potrà mai sognarsi di riuscire a dimenticare. Non tanto presto, almeno. E la sfavorevole contingenza che condannò il lago Peigneur, senz’ombra di dubbio, apparteneva a questa terza classe di eventualità. Ora, ovviamente NESSUNO si sarebbe mai sognato di dare l’ordine di trivellare in corrispondenza dei tunnel sotterranei della Diamond Crystal, anche viste le conseguenze facilmente immaginabili di uno sconfinamento di pertinenze a simili profondità. Così venne fornita, ai tecnici che dovevano gestire la piattaforma, una mappa molto dettagliata e precisa di quali zone fossero assolutamente off-limits per la loro attività. Sulla quale le coordinate erano indicate tramite il sistema noto internazionalmente come UTM (Proiezione Universale Trasversa di Mercatore) invece dell’alternativa meno precisa, ma più comune, della TM (Proiezione Standard di Mercatore). Peccato che questo non fosse indicato chiaramente, né che tra i manovratori della trivella, non fosse presente alcun appassionato di geografia. Così il macchinario venne avviato ed indotto a scavare giù, giù, sempre più in profondità al di sotto dell’acqua del lago. Finché all’improvviso, il motore non si bloccò. Questo perché la punta, molte centinaia di metri più sotto, aveva colpito un deposito minerale inaspettato. La parete stessa della miniera di sale. Dopo una rapida revisione ed ottimizzazione di potenza, gli inconsapevoli addetti rimisero in moto il dispositivo. Che percorrendo l’ultimo metro rimasto, scatenò la furia infernale delle profondità.

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