Emblema esecrabile per il movimento internazionale straordinariamente disomogeneo del NIMBY (“Non Nel Mio Cortile!”) un termovalorizzatore rappresenta il paradosso di un edificio utile a migliorare le condizioni di vivibilità urbana, ma al tempo stesso sgradevole dal punto di vista concettuale. Poiché trasportare la spazzatura via dal cortile, non importa dove, parrebbe costituire dal punto di vista mediano una soluzione in qualche modo inerentemente migliore. Il che risulta essere del tutto comprensibile, in linea di principio: chi, meglio degli abitanti di un grande agglomerato, conosce le problematiche che nascono dal vivere a stretto contatto con le conseguenze a lungo termine delle proprie scelte ed azioni? Ecco perché poter disporre di un’isola artificiale, al tempo stesso vicina e separata dal centro metropolitano, parrebbe costituire una soluzione ideale per questa pesante giustapposizione; una di quelle strutture, spesso costruite paradossalmente proprio attraverso l’impiego di materiali riciclati, che hanno permesso in epoca moderna alle città giapponesi di espandersi, senza invadere il territorio di qualcun altro. Bensì tendendo in modo agile i propri tentacoli in direzione dell’infinito. Là dove sorgono, con leggiadria fuorviante, alcune installazioni di pubblica utilità del terzo centro urbano più popoloso dell’arcipelago, la capitale omonima della grande prefettura di Osaka. Tanto caratteristiche nonostante i presupposti da aver attirato, nel corso degli anni, l’attenzione di innumerevoli turisti, anche senza considerare quelli che scorgendone le torri da lontano, hanno attraversato il ponte pensando di essere diretti verso il parco dei divertimenti Universal Studios menzionato sulle guide della città. Fraintendimento surreale, a suo modo, almeno quanto gli ovoidi dorati sopra due cilindri, rispettivamente azzurro con accenti rossi e ricoperto di titaniche piastrelle bluastre, appartenenti rispettivamente all’inceneritore dei rifiuti/compattatore di rottami e l’installazione di trattamento delle acque fognarie di Maishima. Le cui mura variopinte, con profili curvilinei surrealisti e molteplici finestre dall’aspetto disordinato, sembrano richiamarsi a un certo tipo di arte surrealista di metà secolo scorso. Quella dimostratasi capace di ispirare, nelle decadi a seguire, il mondo fantastico dei cartoni animati. Non abbiate tuttavia alcun dubbio residuo, sul fatto che simili punti focali dell’attenzione dei passanti occasionali o meno siano l’opera quanto meno esteriore di un importante nome del mondo dell’architettura, ovvero la nostra precedente conoscenza di Friedensreich Hundertwasser, il pittore, scultore e progettista di Vienna, autore tra le altre cose della spettacolare Torre della Birra di Arlensberg e la quasi reazionaria Hundertwasserhaus, un condominio dove ogni abitante ha il diritto nominale di dipingere le pareti esterne fino al punto che riesce a raggiungere con il braccio dall’interno della finestra di casa sua. Nient’altro che un preambolo, di quella che potrebbe dirsi la fondamentale eredità poetica di un personaggio che aveva molto da insegnare…
“Combatti il demone della linea retta, assieme la tendenza deleteria ad abbandonare la natura e le tue radici.” Potrebbe costituire la dicotomia concettuale, nello stile conciso preferito dalla cultura nipponica, dell’uomo che ha reso possibili strutture come queste, totalmente libere dall’influenza del senso comune e create in base alla cognizione secondo cui una parete curvilinea, un pavimento diseguale fossero come delle melodie per il senso abitativo delle persone. E proprio in funzione di tali princìpi che la sua opera è diventato un prototipo del canone post-moderno, pur giungendo a tale condizione per il tramite di una missione particolarmente precisa. Lo stesso Hundertwasser in effetti, un ambientalista convinto per l’intero corso della sua lunga e prestigiosa carriera professionale, credeva fermamente che soltanto riconciliando la società moderna con lo strumento potente del suo subconscio, essa potesse in qualche modo essere salvata. Un obiettivo capace di includere, ed in maniera inaspettata incapsulare e utilizzare, il movimento spesso problematico del NIMBY. Poiché è davvero possibile continuare a respingere la necessaria presenza di un’installazione utile, se essa giunge a costituire una delle attrazioni inaspettatamente rappresentative dell’intera città? Naturalmente a tal proposito, la doppia realtà tangibile dell’Ōsaka kōiki kankyō shisetsu kumiai maishimakōjō (Inceneritore dei rifiuti di Osaka) e del Maishima surajjisentā (Centro per la trattazione delle acque di Maishima) nasce da una contingenza molto specifica di fattori, ed in modo particolare il tentativo di accaparrarsi il diritto ad ospitare le Olimpiadi del 2008, abbellendo anticipatamente e modernizzando taluni fattori e funzionalità del vasto agglomerato urbano. In tal senso costruiti grazie alle competenze tecniche della compagnia Hitachi Zosen, i due edifici ed il complesso circostante hanno visto il coinvolgimento fin dall’inizio dell’artista viennese con il dichiarato intento di costruirli in modo simile al suo capolavoro del 1971, il termovalorizzatore di Spittelau. Anch’esso dotato della caratteristica torre a forma di cipolla di molte delle sue opere, nonché le mura con il pattern bianco e nero dagli accenti variopinti, sebbene su una scala e con un grado di efficienza certamente meno estremi dell’esempio appartenente alla presente generazione tecnologica. Inaugurato formalmente nell’aprile del 2001, dopo esattamente tre anni di lavori (l’edificio per il trattamento delle acque e invece del 2004) esso avrebbe presentato dunque fin da subito un livello di gradimento più che ottimo da parte dei suoi più immediati vicini e non solo, vista la statistica senz’altro sorprendente degli oltre 12.000 visitatori annui che hanno chiesto di avere l’accesso per l’intera prima decade dalla sua apertura. Dovete considerare come a tal proposito, nel mondo moderno il trattamento della spazzatura possa avvenire senza il rilascio di alcun tipo di odore sgradevole o antiestetica colonna di fumo, bianco o d’altre tonalità, garantendo in tal senso un alto grado di vivibilità per l’intera isola artificiale di Maishima. E persino le immediate vicinanze dei suoi due più grandi e “sgradevolmente necessari” edifici.
Così da consentire una continuazione ideale di quello spirito di comunione tra l’antica percezione dei modelli e l’avveniristica risoluzione dei problemi, che tanto spesso appare come fondamentale asse d’equilibrio per una vasta maggioranza delle filosofie e discipline orientali. Oltre il concetto superficiale di sobrietà ed eleganza, diventato spesso imprescindibile nel canone architettonico dei nostri giorni, per il tramite del paradigma creato da figure come l’architetto degli inizi del Novecento, l’Adolf Loos autore di “Crimini ed ornamento” che Hundertwasser aveva sempre usato come nemesi concettuale, una sorta di pietra di paragone diametralmente opposta al suo modo di vedere la progettazione degli spazi abitativi. Dopo tutto non è forse la spirale stessa, il suo emblema preferito nonché la proposta usata nel 1993 come possibile bandiera alternativa per il suo paese d’adozione, la Nuova Zelanda, una delle forme principali e ricorrenti in natura? Che parla al tempo stesso dell’infinito e imprescindibile ritorno al mittente di ogni nostra scelta ed operazione. Comprese quelle che ci portano frequentemente ad allontanare da noi stessi, il più possibile, proprio ciò di cui avremmo maggiormente bisogno.