Macronectes, la draconica presenza che dipinge con il sangue i mari del sud

La creatura campeggia nell’inquadratura al centro di uno spazio circolare, delimitato con cornice tondeggiante da un profilo lievemente irregolare. Vermiglio è il suo perimetro, come figura il tono delle linee oblique che s’intersecano da un lato all’altro della scena, come fili dell’ordito di una sciarpa da indossare a Natale. Gli occhi sbarrati e le ali parallele al suolo di una spiaggia che compare in parallasse, nel frattempo, sembrano esprimere un senso di cupa soddisfazione per l’uccello, dal cui becco uncinato cola un rivolo che tinge il sottogola e le piume grigie del suo petto reclinato in avanti. Non ci vuole poi un tempo eccessivamente lungo, per comprendere che quella macchia è SANGUE, come altrettanto si dimostra essere, dopo un’analisi più approfondita, l’intero pigmento utilizzato per il macabro decoro di questa scena. In cui la telecamera, o punto di vista, è stata coraggiosamente messa non vicino bensì dentro la carcassa di quella che può essere soltanto una foca, attualmente sottoposta al duro compito di dare nutrimento a colui che potrebbe essere, o meno, il suo uccisore. Di sicuro, difficilmente la tipica ossifraga meridionale (Macronectes giganteus) potrebbe essere incline a formalizzarsi. Lontana parente dei gabbiani in quanto volatile marino membro della famiglia dei Procellariformi, caratterizzati dal possesso di un distintivo tubulo per l’espulsione del sale contenuto nell’acqua marina che riesce entrargli nell’organismo, essa condivide con il più diffuso, comune e comparativamente piccolo esponente del clan dei Laridi le abitudini alimentari fortemente opportuniste, nonostante la preferenza per la carne di creature più grandi ne faccia l’approssimazione più vicina di un avvoltoio o aquila diffusa principalmente a meridione del 60º parallelo. Oltre ad essere, in assenza degli artigli prensili del tipico rapace di terra, in questo caso sostituiti dai ben più pratici (nel suo contesto) piedi palmati, un vero e proprio carro armato inarrestabile tra i pinguini e i cuccioli di foca.
Con i 99 cm di altezza, fino 205 di apertura alare ed un peso massimo di 5,6 Kg, accompagnati da una propensione al combattimento e l’aggressività degni di essere l’invidia di un grande felino africano. Finanche alla conferma del beneamato detto latino Canis canem edit, vista la predisposizione ben documentata al cannibalismo, anche in assenza del periodo di magra che nel mondo animale anticipa comunemente l’occorrenza di una tale prassi senza ritorno. Così veniva documentato, per l’appunto, in uno studio del 2021 redatto da scienziati dell’Università della Valle del Río dos Sinos capace di confermare effettivamente un sospetto lungamente mantenuto in considerazione tra coloro che si erano trovati a stretto contatto con simili creature. Giacché non esiste praticamente nulla, a questo mondo, che possa rallentare la famelica esistenza di un’ossifraga intenta a cacciare…

Creatura tassonomicamente distintiva, pur essendo considerata di gran lunga la più impressionante e per certi versi rappresentativa della sua famiglia, l’ossifraga un tempo monotipica è stata suddivisa a partire a partire dagli anni ’60 in due specie distinte, Macronectes giganteus e M. halli lievemente più piccolo e scuro nel piumaggio, oltre ad una terza ed ormai estinta dal nome di M. tinae, i cui resti sono stati ritrovati all’interno di una formazione sedimentaria marina databile al Pliocene (5.333 – 2.58 mya) dimostrando una lunga persistenza e l’efficacia conseguente dello stile di vita carnivoro di tali alate presenze. Non che l’ossifraga in alcuna delle sue declinazioni odierne, nonostante le minacce latenti di un ambiente tutt’altro che incontaminato, mostri oggi predisposizione ad estinguersi, soprattutto grazie all’ampia diffusione che la vede comparire dal continente dell’Antartico fino ai subtropici di Cile, Africa ed Australia per un areale complessivamente pari a 36 milioni di chilometri quadrati. Entro cui si riproduce con trasporto presso il territorio di numerose isole anche molto distanti tra loro, ivi inclusa Macquarie, l’arcipelago di Prince Edward e quello di Crozet, dove sembrerebbe aver formato colonie stabili e ragionevolmente indisturbate dall’uomo ormai attraverso la pluralità delle ultime decadi a questa parte. Ovvero gruppi di uccelli, essenzialmente, formati da 10-280 uccelli con nidi distanziati da una media di 3-5 metri, ciascuno costruito da una coppia monogama che si divide i compiti nel custodire e nutrire il singolo pulcino. Dopo i circa 60 giorni necessari alla schiusa dell’uovo e fino al raggiungimento dell’involo entro il periodo relativamente breve di 112 giorni, potendo fin da subito contare sull’arma di autodifesa di una secrezione maleodorante che ne ricopre le piume e può essere se necessario rigurgitata all’indirizzo dell’aggressore. La maturità sessuale giungerà soltanto molto più tardi, richiedendo fino a 10 dei 47 anni nella lunga vita di questi uccelli. Avendo dunque tutto il tempo per apprendere, gradualmente, le complesse tecniche di caccia utilizzate dalla loro stirpe, che li vede sia nutrirsi come dicevamo di carcasse che attaccare attivamente le comunità di pinguini, in scene estremamente drammatiche che vedono questi ultimi organizzare delle squadre di resistenza congiunta in cui non sempre il predatore riesce a prevalere. Mentre la procura di fonti di cibo marino, che possono includere pesci e molluschi prossimi alla costa o intricati filamenti d’alghe ripescate col becco dotato della conformazione prensile che prende il nome di unguis mascellare, viene generalmente praticata con lunghe planate che culminano in tuffi coraggiosi tra le onde, da cui l’uccello emerge con notevole agilità circostanziale. La stessa dimostrata, immancabilmente, durante i voli dimostrativi sopra la zona dei nidi effettuati soprattutto dai maschi durante la stagione del corteggiamento.

Interpretare il ruolo del grande nemico di ogni essere incolpevole ed i suoi neonati non è del resto certamente facile, giungendo a necessitare il possesso di predisposizioni particolari e la capacità di scegliere accuratamente le proprie battaglie. Benché sia possibile affermare, senza il timore di trovarsi in errore, che la funzione di spazzino svolta in parallelo dall’ossifraga sia niente meno che primaria per la sopravvivenza a lungo termine delle sue stesse prede, vista la facilità con cui altrimenti potrebbero diffondersi a macchia d’olio malattie letali tra le comunità strettamente distribuite delle sparute isole nel mezzo del meridione terrestre.
Magnifico e terribile, il tipico esponente del genere Macronectes ci ricorda dunque quanto spietato e privo di empatia possa essere il processo mirato alla conferma dei fenotipi attraverso le generazioni successive della marcia dell’evoluzione. Attraverso cui emergono gli eroi e gli antagonisti di quell’unica, ininterrotta vicenda. Di cui l’uomo dovrebbe aspirare ad essere, in un mondo ideale, soltanto una nota a margine. Piuttosto che il primario ed altrettanto incontrastato membro della casta degli uccisori.

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