Suonatore del flauto che non c’è

MitsuhiroMori

Distruggi tutto, annienta te stesso e raggiungi l’illuminazione. Il nulla è per sua natura un concetto ineffabile, che trascende il raziocinio umano; se c’è lui, sparisce anche la mente. E com’è possibile, dunque, che tanti saggi l’abbiano inseguito così a lungo, fondando templi, sette buddhiste, tracciando col pennello immagini e poesie? Ebbene l’astrazione filosofica è logica, ma c’è dell’altro. Serve pure un sentimento, per poter dirsi veramente saggi. Come quello provocato dalla musica, ad esempio. Mitsuhiro Mori è il giovane giapponese che ha perfezionato all’inverosimile la tecnica del flauto manuale, riuscendo a modulare note complesse col solo movimento delle sue dieci agili dita. Le tre diverse esecuzioni che effettua in questo video, tra cui figura anche il suo componimento originale Ancora la Neve, si basano sul fascino moderno di una trovata buffa e originale, intrinsicamente perfetta per la diffusione attraverso gli strumenti digitali del moderno web. Potrebbe risultare interessante, tuttavia, anche una chiave di lettura più allegorica, che si richiami agli usi e costumi del suo antichissimo paese. Basta un attimo, per trovarla.
Il flauto dello Zen, tradizionalmente, è da sempre legato al concetto dell’annientamento. Nel settimo secolo dopo Cristo, in Cina visse un gran maestro, forse fra i pochi che seppero realizzare quel concetto di cui parlavo in apertura, l’astrazione della non esistenza pura. Il suo nome era Puhua, ma i suoi discepoli d’oltremare, monaci viaggianti del Giappone, lo chiamavano Fuke. Sui suoi insegnamenti avevano fondato un’intera scuola di pensiero, la Fuke-shū, che vantava anche un prezioso codice procedurale. Chi sceglieva di seguirlo, avrebbe vagabondato per tutto il paese, chiedendo l’elemosina, al fine di garantirsi la più basilare sussistenza e niente più. E perseguendo questa missione, mentre camminava sulla lunga via del Tōkaidō, oppure in piedi, magari ai margini della stessa, l’aspirante avrebbe suonato quel particolare flauto di bambù, detto shakuhachi. Così, costoro si erano proposti di raggiungere la buddhità: attraverso una tipologia di meditazione che viene detta suizen (soffiante), in contrapposizione con quella precedente dello zazen (da seduti). E benché fosse ritenuto, giustamente, che la musica potesse condurre a uno stato di coscienza superiore, soltanto questo non fu giudicato sufficiente. Occorreva, prima, cancellarsi dal mondo del sensibile, ridurre grandemente la propria individualità. Per questo, gli adepti del Fuke-shū, che venivano chiamati komusō (monaci del nulla), portavano una cesta di vimini sulla testa, per nascondere la loro identità. Da essa spuntava soltanto quella cosa: il flauto. Se mancavi di considerarlo, spariva la persona, tutto quanto. E se invece fosse diventato invisibile lo strumento, lasciando il solo suonatore? Impossibile pensarlo, a quei tempi. Non avevano YouTube.

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La musica di Tetris cantata senza strumenti

Smooth

Quanti riquadri definiscono la storia del videogioco? Troppi per essere contati. Visibili: migliaia di pixel in matrice, gaiamente disposti sugli schermi dei monitor e delle TV; nascosti: circuiti nanometrici d’innumerevoli processori, come fossero cellule organiche eucariote, ciascuno delegato ad una specifica funzione. Inaudibili, sonori e… Poi ci sono i primi attori. Perché c’è pure il caso che tanta tecnologia, geometricamente suddivisa, in ultima analisi non serva che a produrre degli altri cubi cosmici, fantastici quadrati ed eroici parallelepipedi. L’uno dentro l’altro. Riproposizione ludica del concetto di una matrioska: Tetris. Altrettanto russo. Questa straordinaria invenzione del matematico moscovita Aleksej Pažitnov, che negli anni a partire dal 1984 è diventata l’antonomasia del concetto stesso di rompicapo digitalizzato, semplice da comprendere eppure arduo da padroneggiare. Lui non pensò a brevettarlo, forse perché allora non si usava, oppure come suo gesto di generosità verso l’intera popolazione planetaria. Così tutti ebbero modo di metterci le mani, in un modo o nell’altro. Dozzine di versioni coin-op (a gettoni) praticamente identiche l’una con l’altra, seguite da conversioni non autorizzate per PC IBM, Spectrum, Commodore 64, Nintendo NES…Quest’ultima compagnia giapponese poi, tanto attenta al suo stesso diritto d’autore, senza neanche un grazie ai vicini siberiani, di Tetris ne fece il suo successo più immortale. Tutto inizia nel 1989, con la singola console per videogiochi più importante della storia. Stiamo parlando, ovviamente, del primo Game Boy. A Kyoto sapevano bene l’importanza di quanto stavano per scatenare nel mondo. Il primo dispositivo portatile che andasse oltre le sue stesse limitazioni, con grafica fluida, una buona autonomia, ottima visibilità dello schermo e 8 generosi bit di potenza. Mancava soltanto un gioco simbolo, la cosiddetta killer-app.

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Canto elettrico di matrioske giapponesi

Matryiomin

La voce delle bambole è un concetto astrale che rientra tra i cardini psichici della sinestesia, l’irrealizzabile comunione tra i diversi mondi della percezione sensoriale. Se queste figurine antropomorfe potessero davvero articolare un pensiero, non sarebbero più degli esseri inanimati. Così ogni fantoccio, quando sottoposto allo sguardo degli umani, si cura di mantenere un rigido silenzio. Il processo esattamente inverso, d’altra parte, rientra tra le prerogative di un qualsiasi strumento musicale. Non tutti gli implementi acustici sono belli allo stesso modo, indipendentemente dal suono celestiale che potrebbero produrre; le vertiginose curve di una chitarra non assomigliano, per esempio, alla tozza gibbosità di un tamburello. L’arpa svetta nella sua splendida eleganza, mentre lo xilofono è uno grezzo susseguirsi di metalliche placche parallele. E poiché l’esperienza di un concerto all’auditorium è fondamentalmente purissima sonorità, nessuno mai si concentra sull’aspetto esteriore di quel che lo produce. Sarebbe controproducente e occuperebbe l’immaginazione. Senza contare che la musica una faccia ce l’ha già: quella di coloro che sanno metterla in pratica, tramite i gesti e la sapienza che proviene dallo studio. Strane vie d’accesso all’arte…
Non esistono bambole con più di un volto, tranne una: la matrioska, gestalt concentrica di 5,6,7 graziose fanciulle tondeggianti, ciascuna rappresentante un costume tradizionale della Madre Russia. E non ci sono strumenti più antiestetici di questo: il theremin, l’incredibile eterofono che fuoriuscì nel 1919 dall’officina del fisico sovietico Lev Sergeevič Termen, suo scopritore accidentale. Consisterebbe di due antenne perpendicolari, l’una per il volume e l’altra per la frequenza, in grado di percepire l’impedenza capacitiva di una mano umana. Si suona con piccoli movimenti oscillatori, simili a quelli di un direttore d’orchestra, producendo un sibilo altamente caratteristico e sottilmente inquietante, molto amato dai registi dei primi film di fantascienza e qualche volta usato anche dal grande maestro del brivido, Alfred Hitchcock. Qualcuno potrebbe chiedersi se c’è un modo di rendere adorabile una cosa così misteriosa e innaturale. La risposta viene, come spesso capita in questi casi, da uno dei paesi culturalmente più eclettici di tutto l’Oriente. Si chiama Matryomin e la produce l’azienda Mandarin Electron, di Shizuoka, Japan.

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La canzoncina dell’alligatore arabo

Temsa7

Ci sono volte in cui, perdendosi nei meandri del web, ci si ritrova di fronte a personaggi davvero singolari. Questo è uno di loro. Nella sua lingua, dice così: “Cento milioni, cento milioni di visualizzazioni. Sono l’Alligatore, il migliore programma di Youtube.” La traduzione ci viene gentilmente offerta da TheKboos, sull’hub social di Reddit, ma chi non dovesse riconoscere le parole, probabilmente, apprezzerà comunque le note dell’orecchiabile melodia. L’orgoglioso protagonista è Temsa7, un burattino scatenato famoso nell’Arabia Saudita, che canta, balla e parla (tantissimo) agitando le due tozze manine rettiliane. Tra le sue attività preferite c’è l’andare in giro a fare interviste, un po’ come Triumph, il cane pupazzo della TV americana, senza il sigaro gigante ma, molto probabilmente, con la stessa verve impertinente, senza freni né mezze misure. E se quest’ultimo pupazzo è da sempre associato al comico di New York, Robert Smigel, che cura anche il suo parlato, l’attribuzione dell’antesignano medio-orientale risulta, da parte nostra, decisamente più complicata. Nel simpatico video, realizzato come chiara celebrazione di un notevolissimo traguardo di popolarità, Temsa7 sceglie di riferirsi al suo manovratore chiamandolo soltanto Sadeeq, ovvero l’amico. I molti fan del canale sarebbero invece i Jaysh Al-Timsah, l’armata dell’alligatore. Secondo quanto riportato nei commenti l’identità di colui che sta cantando, per lo meno, ci è nota: si tratterebbe di Alaa Wardi, artista della Giordania, famoso per la sua abilità nell’effettuare splendidi pezzi a cappella. E in effetti lo stile del video, con un singolo “individuo” (l’alligatore) più volte registrato, mandato in parallelo e quindi trasformatosi in una sorta di piccola orchestra vocale, è un punto fermo di tale classe di esibizioni. Qui, però, c’è anche l’aggiunta di qualche valido strumento sonoro improvvisato. Una bottiglia, una scatola, un tamburello… Ciò che colpisce è la perfetta sincronizzazione dei gesti dell’alligatore con i diversi suoni da lui visibilmente riprodotti. Se i rumori non sono stati registrati dal vivo, come del resto potrebbe anche essere, dev’esserci comunque stata un’ottima fase di post-produzione.

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