La lunga schiera degli artropodi è popolata di straordinarie configurazioni morfologiche, frutto dell’evoluzione verso ciò che funzionando, appaga anche l’estetica della filosofia del mondo. Presenze come la libellula aggraziata, che perlustra l’area sopra gli umidi bacini paludosi; oppure il ragno silenzioso, intento a deambulare, stolido funambolo, sul serico prodotto delle proprie ghiandole costruttrici. Ma la più incredibile di tutte le minute bestie, a ben vedere, può essere soltanto la mosca: agile, precisa volatrice, in grado di capire l’avvicinamento dei pericoli ben prima che questi ultimi riescano ad imporsi sul suo destino. Perfetta convergenza di saggezza, ottimi riflessi, muscoli potenti collegati a forme aerodinamiche degne dell’Era Spaziale. La tipica eccezione che conferma la regola? Poiché nera e pelosa, ella non è propriamente la tipica vincitrice dei concorsi di bellezza. Se è vero che spiccando in campo bianco, sopra i nostri muri, evoca un senso di mefistofelica incombenza, il simbolo satanico di chi ha vissuto molto poco, eppure sembra ben conoscere gli angoli meno raccomandabili dell’immanente lerciume del mondo. Esci tuttavia da questi ambienti innaturali, ed ella ridiventa un singolo punto in movimento, null’altro che il padrone dell’aria e del vento. Soprattutto se appartiene a specie non del tutto conformi, come le rappresentanti del genere cosmopolita Musca o la più diversificata famiglia delle tachinidi nordamericane. Ecco, dunque, una valida alternativa in quello stesso ambiente, e non solo: le pallopteridi o mosche “sventolanti” (flutter fly) così chiamate per il movimento che ripetono costantemente gli esemplari adulti soprattutto se di sesso maschile, agitando su e giù le proprie forti e distintive ali. Caratteristiche perché, osservandole di getto, sembrano piuttosto le strutture cornee di un riconoscibile ungulato, il cui lungo e bulboso naso è stato per molteplici generazioni l’emblema del vasto Canada. Benché possa sconfinare agevolmente oltre il confine statunitense, poiché gli alci non conoscono il concetto di “nazione”, così come innumerevoli cugine della specie qui mostrata, la Toxonevra superba (in tassonomia, il latinismo T. è sinonimo di Pallopteridae) compaiono nell’intera zona paleartica, dalle Americhe all’Europa, fino all’Asia e persino in Estremo Oriente. Benché siano ragionevolmente, nell’intero estendersi di questo vasto areale, piuttosto rare, venendo chiamate in vari luoghi con il termine generico di mosche dipinte, quando anche possiedono un nome comune nella lingua locale. Ed è questa in termini più semplici, la ragione stessa della loro singolare essenza; poiché la forma di queste ali non ha niente di diverso, in verità. Esse sono meramente, trasparenti per una percentuale significativa della loro piccola estensione. Mentre per il resto ricoperte da un cupo pigmento che riesce a dare forma a quel disegno muggente. Eppure ronzano, tranquillamente, in mezzo all’aere delle circostanze latenti…
La mosca pallopteride in effetti, per come si presenta nelle innumerevoli foto e riprese catturate online da chi la vede spesso per la prima volta, tende ad essere un insetto dall’aspetto interessante e al tempo stesso niente affatto minaccioso, che suscita curiosità ed un senso implicito di empatia nelle persone dalla mente ragionevolmente aperta. Un po’ come nel caso dei pappagalli variopinti che si attirano l’ammirazione pur mentre soverchiano le città tropicali, laddove i “grigi” piccioni si ritrovano costantemente definiti alla stregua di topi volanti. Laddove molte flutterflies presentano un tiepido color marrone, o persino dorato, ulteriormente impreziosito dalle varietà notevole dei propri disegni alari. Che attraverso una collettività suddivisa in 70 specie, 15 generi, possono assumere l’aspetto di puntini, strisce, forme geometriche di vario tipo… La Toxonevra muliebris europea, ad esempio, è immediatamente riconoscibile dal perimetro ad anello che s’irradiano dallo scutello del suo addome. Mentre la Palloptera umbellatarum, dai lucenti occhi rossi, ha l’abito a pois degno di una sfilata post-moderna alla settimana della moda di un centro culturale dei nostri giorni. Una comparabile diversità, nei fatti, che possiamo rivelare nella loro metodologia e stile di vita, se è vero che allo stato larvale, esistono mosche vibranti che si nutrono di legno marcio, piuttosto che materia vegetale viva, germogli, carcasse in decomposizione o persino altri insetti più piccoli, a cui arrivano a dare la caccia mentre strisciano agevolmente in forma di agguerriti vermi vendicatori. Anche questa, dopo tutto, è la vita della mosca, finché andando incontro alla tipica metamorfosi degli insetti volanti, andrà incontro alla genesi degli arti e delle proprie superfici utili a librarsi, dando inizio alla ricerca di una controparte per accoppiarsi. Poco studiato in senso specifico, proprio per la relativa rarità della famiglia, l’iter riproduttivo dei nostri piccoli amici prevede a questo punto la deposizione ordinata di una schiera d’uova sotto la corteccia d’albero o sui gambi di particolari piante, come le ombrellifere, che in seguito utilizzeranno come fonte di sostentamento. Una caratteristica rilevante, in tal senso, è la presenza alla nascita in queste mosche della struttura anatomica nota come ptilinum, una sorta di membrana cornea indurita, che si estende tra le antenne al fine di creare un’apertura nell’involucro membranoso del puparium. Per poi sgonfiarsi con la crescita successiva della larva, per il deflusso dell’emolinfa contenuta all’interno, ma non senza lasciare una chiara sutura a forma di U invertita sulla faccia della mosca, utile a riconoscerne l’appartenenza alla rilevante sezione tassonomica delle Schizophora.
Potenziali protagoniste d’innumerevoli storie mitologiche, le mosche pallopteridi figurano probabilmente nel corpus leggendario di diversi popoli nordamericani. Essendo possibile ritrovare la loro livrea altamente caratteristica in alcune delle raffigurazioni Navajo, prevalentemente rupestri, dello Spirito protettore dell’umanità Grande Mosca, messaggero degli Dei ed intermediario tra gli uomini viventi ed i loro antenati. Mentre nella tradizione dei Diegueños, popolo del pueblo per lo più annientato nell’epoca del colonialismo messicano, fu proprio una mosca convincere il Creatore che la vita degli uomini dovesse avere una fine. Questo al fine di esaurire il cibo sulla Terra, portando all’effettivo collasso dell’intera civiltà umana. Eppure, non senza pagare un costo significativo: pare infatti che il tipico modo in cui gli attuali ditteri si sfregano le mani, con aria servile e dimessa, derivi dal bisogno di scusarsi eternamente con i popoli dei Nativi. I quali, più di chiunque altro, conoscono il reale dipanarsi dei pregressi eventi. E comprendono le mosche per quello che sono veramente.
I nostri più aerodinamici ed insigni predecessori? Una via possibile per il miglioramento della coesistenza tra gli avversi popoli? Dopo tutto tra gli insetti, soltanto quelli dotati di una società complessa tendono a farsi la guerra. Forse, alla fine, l’unica risposta possibile è il decollo. Mentre agitando gli arti appositi con gesto ritmico ed accelerato, si evoca il vento e tutto ciò che questo tende a contenere. Perdono ronzante, considerazione corrosiva, empatia dell’ora della digestione. Mosca non vuol dire, sempre o necessariamente, l’ambizione di conquista dei territori.