L’arte di disporre piante negli acquari

James Findley

Un’isola vulcanica, completa di felci giganti, rocce ricoperte da uno spesso strato di muschio e strani arbusti, quali mai se n’era visto l’eguale. E il tutto riprodotto, per il suo intrattenimento, dentro una vasca da 150 cm di lunghezza e 1800 litri di capienza. Una simpatica miniatura, secondo la metrica degli habitat completi ed autosufficienti. Ma un gigante, tra quelli artificiali fatti per venire messi sotto un tetto con le tegole spioventi. Questo è Nature’s Chaos, l’acquascape che James Findley finì di allestire dal 2011 e che da allora è stato esposto, con orgoglio certamente motivato, presso il suo negozio di settore The Green Machine, sito nella città di 61.000 abitanti di Wrexham, nel Galles settentrionale. Un settore molto ampio, il suo, che và dalla comune vasca per i pesci rossi all’idroponica, dalle grandi teche attentamente riscaldate per i pesci tropicali, alle ultime innovazioni nel campo dell’ecologia simulativa a base vegetale, tale alternativa umida, ed estremamente complessa, al puro e semplice giardinaggio di terra.
Il risultato è a dir poco accattivante. Perché a differenza di quei templi semi-selvatici della potatura sotto il sole crudo, e che la pioggia bagna con variabile insistenza, qui tutto è sottoposto all’assoluto predominio del creatore umano, persino la fauna di supporto – laddove, invece, è assai difficile che gli uccellini o i bruchi ascoltino la volontà del giardiniere. Mentre guarda, e stupisci! Piccoli pesci, come gli appartenenti al genere dei Corydoras variopinti, oppure i Falsi Neon (Paracheirodon simulans) coloro che donano l’argentovivo al fiume Orinoco, percorrono gli spazi circostanti la favolosa montagna immaginifica, mentre particolari specie di gamberetti, come spazzini naturali, si aggirano sul fondo scuro, in cerca di scorie o delle alghe indesiderate, come erbacce dentro a un tale tempio. Eppure gli abitanti semoventi non sono mai il punto principale di un vero acquascape, che dovrebbe nascere, secondo la prassi, dalla passione dell’artista per le cose che rispondono maggiormente della sua visione. Un ecosistema ben riuscito, per una simile mentalità, sarà dunque quello che richiede meno interventi successivi, riuscendo piuttosto a sopravvivere grazie alle interazioni tra le parti. Ogni pesciolino, ciascun espediente utilizzato nella disposizione, mira soprattutto a questo: l’ottenimento di un supremo ed ottimo equilibrio. Non a caso, questo campo dello scibile ha visto in Asia, e in particolare nel Giappone dello Zen, il suolo fertile, striato, presso cui maturare le sue valide messi creative.
Nulla è superfluo, tutto serve ed è anche per questo, anzi soprattutto, splendido alla vista. L’alta Eleocharis parvula, con le sue propaggini serpentiformi, crea l’effetto allusivo di un’interminabile eruzione, che và a perdersi verso la superficie dell’acqua, cangiando verso un rosso fiammeggiante. Tutto attorno, rocce affiorano, a malapena, tra i folti cespugli di Staurogyne repens, importati direttamente dal Rio Cristalino, nell’Amazzonia del sud. E sotto queste verdeggianti colonne della composizione, all’ombra di tanta conturbante clorofilla, fusti e steli, innumerevoli luogotenenti attorcigliati. L’aspetto migliore di un acquascape ben riuscito è che questo non sarà soltanto frutto della mente e del gusto umano; bensì, pure, automaticamente, l’habitat perfetto per i suoi piccoli eppur numerosi, scagliosi inquilini. Simili creazioni, in effetti, costuiscono de facto l’unica maniera artificiale di osservare la vita acquatica alle prese con il suo contesto primigenio, l’ambiente primordiale da cui provengono, in senso lato, oppure prettamente evolutivo. Una vera e propria finestra sulla natura, dunque, da disporre come niente fosse in casa propria. O nei luoghi pubblici adeguati. Che può essere piccola, media, oppure grande, molto grande, come in questo caso. Si può fare ancor più grande? Beh…

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Un tuffo nel buco del Texas

s Well

Questa storia, apparentemente priva di un senso logico, è una ragionevole approssimazione della vicenda verificatesi verso gli anni ’50 dello scorso secolo presso la ridente cittadina di Wimberley, nel Texas centro-meridionale. Un luogo estremamente verdeggiante nonostante la poco elevata latitudine, che si era sempre giovato di una fonte inesauribile di acqua potabile, sita nel letto stesso del fiume Cypress Creek. Un corso destinato a sgorgare, molto più a valle, nell’enorme Golfo del Messico, ma che non si origina soltanto dalle fonti montane site nella Waller County. Bensì dalle viscere del mondo stesso, attraverso una fonte artesiana che porta tutt’ora il nome biblico di Jacob’s Well. Nell’epoca moderna, a causa dell’eccessivo sfruttamento, la falda acquifera di Trinity si è notevolmente ridotta. All’improvviso, quell’alto geyser ha cessato di erogare un vortice verso le inaccessibili regioni del cielo. Al diradarsi della lieve nebbiolina, frutto di molecole scomposte, ciò che restava…
Immaginate di ricevere in dono, da un’entità sovrannaturale non meglio specificata, la più splendida delle piscine. Con tanto di copertura motorizzata, trampolino, scaletta, spogliatoio, sdraio ed ombrelloni. Se non avete un giardino, poco importa. Anche quello vi sarà fornito, grazie a un’imprevista eredità. Immaginate, dunque, di svegliarvi in una splendida mattina di primavera, al suono degli uccelli in festa. Per veder la luce splendida che si riflette sopra l’acqua della vostra vasta vasca, già l’invidia dell’intero vicinato; e di scoprire, con vostro estremo rammarico, che al centro dello spazio c’è un profondo foro, largo esattamente 4 metri e profondo quanto, non si sa. Questa voragine oscura, ad ogni modo, è la fonte stessa della vostra fortuna. Grazie ad essa l’acqua della piscina non è mai troppo fredda, né eccessivamente calda. Da qui sgorga, grazie a una leggera e piacevole corrente, un fluido sempre limpido e trasparente, senza nessun tipo di accumulo o ristagno. Se voi decideste di ostruire il foro, perdereste presto l’uso ideale del meraviglioso dono del destino. Cosa fare, dunque, se non limitarsi ad ignorarlo? Giorno dopo giorno, sempre rinfrescati, gioiosi e corroborati da un sincero senso del relax, andreste a letto soddisfatti della vostra situazione.
Ma poi la notte, nel dormiveglia, poco prima di lasciare il passo al senso dell’oblio, la vostra mente andrebbe in overdrive: “Ma cosa diavolo ci sarà mai, in fondo a quell’orrendo e misterioso BUCO!?” Potrebbero passare settimane. Oppure mesi, se non anni. Magari anche generazioni. Ma un giorno voi, oppure i vostri figli, nipoti o pronipoti, rabbiosi prendereste pinne, bombole ed occhiali. Per andare a perdervi nella profonda tenebra sommersa…

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Fare il bagno circondati dagli Space Invaders

Aquatop

AquaTop è l’ultimo sistema tattile basato sulla tecnologia a infrarossi del Kinect che, assieme ad un comune proiettore digitale, si propone di trasformare l’ora del bagnetto in una guerra turbolenta, da combattersi lanciando colorati dardi d’energia. È l’interessante prima invenzione del Koike Laboratory, un team di giovani ricercatori provenienti dalla University of Electro-Communications, recentemente istituito, con sede nella grande metropoli di Tokyo. Eccoli al lavoro, sopra e dentro una piccola bacinella, a colpi di manate bioluminescenti, lanciate all’indirizzo di una ferocissima papera di gomma. Videogames, fuori e dentro l’acqua! Un’idea che nasce da un sentimento molto giapponese, coniugato col moderno bisogno di essere connessi, ad ogni costo, dal primo sorgere dell’alba, fino all’inesorabile incipienza della sera. Molto più che una semplice seconda vita, un sale da bagno che profuma l’Universo. Già gli astri notturni si riflettono sui nostri schermi: cellulari, console per videogames, tablet, mini PC volanti. La loro marcia è come quella di una massa di nemici pixellosi, che insidiano la pace collettiva sottostante. Ben presto, questo prodotto estenderà, in un qualche maniera, lo spazio di una tale pervasiva virtualità, persino là, verso i confini dell’impossibile fruizione. Germogliando da quell’umile vaschetta, verso polle (umane) ben più grandi. Il mercato c’è, a volerlo ben vedere.
Estremamente frequentate in quel paese risultano essere, infatti, le stazioni termali degli onsen, al chiuso oppure all’aperto come da tradizione. Praticare quel tipo di abluzioni è considerata una parte inscidibile dall’esperienza dei ryokan, ovvero gli alberghi nazionali sullo stile di una volta, caratterizzati dalla reciproca condivisione. Non è certo tanto insolito, per un viaggiatore abituale, indossare le colorate vestaglie dette yukata, camminare a piedi nudi sulle stuoie di riso, spogliarsi e immergersi silente, fra completi sconosciuti. Ora, se qualcuno, in quei pacifici momenti, dovesse pronunciare il grido: “Attenzione, meduse all’orizzonte!” Non sarebbe poi così apprezzato dai presenti. A meno che non si stesse giocando tutti con un titanico AquaTop…

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Il motoscafo sommergibile con la forma di un delfino

Seabreacher

Non chiamateli pesci! Sono mammiferi marini, ma che dico, motoscafi…In grado di viaggiare sopra, dentro e persino sotto l’acqua. Quest’ultima impresa, sebbene soltanto per brevi tratti, sanno come compierla con stile, ad una velocità davvero sorprendente. I tre mezzi della linea Seabreacher, prodotti dalla piccola compagnia americana Innespace Productions, vengono definiti come The Ultimate Diving Machines (le macchine da immersione definitive). E forse, per una volta, non si tratta di un’esagerazione. Sono dei sommergibili biposto, notevolmente affusolati, spinti da un sistema di propulsione vettoriale che si orienta liberamente in ogni direzione, proprio come la coda di un vero abitante degli abissi. Pinne dorsali, laterali e pettorali si occupano della stabilizzazione, fornendo anche ulteriori superfici di controllo. E infatti questi pesci meccanici si guidano, piuttosto che tramite il solito, noioso timone, attraverso una coppia di vere e proprie cloche, non dissimili da quelle degli aerei. La differenza, dal punto di vista della creatività di pilotaggio, è semplicemente rivoluzionaria. Basta guardare uno qualsiasi dei molti video di presentazione, largamente disponibili su YouTube: l’imbarcazione corre, compie degli avvitamenti e s’immerge per poi saltare fuori, quasi a 90 gradi. Parrebbe di assistere a uno show acquatico delle orche di SeaWorld, se non fosse per la scia d’acqua lanciata in aria e la rapidità di spostamento, davvero innaturale. Quest’ultima può raggiungere, nel caso del modello di punta, gli 80 Km/h in emersione e i 40 sott’acqua, potendo senz’altro far la gioia di tutti coloro che coltivano la proverbiale Need For Speed, ovvero la necessità di andar sempre più veloci. A loro si rivolge Seabreacher X, la versione “squalesca” e più recente del dispositivo, dotata di 260 cavalli di potenza per appena 612 Kg di peso. Il rapporto tra i due valori, tanto vantaggioso, risulta pari o superiore a quello di una roadster sportiva purosangue, come una Porsche, Ferrari o Lamborghini. Pensateci! Per i due fratelli minori, leggermente meno estremi, l’azienda si è invece ispirata a creature meno (ingiustamente) temute e dotate di una coppia di polmoni, piuttosto che delle solite branchie: l’adorabile delfino (Seabreacher J) e la già citata orca (Seabreacher Y) rivivono nelle livree di serie, nella dimensione e nel posizionamento delle pinne per ciascun battello, benché il sito ufficiale ne mostri anche di simili ad aerei e astronavi, più o meno fantascientifiche nell’aspetto. Notevole, nel caso del modello balena-killer, è l’optional irrinunciabile dello spruzzo dorsale, attraverso cui l’animale dovrebbe regolarmente liberarsi dell’acqua entrata nel suo apparato respiratorio. L’effetto di un simile exploit coreografico, condotto di fronte a un incredulo pubblico di bagnanti, potrebbe quasi giustificare di per se l’acquisto. Occorre, tuttavia, dimostrare un certo grado di pazienza: ciascun esemplare viene prodotto su richiesta, dopo il versamento di un congruo anticipo sul prezzo complessivo.

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