C’è qualcosa, nel profondo spirito cinese, che porta le persone ad apprezzare i luoghi alti ed almeno in apparenza, precari. Come spiegare altrimenti luoghi come la montagna di Hua, dove un tragitto di assi avvitate nella parete verticale rocciosa conduce alla casa da tè più remota del mondo, oppure i molti ponti dal fondo trasparente della regione dello Hunan, dove gli antichi artisti marziali si allenavano all’interno di strutture clericali semi-nascoste dalla foschia… Attrazioni in grado di monopolizzare l’attenzione, è importante sottolinearlo, di decine di migliaia di turisti ogni anno, e non tutti appartenenti alla categoria dei giovani sportivi e in forma fisica eccellente. Ponendo un paese come questo ai massimi vertici nell’implementazione dei sistemi di sicurezza individuali, come prerogativa culturale e pratica, capace di essere adattata alle necessità di avventurieri dai 12 agli 80 anni, e l’occasionale eccezione in grado di esulare da quest’ampia contrapposizione delle due stagioni contrapposte dell’esistenza. Eppure mai, prima dell’inaugurazione di un luogo come questo, la possibilità di mettersi alla prova in un siffatto modo si era palesata in circostanze tanto accessibili e immediatamente preminenti, come il centro cittadino di un agglomerato da quasi 15 milioni di abitanti. Ciascuno dei quali, a partire da gennaio del 2021. è stato indotto quotidianamente a chiedersi se l’ipotesi dovesse in qualche modo spaventarlo, di sperimentare su se stessi l’esperienza di librarsi momentaneamente sopra i campi e i tempi della vita quotidiana, come i saggi dei grandi classici taoisti che avevano lasciato indietro il peso del corpo fisico legato alle catene della gravità terrestre. Difficile? Importante. Persino epocale. Tutto questo e molto altro è l’eventualità qui offerta, lungo il perimetro della torre paraboloide delle telecomunicazioni, a coloro che decidono o si troveranno ad affrontare il triplice tragitto denominato Landmark Alpha, iniziativa turistica creata dalla compagnia francese specializzata MND Leisure. In parole povere una sorta di sfida, suddivisa nei livelli facile, medio e difficile (o come dicono da queste parti: gold, diamond, king) dislocati tra i 198 e i 298 metri dei 604 della torre, incluso il pinnacolo svettante sopra lo skyline cittadino. Un distinguo a dire il vero meno significativo di quanto potrebbe sembrare istintivamente, quando si considera come anche un decimo di entrambe le cifre sarebbe potuto bastare a rendere letali eventuali cadute, benché l’effettiva casistica risulti assolutamente poco probabile, considerato l’alto grado di sicurezza garantito dagli istruttori in caricati di supervisionare l’esperienza, oltre all’elevata sofisticazione delle imbracature e i punti di sostegno usati per tutelare i visitatori, così solertemente disposti ad abbandonare ogni istinto implicito del senso di sopravvivenza umano. Nel momento stesso in cui i loro piedi abbandonano la piattaforma di partenza, poggiando sui gradini obliqui di un’arrampicata del tutto priva di precedenti…
città
L’incoerenza del gran buco nel quartiere più costoso di Chicago, Illinois
Logica è la progressione degli eventi, indipendente dal contesto e situazione di riferimento, in cui l’impresa inizia dall’innesto della punta o “bit” del trapano per proseguire con la messa in opera del buco, pratico pertugio perpendicolare alla disposizione verticale della parete. L’inizio di qualcosa d’importante, proprio perché concepito al fine di cambiare l’atmosfera o l’equilibrio estetico di un luogo, inteso come aspetto periferico della stanza. Vi sono d’altra parte alcune anomalie, nella versione ruotata di 90° dello stesso concetto che caratterizza l’isolato erboso in bilico tra il canale dell’Ogden Slip, la strada urbana di scorrimento Lake Shore Drive e per l’appunto, la sponda illinoisana del ventoso lago Michigan, famoso per le acque non troppo calme, le caratteristiche formazioni glaciali d’inverno ed il memorabile skyline della Seconda Città. Un appellativo ironico nato dall’elitismo dei newyorkesi. Che ancora una volta voleva fregiarsi della medaglia d’argento, nella costruzione approvata nel 2006 di quello che sarebbe stato di gran lunga l’edificio più alto del mondo con i suoi 610 metri, ovviamente dopo il Burj Khalifa di Dubai. Ma comunque svettante oltre uno qualsiasi dei rivali situati in Occidente, grazie al contributo del celebre architetto Santiago Calatrava ed i corposi investimenti della compagnia di sviluppo immobiliare Fordham. Eppure possono fallire anche i sogni più ambiziosi e sarebbero in pochi a negare il modo in cui l’argomento in oggetto ciò giunge ad offrirne un’importante testimonianza. Se è vero che scrutando in questa direzione, ad oggi, ciò che gli occhi dello spettatore vedono è soltanto un ampio e sgombro quadrante di cielo. Sotto il quale l’astro diurno può riflettersi dentro uno specchio d’acqua stagnante dal diametro di 32 metri e la profondità di 24, altrimenti soprannominato la metropoli accogliente di un milione di zanzare. Sempre aperta, indubitabilmente incline ad essere il recesso prototipico di una via d’accesso per il Sottosuolo, iconico reame senza luce o vie possibili di fuga, a vantaggio di chiunque fosse tanto folle da discendere la scalinata bianca posta ai margini del grande calice urbano. Una visione… Sconfortante, per molti versi eppure non completamente priva di un bizzarro fascino, perché parla del modo in cui l’investimento di risorse è sempre possibile se c’è uno scopo chiaramente definito. Ma si trasforma in sogno della pipa quando si tratta di tornare ad una situazione di quiete utile a risolvere l’irregolarità della condizione vigente. Ed è per questo che ormai da almeno 5 anni diversi piani di fattibilità risultano essere al vaglio della Commissione del Piano regolatore cittadino, con alcune delle ipotesi più folli che includono un cinema sotterraneo, un habitat per gli uccelli migratori e persino una gigantesca vasca riscaldata a disposizione della popolazione locale. Quel gruppo d’increduli e impotenti spettatori che, al culmine della crisi economica dei tardi anni 2000, videro sfumare il sogno di un qualcosa di elevato e splendente. A vantaggio del pozzo mistico dei desideri (infranti)…
La teoria del tornio millenario usato per costruire le colonne del santuario shivaita
Alcune delle maggiori opere prodotte da una dinastia derivano dall’esperienza personale di un singolo regnante, il suo bisogno di manifestare i mutamenti psicologici e interiori tramite un qualcosa di evidente per il proprio popolo di fedeli, e si spera devoti sottoposti. Così il grande governante Vishnuvardhana del dodicesimo secolo, quinto dei sovrani con il predominio sul regno dell’India meridionale degli Hoysala, il cui nome stesso faceva riferimento ad un’antica leggenda della religione jainista, essendo diventato uno studente del famoso guru e filosofo Ramanujacharya, decise a un certo punto di convertirsi alla corrente vaishnavista della religione Induista. Ora se egli fosse stato a capo di un comune territorio, per quanto commercialmente rilevante, da ciò sarebbe derivato un tipico luogo di culto appartenente a tale cultura, dedicato all’una o l’altra divinità facente parte del pantheon di quel vasto paese dell’Asia meridionale. Ma poiché egli aveva vinto nel 1120 una guerra durata tre anni con il potente principato confinante dei Chalukya, e per questo disponeva del sostegno del suo popolo ed incomparabili risorse economiche, il nuovo centro del culto nella sua capitale Halebidu avrebbe preso forma come uno dei complessi più notevoli dell’intera regione del Karnataka, massima espressione dell’architettura, competenza ingegneristica e creatività scultorea della sua Era. Potendosi fregiare oltre la nome celebrato di Hoysaleswara anche di determinati aspetti, tanto ineccepibili nella loro perizia, da essere tutt’ora circondati dall’alone di “mistero” che caratterizza quelle imprese degli antichi ancora oggi insuperate dai moderni processi industriali. Il che significa, in altri termini, che non avrebbero potuto essere realizzate in maniera migliore, neppure sfruttando le tecnologie avanzate dei nostri giorni.
Così il favoloso dvikuta vimana, o “tempio dalla doppia porta a torre” (entrambe ad oggi devastate dai saccheggi delle epoche successive) si presenta come un edificio in due navate corrispondenti, ciascuna contenente come oggetto di venerazione principale la struttura altamente caratteristica di uno Shiva lingam. Pietra ovoidale dalla forma vagamente fallica, dedicata in questo caso alla suprema divinità omonima e nella sala accanto a Shantala, la consorte principale del re Vishnuvardhana. A dare il benvenuto ai pellegrini e fedeli del tempio quindi, innanzi alle rispettive porte, due statue colossali di Nandi, il mitico toro cavalcato in battaglia dal membro distruttore della Trimurti, sullo sfondo di pareti fittamente ornate da una serie impressionante di sculture e bassorilievi nella pietra di steatite, uno scisto particolarmente facile da plasmare a piacimento. Cui si contrappone l’interno relativamente scarno del duplice tempio, evidentemente concepito per favorire la concentrazione ed un stato meditativo conduttivo alla preghiera, sebbene determinati aspetti di tali ambienti non manchino di lasciare senza fiato i visitatori. Primo tra tutti l’aspetto straordinario dei pilastri che sostengono i ponderosi soffitti, alcuni dei quali appaiono così perfettamente simmetrici, talmente privi di irregolarità, da aver suscitato il sospetto che possano essere la risultanza di un’anacronistica tipologia di meccanismo. Un tornio colossale, dimenticato dalle nebbie impenetrabili del trascorrere di dieci secoli a questa parte…
Palazzi enormi: il Pentagono battuto dall’ufficio nella patria indiana dei diamanti
Concetto al centro della principale opera speculativa dell’architetto Frank Lloyd Wright del 1939 “An Organic Architecture”, sconfinante nella letteratura di genere, sarebbe stato quello della cosiddetta città usoniana. Un edificio tentacolare ed omni-comprensivo governato da una singola famiglia, interconnesso ad altri simili nel vasto territorio degli Stati Uniti. Ciascuno del tutto autosufficiente e dotato, al suo interno, di centrali elettriche, abitazioni, luoghi di lavoro della più diversa natura. Soltanto nel 1969 sarebbe stato coniato dunque, dal suo collega italiano Paolo Soleri, il termine di arcologia per lo stesso concetto di fondo, un tipo di super-palazzo destinato a diventare la nuova unità minima dell’organizzazione abitativa umana. Ma la sfumatura che dal punto di vista teorico sembrò passare in secondo piano, nell’opera di entrambi i grandi pensatori della loro epoca, è che l’uomo ha bisogno di esprimere la propria individualità nelle ore in cui si trova libero di coltivare i propri interessi. Necessità che tende a passare in secondo piano, ogni qual volta imbocca l’uscio per andare a svolgere mansioni utili all’interno di un qualche tipo d’organizzazione professionale. E caso vuole che più influente, o prestigiosa sia quest’ultima, maggiormente appare ragionevole permettere ai suoi uffici di modificare ed integrare le proporzioni del paesaggio stesso. America, la grande, ha per questo tratto lungamente una pacifica soddisfazione trasversale nell’istituzione fuori scala del proprio Dipartimento di Difesa, all’indirizzo 1400 Pentagon degli immediati dintorni di Washington D.C. 600.000 metri quadri di corridoi e stanze, ciascuna dedicata allo svolgimento di una diversa misteriosa attività egualmente utile, ci dicono, a preservare lo status quo geopolitico dell’epoca presente. Ma quello che per gli U.S.A. è il proprio esercito, in altri luoghi può essere individuato nel commercio, letterale arma d’egemonia politica e sociale nei confronti di nazioni pronte a tutto per disporre di elementi o tratti materialistici di distinzione. Vedi a tal proposito i diamanti e tutto ciò che in essi trova pratica realizzazione, così efficientemente immessi nel mercato globalizzato da taluni poli operativi mantenuti in alta considerazione internazionale. Una qualifica calzante per la città da quasi sette milioni di abitanti di Surat, sulla costa nord-occidentale dell’India, luogo da cui provengono allo stato attuale circa l’80% dei diamanti lavorati in vendita nel mondo. Da cui è nato il progetto, iniziato nel 2015, per la costruzione di un possente polo distributivo e logistico per questo settore, in quella che sarebbe diventata presto la Surat Diamond Bourse o più in breve SDB, abnorme edificio su un terreno di 14,38 ettari, con 4.000 uffici destinati ad essere occupati da svariate centinaia d’aziende. Fino alla realizzazione, ben presto comprovata, della metratura destinata a superare abbondantemente il record statunitense, verso l’ottenimento di un palazzo dalle proporzioni di 660.000 metri quadri. Senza nessun tipo di dubbio residuo, il più vasto al mondo…