Dai diari della zucca, il più efficiente metodo per srotolare un calabash

Nell’odierna comunicazione digitalizzata, culmine dell’intrattenimento e costruzione di svariati stereotipi nazionali, siamo stati ultimamente abituati a concepire questi luoghi come poli dell’ingegno pratico e l’umana capacità d’improvvisare. La Cina rurale: una terra semi-leggendaria dove il tempo non ha dato luogo ad alcuna concretizzazione dei moderni metodi, almeno nella misura in grado di riuscire a sovrascrivere gli ereditati metodi e le antiche aspettative, in merito a ciò che può costituire un filo ininterrotto e imprescindibilmente risolutivo. Così quando un veterano delle tipiche verdure, con il suo apprendista e seguace, erige un marchingegno dotato di manovella nella piazza principale del villaggio, sarà meglio che iniziate ad aspettarvi fuochi d’artificio, gente! Poiché è allora che le immagini si tingono del pigmento pratico dell’invenzione. Sfociando dai cunicoli di un risultato che possiamo definire, a pieno titolo, eccelso. Avrete certamente visto e al tempo stesso commento in precedenza, d’altra parte, l’acquisita tecnica per processare la cosiddetta cocozza. Zucca bottiglia, zucca a fiasco, zucca per portare il vino, tutte metodologie d’impiego che potrebbero trovare, in linea di principio, l’effettiva messa in opera mediante l’utilizzo di un siffatto marchingegno tornitore. Se non che dopo il primo passaggio, consistente nella rotazione sistematica mentre una lama manuale erode la buccia smeraldina del prodotto della terra coltivata, i margini d’errore per un simile obiettivo iniziano a farsi davvero contenuti. E d’altra parte, non è forse verso che la parte maggiormente resistente è proprio quell’involucro prodotto dalla natura? Ma alla seconda, terza e quarta rotazione, ormai la forma della zucca è totalmente cambiata. Non c’è più l’aspetto di un contenitore a dominare queste immagini, bensì quello di un torsolo di mela o pera sovradimensionate. E ben presto, neanche più quello. Gira e rigira, la tangibile cucurbitacea è sparita. Al suo posto, una montagna di stelle filanti.
È la fondamentale versatilità di un simile ingrediente, che noi siamo in grado di svuotare del suo contenuto per minestre o condimenti. Per poi esporre quella forma ad “otto” o “caciocavallo” sulle mensole, a pratico memento dell’abilità scultorea delle vivide immanenze vegetali. Laddove giù nell’Asia, partendo dall’India e fino alle distanti coste Giapponesi, ogni parte della zucca può essere mangiata con la singola eccezione del picciolo. In una forma pratica e assolutamente ricorrente in plurime culture di questo mondo: spaghetti, tagliatelle, strisce di verdura pronte ad assorbire il sapore. Il risultato, pronto per la tavola, del gioco di prestigio finale…

L’asciugatura naturale degli spaghetti di zucca prevede la disponibilità di uno spazio aperto battuto dal vento, possibilmente privo della presenza di uccelli eccessivamente curiosi. Pena la necessità che qualcuno in famiglia svolga la funzione di spaventapasseri, per tutto il tempo necessario a completare l’operazione.

Nessuno conosce dunque l’origine storica del noodle creato a partire dallo srotolamento del frutto della Lagenaria siceraria, pianta ritenuta lungamente originaria dell’Africa benché in tempi più recenti alcuni abbiano teorizzato che possa provenire dall’India. Ipotesi ambiziose quando si parla di un tipo di semento totalmente indivisibile dalle primordiali civilizzazioni costruite dall’uomo, in quanto primo vegetale coltivato non soltanto mangiarlo, bensì permettere la costruzione di recipienti, attrezzi, strumenti di varia e plurima natura. Come attestato in modo particolare nel già citato Regno di Mezzo, la Cina dove le attestazioni più remote vedono bottiglie simili costruite almeno attorno a quattro millenni prima della data odierna, con palese presa di coscienza della pratica natura ragionevolmente impermeabile di questo stranamente commestibile agglomerato di fibre vegetali. Ulteriormente perfezionabile mediante l’utilizzo di una laccatura esterna ed uno strato di cera atto a solidificarne le pareti concave, così da impedire la filtratura verso l’esterno della benché minima goccia del suo prezioso contenuto. Un pregio degno di permetterne l’associazione, fin da tempi atavici, alla figura professionale del farmacista, con tutte le implicazioni mistiche associate alla sua opera a vantaggio del bene comune. Fino all’associazione, tipica di questa cultura, di questa verdura al gruppo folkloristico dei sette immortali ed in modo particolare, tra questi, alla figura di Li Tieguai. Il saggio taoista rimasto senza un corpo fisico, dopo che un suo allievo l’aveva cremato per errore mentre faceva visita come puro spirito al fondatore della religione Lao Tzu. Così da dover continuare la propria esistenza manovrando le membra di un ubriacone senza fissa dimora e recentemente deceduto, letteralmente inseparabile dalla sua iconica cocozza perennemente ricolma di nettare ambrato. Vino degli Dei, inebriante alcolica bevanda, parte importante della ricca simbologia legata alla L. siceraria, che aveva ormai cementato attorno al decimo secolo d.C. la sua associazione all’inconografia dell’Universo, come un contenitore di ogni cosa che abbia mai vissuto e che in futuro farà parte della collettività ormai del tutto senza un contesto. Qualche volta in senso addirittura letterale, come nella vicenda narrata nel romanzo di epoca Ming, Il viaggio in Occidente di Wu Cheng’en (1592) in cui l’eroico e imprevedibile Re delle Scimmie Wukong inganna alcuni demoni, possessori di una zucca “In grado d’intrappolare l’anima di 10.000 persone”. Convincendoli di possederne una versione addirittura migliore, con all’interno il Sole, la Luna e tutti gli astri del cielo notturno. Se non che dopo lo scambio, l’eclisse artificiale chiesta ai suoi amici ed amiche delle iperboree distese celesti cessa di aver luogo. Ed i malefici possessori del vero manufatto mistico, malcapitate controparti di uno scambio ineguale, riescono a capire, troppo tardi, di essere stati truffati.
Connotazioni subdole legate alla visione della zucca-bottiglia come uno strumento di emersione dalle convezioni, alla stessa maniera resa popolare dai film d’arti marziali degli ultimi tre quarti di secolo. Dove agisce come un’effettiva effigie del riconoscibile maestro del kung-fu ubriaco, serie di tecniche capaci di confondere e mettere in crisi l’avversario. Possibilmente, prima di cadere addormentati nel bel mezzo dell’arena d’occasione…

Costruire bottiglie con le zucche è un passatempo molto antico, che può includere gli hobbies egualmente cari all’umanità di giardinaggio, artigianato ed ubriachezza. In una letterale progressione, fino al raggiungimento di una qualche intangibile misura di buddhità.

Consumare in quantità eccessiva a tavola la zucca bottiglia, anche detta in lingua inglese calabash, può d’altronde dare luogo a reazioni non così dissimili nell’organismo umano. Questo per la sua natura lievemente citotossica, responsabile di avvelenamento intercorso in diversi casi registrati sia in India che in Cina. Esponenzialmente più probabili, qualora il frutto non venga cucinato o il suo succo sia bevuto senza nessun tipo di trattamento, come idealmente preannuciato da un gusto amaro capace di agire come campanello d’allarme. Un pericolo del tutto scongiurato nel momento in cui s’impiega, in tutta serenità, il recipiente per le originali bevande alcoliche tradizionalmente contenute al suo interno.
Difficile, per questo, immaginare un simbolo più chiaro e pienamente comprensibile dell’abbondanza. Così come narrato in numerose leggende dell’area africana, asiatica e nel Nuovo Mondo, dove si ritiene che le zucche potrebbero esser giunte in epoca pre-colombiana galleggiando per l’intero estendersi dell’Oceano Atlantico. Come astronavi lanciate verso desertici pianeti lontani. Pronti ad accogliere, idealmente, l’effettiva e pratica dimostrazione di quanti e quali siano i modi in cui la natura può risultarci utile. A patto di disporre d’appropriati marchingegni, utili a diminuire la fatica necessaria per raggiungere l’ultima realizzazione dei desideri.

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