L’austriaco delle porte rotanti

Klemens Torggler

Una sola pagina nera opaca, segmentata, alta giusto quanto la parete della stanza. Evolution è il suo nome: pare un gigantesco libro chiuso, il mistero sull’inizio della scena. Poi con un gesto ruota, fluttuando si ripiega, sparisce e dunque ricompare, uguale, soltanto a mezzo metro di distanza. Al suo posto resta un punto di passaggio, vuoto. Passi l’uomo nella porta, fra i triangoli. Quasi come un origami giapponese, l’ultima creazione del designer viennese Klemens Torggler muta forma e posizione, ripiegando la sua forma su se stessa. Divide le stanze e al tempo stesso le arricchisce, richiamando alla mente immagini di mondi futuribili e di altrettanto bizzarre visioni escheriane, oltre i confini della semplice normalità.
Creare spazi e definirli è il punto stesso dell’ergonomia. Ogni stanza, cubo potenziale, trova la sua effettiva configurazione dalle singole esigenze dei momenti: dormire negli angoli distanti, mangiare al centro del soggiorno illuminato… Ciascuna di queste attività quotidiane sottintende un mutamento, termodinamico o biologico, che necessariamente si rispecchia nelle molteplici geometrie dell’architettura, arte universale del bisogno abitativo. Per questo cambiando stanza ci si sposta, nel contempo, in un diverso mondo filosofico. In mezzo a tale valico, nell’epoca moderna e da altrettanto chiara tradizione, dovrà pur esserci un qualche tipo di interfaccia. Ideale quanto effettiva. Le pareti racchiudono, i pavimenti sostengono; ciò che serve ad uno scopo non può essere modificato. Con facilità. Per questo la porta, convenzionalmente, non divide, ma conduce a dei concetti. La presenza di una piccola finestra, ad altezza occhi, palesa il benvenuto a dei visitatori. Grosse serrature, paletti di metallo, scoraggiano gli intrusi malvoluti. Funzionalità prima che estetica, secondo il puro senso della chiarissima ovvietà. Tutto il resto è appannaggio dell’arredamento, il contenuto. Non è Forma. Si può cambiare il senso di una porta? Intellettualmente no, altrimenti diventerebbe una finestra. O altro. Però, ecco, nel suo funzionamento…

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Torre in domino da guinness dei primati

Austrian Domino

Erano all’incirca in centomila, dentro la semplice palestra di una scuola del comune di Yspertal, sul principio di un momento memorabile, l’oggetto di questo video travolgente. Il crollo di un palazzo gigantesco, alto ben (solo) sei metri. La svolta degna di una saga leggendaria, scolpita nella plastica e forgiata con il gioco. Perse fra le tessere, c’erano anche le aziende più famose dello stato federato della Bassa Austria, promotrici di soluzioni tecnologiche o prodotti innovativi. E poi una banca regionale, le ferrovie di stato e soprattutto patrimoni culturali, come la celebre abbazia benedettina di Melk. Ciascuna cosa ricreata, in situ, tramite l’allegoria di un qualche segno grafico multicolore. Loghi, scritte, stemmi o illustrazioni cubettose, però non particolarmente dettagliate, intendiamoci. Per un motivo presto chiaro all’occhio dell’osservatore: il mezzo scelto per crearle, fotografarle, lasciarle a durevole testimonianza dei viventi. Finché qualcuno…
Il gioco del domino, fin da quando fu inventato nell’antica Cina, si è dimostrato favorevole al riciclo concettuale. I suoi pezzi, ben più versatili di quelli degli scacchi, sono stati usati dai bambini per edificare piccole muraglie, dolmen, templi dorici e corinzi – la tentazione, soprattutto vista la forma regolare, quella compattezza, era semplicemente troppo grande. Ci si reinventava costruttori. Del resto, l’abbiamo visto succedere anche con le carte, dai mazzi a quei castelli. Ma mentre tale tipologia di attrezzi ludici, sottile per definizione, è sempre stata pronta al crollo, sia pure con un soffio, le gustose tesserine, una volta messe in piedi tendevano a restare. Finché ad un tratto…
L’energia potenziale di un simile costrutto, pronta a scatenarsi d’improvviso, andrebbe misurata in megajoule, come per l’esplodere di un barile di tritolo. Quel senso di stasi silenziosa, il protrarsi dell’attesa, con centinaia di migliaia di elementi, simili ai soldati nella tomba dell’imperatore, pronti a scatenarsi nel turbine dell’ora più tremenda. L’ultima battaglia di una lunga serie, sempre, ma mai, il termine di una carriera. Finito l’orrido scrosciare, radunati, divisi per colori, i pezzettini torneranno nelle borse, nelle scatole o persino nella mente, per lunghi giorni o mesi di tranquillità. La metropoli di tessere di questa iniziativa, splendido exploit del gruppo specializzato Austrian Domino Art, è frutto di un’attenta pianificazione. Decine di persone, con pazienza certosina, l’hanno costruita. Qualcuno ci stava ancora lavorando, quando all’improvviso…

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L’eloquente cozzare del maglio austriaco

Maglio

Fra tutti gli attrezzi di una forgia il più poderoso, impressionante e sonoramente significativo è senz’altro il maglio. Battere il ferro, dargli una forma, è un compito che può affrontarsi con diverse pretese d’efficienza. Ai primi fabbri di ciascuna civiltà, emersi dalle pagine della storia per mettere insieme aratri e strumenti agricoli di vario tipo, bastavano i muscoli, gli attrezzi manuali e un sapiente impiego del più valido fra i diversi elementi: la fiamma di Prometeo. C’era però, sempre e comunque, un limite oltre cui non era possibile andare. All’inevitabile e ripetuto scoppio di una guerra, quando il filo tagliente di un’arma poteva trasformarsi nel tesoro di un regno, e ancor di più successivamente, fra i colpi fragorosi degli archibugi e dei cannoni d’artiglieria, coloro che avevano il compito di armare i soldati dovettero sempre più spesso affrontare un gran dilemma. Quello di come ottimizzare, oltre ogni limite del possibile, la loro produttività giornaliera. Così, dopo tutto, nacque una buona parte dell’attuale tecnologia; per un bisogno di sopravvivere all’umana avidità guerriera. E chi avesse bisogno di materiali testimonianze, oltre all’odierna continuativa evidenza, può prendere atto di questi mostruosi macchinari. Ce ne sono due, dentro l’officina di Sepp Eybl, fabbro e scultore della cittadina di Ybbsitz, in Austria. Le squillanti voci dei suoi martelli automatici bastano a trasportarci, con la mente, ad epoche o mondi lontani, non dissimili da quelli mostrati nelle scene d’apertura del film Lo Hobbit, ispirato, per il tramite di J.R.R. Tolkien, alle saghe nordiche e ad altre atmosfere più moderne, musicalmente e visualmente wagneriane. Il video è stato ripreso e pubblicato da Kim Thomas di ThomasIronworks, un canale dedicato alla lavorazione dei metalli, in ogni forma e paese del mondo.

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La Fortezza telecomandata nel suo volo d’inaugurazione

RCSA

Ci sono gli aerei con radiocomando normali e poi c’è questo: un modellino in scala 1:5.6, lungo 4 metri, del più celebre bombardiere della seconda guerra mondiale, l’iconico B-17 “Flying Fortress”, quello che gli americani erano soliti definire la loro Fortezza Volante. La scena si svolge in Austria, nella piccola città di St Margarethen, sul terreno di un improvvisato e rurale aeroporto, pericolosamente circondato dai pali della luce. Se questa aquila sfolgorante, realizzata primariamente in legno di balsa e dal peso non indifferente di 85 Kg, dovesse colpire un cavo elettrico sarebbe un disastro. Fortunatamente l’unico imprevisto dell’evento è stata l’avaria di uno dei suoi quattro motori, senza particolari conseguenze sull’atterraggio. Volare in prima persona è da sempre il sogno dell’uomo, ma bisogna ammettere che anche una simile realizzazione ha un fascino non indifferente: l’entusiasmo del suo creatore Peter Pfeffer, detto “Peda”, e dei molti presenti in occasione dell’erstflug (volo d’inaugurazione) è palpabile e coinvolgente. Si tratta, infatti, del coronamento di oltre due anni di lavoro, in cui l’abilità artistica ha potuto incontrare le più avanzate competenze tecniche e ingegneristiche di un vero genio del modellismo, probabilmente con l’ulteriore, fortunata, caratteristica di avere molto tempo libero a disposizione. La scena suscita anche un diverso tipo di considerazione, ovvero la presa di coscienza di una curiosa giustapposizione di nazionalità: agli occhi dei nostri nonni, un parlante di lingua tedesca che applaude il ritorno di un bombardiere americano avrebbe fatto una certa impressione.  Persino se quest’ultimo fosse stato adeguatamente privato del suo armamento. Ci voleva un cambio di proporzioni. E poi, tutto è più piccolo in Europa: nei Jardin du Luxembourg, a Parigi, c’è una Statua della Libertà uguale a quella di New York, tranne che per il fatto di poter ospitare, al massimo, un paio di piccioni alla volta. E così è l’aereo di Pfeffer, relativamente ridotto, perfettamente funzionale. Ma con un rombo tale da fare invidia a qualsiasi volatile naturale, anche in assenza di effettive bombe o cannoni sputafuoco.

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